323 giorni di sciopero della fame in un carcere turco ⥀ Il sacrificio di Ibrahim Gökçek

Ibrahim Gökçek, bassista dei Grup Yorum, si è lasciato morire di fame dopo essere stato imprigionato per accuse di terrorismo.

È da tempo ormai che la democrazia turca è diventata uno straordinario laboratorio di intolleranza e violenza, una visionaria forma di potere ancorata a una storia del passato connotata da vocazioni imperialiste e panislamiche. Dopo un tentativo di golpe, il 15 luglio del 2016, il presidente Recep Tayyip Erdoğan ha intrapreso una raccapricciante campagna di repressione di intellettuali, studenti, artisti, giornalisti, donne e uomini della società civile già inseriti in vere e proprie liste di proscrizione. 

Il linguaggio utilizzato nelle performances pubbliche del presidente Erdoğan, non ha bisogno dell’aiuto della semantica per capire quanto siano le sue parole intrise di odio e brutalità; chiunque si opponga al suo volere viene etichettato come traditore, sabotatore, delinquente comune, come strumento in mano a potenze straniere invidiose della grandezza dello stato turco, come immorale non adatto a incarnare la fede islamica. La scusa della minaccia esterna e interna alla stregua di un tumore da estirpare ha così determinato lo stato di emergenza, giustificazione morale e legittimazione giuridica a qualsiasi atto che preservi l’integrità del potere e dei suoi confini che, con l’ultima operazione di invasione bellica definita con un cinismo senza pari come Sorgente di Pace, ha dato inizio a un silente quanto sistematico genocidio delle popolazioni curde accusate di essere fomentatrici di autodeterminazione anarchica e di azioni terroristiche. La storia di questo grande paese non si arresta neppure dinanzi ai crimini già perpetrati nel passato nei confronti degli armeni, delle etnie dissidenti e delle religioni come quella cristiana o alevita, fortemente discriminate nel territorio anatolico ancora oggi.

In questo quadro piuttosto deprimente di violazione continua di diritti umani e civili, il mondo occidentale tace miserevolmente per non innescare dinamiche imprevedibili e reazioni pericolose da parte di un alleato forte economicamente, che finanzia un mercato floridissimo di strumenti bellici e rende profitti mastodontici in ogni tipo di transazione commerciale e finanziaria. Inoltre, il califfo di Ankara, ben interpretando l’antica fisionomia di califfato che strenuamente si distingueva dallo sciismo persiano e dalle altre correnti sunnite dominate dalla presenza immanente dei sauditi, minaccia continuamente di rendere permeabili i propri confini a migliaia di disperati fuoriusciti dalle diaspore della guerra civile in Siria e nel Vicino Oriente in generale. I numeri della repressione sono sorprendenti, agghiaccianti se considerati nell’ottica di un paese che a pieno titolo dovrebbe far parte della Comunità europea. Dopo il fatidico coup d’état oltre 45.000 persone sono state sospese o rimosse dai loro incarichi di giudici, procuratori, funzionari di polizia, professori di ogni ordine e grado di scuola, luminari universitari, giornalisti e artisti. Da quel momento sono stati censurati più di 20 siti internet ed è stata revocata la licenza a 25 organi d’informazione. Durante i fermi attuati dalla polizia con dei veri e propri rastrellamenti, le persone coinvolte sono state sottoposte a rimanere in posizioni e posture del corpo che hanno provocato gravi danni fisici, hanno bastonato sistematicamente gli arrestati con brutali pestaggi e hanno vigliaccamente torturato le donne con stupri a più riprese. Le informazioni in termini numerici dei crimini di stato sono consultabili sui più autorevoli siti di informazione internazionale e consolidate nei numeri dall’opera di Amnesty International.

Il sultanato di Recep Tayyip Erdoğan ha mostrato il suo peggior isterismo proprio nei confronti dei giornalisti, degli scrittori e, soprattutto, nei confronti degli artisti. Dopo 323 giorni di sciopero della fame è morto Ibrahim Gökçek, bassista del Grup Yorum, un gruppo musicale che si ispira alla musica degli Intillimani molto conosciuti negli anni ‘80, definito in Turchia come genere Halk Müziği: interpreta canti di libertà ed eguaglianza sociale. Erdoğan in persona ha definito il gruppo musicale come un fenomeno antagonista legato al Fronte Rivoluzionario della Liberazione Popolare vietandogli, dal 2016, di effettuare spettacoli musicali in patria. Ibrahim Gökçek è morto in ospedale come gli altri due compagni di lotta la cantante Helink Bölek e il musicista Mustafa Koçak, entrambi ventottenni. Oltre alla affermazione di libertà di opinione e uguaglianza, Gökçek denunciava le condizioni di detenzione nelle famose carceri turche, dei veri e propri gironi infernali danteschi dove cominciano a verificarsi sempre più numerose le scomparse di dissidenti politici alla stregua dei desaparecidos sudamericani. Anche la moglie di Gökçek, Sultan, è detenuta in un carcere di massima sicurezza, il Silivri, a Istanbul. 

