A favore dei mondi possibili, contro la loro sopravvivenza di Davide Andreatta ⥀ Autopoetica
La rubrica Autopoetica, a cura di Marzia D’Amico, presenta oggi per la sua ottava pubblicazione alcuni scritti di Davide Andreatta illustrati da Valentina Vallorani. È possibile segnalarsi inviando propri testi e una dichiarazione di autopoetica alla mail: autopoetica.argo@gmail.com (tutte le pubblicazioni finora apparse nella rubrica possono essere lette qui)
Lo scarto tra il numero di immagini che si danno di un corpo e quante immagini spettano a quel medesimo corpo. Non in quante parti possa essere suddiviso, ma quanti sacrifici può sopportare prima di estinguersi. La medesima vittima può attraversare un discreto numero di altari. La sua scomparsa si confonde con una ritirata solo in avanti. E l’immagine non ha numero. Quindi, ripetere il taglio vuol dire ripetere tutto da capo. Ricominciare.
Insostituibile. Con Godard, «non è un’immagine giusta, è giusto un’immagine». Migrazioni che infettano la memoria. Quante poesie può contenere una poesia prima di collassare? Quanti versi può fare prima di sparire? Scivolamenti interminabili di vittime che non preparano una diaspora. Usando le stesse parole, quanto contagio prima di divenire pura linea d’abolizione? Riprendere fiato.
(Davide Andreatta)
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Lo scarto tra il numero di immagini che si danno di un corpo e quante immagini spettano a quel medesimo corpo.
Non in quante parti possa essere suddiviso, ma quanti sacrifici può sopportare prima di estinguersi.
La medesima vittima può attraversare un discreto numero di altari. La sua scomparsa si confonde con una ritirata solo in avanti.
E l’immagine non ha numero. Quindi, ripetere il taglio vuol dire ripetere tutto da capo. Ricominciare.
Insostituibile. Con Godard, “non è un’immagine giusta, è giusto un’immagine”. Migrazioni che infettano la memoria.
Quasi niente, una visione. (informe) è un’operazione, “non è soltanto un aggettivo con tale senso, ma un termine che serve a declassare”. La vittima declassata dal suo rango, vittima di se stessa.
La sovranità, o risata che non si mostra, senza fine. Morire letteralmente dalle risate. Non lavora, non l’ha mai fatto: senza tempo.
Il dispendio che consuma ogni cosa, compreso il dispendio in quanto dispendio. Resta sempre e solo del lavoro, lavoro ancora da fare. Il lavoro del negativo, il negativo come lavoro. Elevazione del senso: non a caso, gli altari sopra quali posizionare la vittima.
“Accade lo stesso nel sacrificio, che altera, distrugge la vittima, la uccide, senza dimenticarla”; non dimenticare quello che non è mai stato presente. Ovvero, dimenticare all’infinito la vittima, non smettere mai.
Cosa succede quando il gioco non è più sorvegliato da un’istanza maggiore? Quando il gioco diventa la regola? Quando si annega senza trattenere il respiro o il minuto diventa infinito? Quando si smette di aggrapparsi all’annegamento per spiegare l’ossigeno?
In altri termini (impropri)1: quante poesie può contenere una poesia prima di collassare? Quanti versi può fare prima di sparire? Scivolamenti interminabili di vittime che non preparano una diaspora. Usando le stesse parole, quanto contagio prima di divenire pura linea d’abolizione? Riprendere fiato.
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L’anno zero, il primo giorno sono un anniversario2.
Hanno la precedenza sulla giustizia.
Senza potersi mai abituare
alla fine che congiura contro il finale, assolve gli assenti
copiandone la parola d’ordine.
Devono dimostrare il vuoto che hanno creato sulla scena.
L’astinenza come rivincita nei confronti di nessuno;
a favore di nessuno. E la soluzione non è mai stata così semplice,
eliminare
ogni risvolto ironico dalla fase terminale. Anche il nulla
ne possiede una. Inaugurare
comporta molte sparizioni:
prima di tutto,
i passi falsi che conducono fuori dal labirinto,
avere la parte inferiore della testa
(che non si riduce alla bocca)
tra le nuvole;
un tempo sufficiente nuovo da non confondersi con l’antidoto.
Oppure, non sapere cosa fare dopo.
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L’inquadratura staziona sulla punta della lingua
per un numero di anni impossibile
da quantificare senza disconoscere tutto il lavoro svolto
fino a questo momento – l’obiettivo rimane lo stesso,
dimostrare3
che sulla punta della lingua non si deposita nulla
– se tutti i divieti nascondono una dieta onnivora,
nella scena (tagliata) in cui la legge chiude gli occhi
e si tappa il naso
non si rilevano tracce di sarcasmo.
La tentazione di spostare l’intero set all’estero
senza allo stesso tempo trasferire l’attrezzatura e senza noleggiarne di nuova
compromette la sceneggiatura più che il film stesso4,
– la visione prende sempre il sopravvento: ogni mistico, un fallimento.
A rigor di logica, l’annunciazione
non dovrebbe precedere l’evento che annuncia,
invece: più umilmente, levargli terreno da sotto i piedi,
restituirlo alla sua partenza.
(l’ultimo respiro è un espediente mediocre
che funziona solo a telecamere spente)
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La pretesa del vivente di contrarsi
oltre ogni dono e poi cambiare idea
così come la decisione
di mettersi in coda senza nessuno davanti
o alle spalle (arrotondare il rumore per eccesso)
– lasciano entrambe intendere come l’intervallo di tempo
che separa tra di loro due eventi
sia altrettanto incurabile;
non ne accoglie o congeda un terzo,
nemmeno il suo contratto viene rinnovato.
Quando il fuso orario che le impasta
viene rispedito al mittente, le ore
si radunano in cerchio
per condividere la loro esperienza in una stanza dove l’illuminazione
e la color correction
non meritano d’essere descritte o salvate.
Partendo dal presupposto che
le uova sono fatte per essere rotte e archiviate,
– ogni rito di passaggio un vicolo cieco –
disdire ogni appuntamento,
correre ai ripari o distribuire un duplicato delle proprie chiavi
fino ad aver soddisfatto le esigenze abitative dell’intero pianeta;
se uno specchio restituisce un’immagine
che somiglia a qualcos’altro,
allora è una valuta.
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Tenersi alla larga dalle rinascite
per spogliare la testimonianza della sua
estinzione,
le sue tecnologie
come rovesciamento della lacuna, il contrario
di riempire
– perché scavare non è ancora immergersi,
soltanto ricevere la materia come insieme di risposte immunitarie.
Note
1 Nulla viene fatto a nome proprio nella sovranità.
2 Per favore toglietevi dalla testa a.C. e d.C.
3 Soprattutto a quelli che rifiutano di chiudere gli occhi.
4 Il casting si deve concentrare soltanto sull’alito.


Davide Andreatta
Davide Andreatta (Verona, 1992). Filosofo, artista visivo e poeta (servendosi spesso del moniker Ddk), tra i suoi lavori Japan Weather Report, libro d'artista pubblicato presso blisterZine, An Illustrated Guide of Capitalism, progetto sotto forma di zine pubblicata da Onomatopee. Nel 2017 presso Oèdipus Edizioni è uscito Mostly Heard, Rarely Seen, la sua seconda raccolta poetica. Altre sue opere sono comparse sulla piattaforma progetto collettivo "La descrizione del mondo" e, a nome Davide Andreatta, Diaforia ha pubblicato Insert koinè.
I suoi lavori sono presenti da Printed Matter (NY), Onomatopee Shop, Goodpress Gallery (Dublino) e distribuiti online da Antenne Books.