Il Grup Yorum era formato alle origini da giovanissimi colleghi dell’Università di Marmara che, dal 1985, avevano orientato i loro testi in difesa della democrazia come forma di avvicendamento politico e libertà di espressione. Ideologicamente connotati nell’area del socialismo internazionalista non hanno mai espresso nelle loro canzoni l’apologia al terrorismo come invece affermato dal regime turco. Come prova di quanto sia stato importante il messaggio di questo gruppo sono gli innumerevoli concerti all’estero: in Germania, Austria, Australia, Francia, Italia, Paesi Bassi, Belgio, Danimarca, Inghilterra e Grecia. Il successo è arrivato per questa capacità di interpretare la protesta con melodie tipicamente tradizionali, con le canzoni in turco, in curdo, in arabo e circasso. Come risposta a questa vocazione internazionalista, il Ministero dell’Interno turco ha voluto mandare un solido messaggio di violenza con l’invito a denunciare quei musicisti inseriti nelle solite liste nere dietro pagamento di grossi compensi alla stregua di taglie sulla testa di malavitosi del vecchio west. Nella lista che dava inizio alla caccia vi sono soprattutto dissidenti che vivono in Europa fra cui sei esponenti del gruppo Yorum, mentre altri dieci sono già in carcere: İnan Altın, Selma Altın, Ali Aracı, İbrahim Gökçek, Emel Yeşilırmak, İhsan Cibelik. Inoltre, nella scientifica pianificazione del terrore da parte degli organi di polizia e dei servizi di sicurezza turchi, il centro culturale Idil che fa riferimento anche al gruppo Yorum, ha subito attenzioni e intimidazioni, come la distruzione di strumenti musicali e danni ai locali, fino all’arresto di 30 persone in rastrellamenti che denotano la deriva della Turchia da democrazia in regime di polizia. Per sopravvivere a queste inaudite condizioni di violenza il Grup Yorum ha escogitato una geniale strategia che consiste nella trasformazione della band in un collettivo folk, con artisti che si susseguono e ruotano per non consentire alle autorità di cancellare definitivamente il percorso di libertà e autonomia della lotta di questi straordinari movimentisti.

Lo scandalo del sistema giudiziario turco ha, negli ultimi anni, denotato una faziosità senza precedenti che scavalca di continuo le garanzie costituzionali che dovrebbero tutelare attivisti e artisti impegnati nella lotta civile e sociale del loro paese. Lo stesso İbrahim Gökçek è stato imprigionato per una denuncia subita da personaggi rimasti nell’ombra, senza che il musicista potesse difendersi dall’accusatore; per questo motivo, l’imputato ha dovuto aspettare due anni per conoscere le motivazioni dell’accusa e gli venisse comunicata l’incriminazione formale. Ma l’assurdità insopportabile del terrorismo di stato in Turchia verso gli artisti non si ferma soltanto a questo tipo di comportamento. Già dal 2002, comprovando l’ossessione del regime turco nei confronti del Grup Yorum, vennero arrestate due donne, la cantante Selma Altin e la violinista Ezgi Dilanm. Le due furono torturate e picchiate ripetutamente dal momento dell’arresto, addirittura nelle autovetture delle forze speciali, dove alla prima fu rotto il timpano per le percosse sul volto, alla seconda le fu fratturato il braccio per non consentirle più di esibirsi in spettacoli musicali. Alle due veniva contestato il reato di aver chiesto, insieme ad altri 25 attivisti, la restituzione del corpo di un manifestante ucciso dalla polizia dopo un attacco a una questura del quartiere Gazi.

Se questa è la Turchia di Recep Tayyip Erdoğan è necessario che la Comunità internazionale agisca nella difesa dei più elementari diritti umani e consenta a questo paese di uscire da una fase di crescente estremizzazione e utilizzo della violenza nella repressione della libera circolazione ed espressione delle idee. Al suo interno, al fine di imporsi nello scenario mediterraneo e internazionale come potenza geopolitica, la Turchia vive l’ossessione di far tacere le voci del dissenso che provengono soprattutto dalla parte della società civile più affine all’espressione artistica, letteraria, accademica e giornalistica. Sempre di più nello scenario internazionale si assiste al rafforzamento di stati che vantano sistemi formalmente democratici ma che, al loro interno, agiscono alla stregua di vere e proprie organizzazioni gestite dalla polizia e da gruppi paramilitari fiancheggiati dai servizi segreti. 

Ancora oggi tuttavia, nonostante la violenza e la cupa falce di morte molto attiva nei confronti di chi lotta contro l’oppressore, Grup Yorum sopravvive ai propri aguzzini intonando, nell’inno più bello dedicato alla libertà, Bella Ciao!

Sitografia

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