A pensar male di Valentina Scelsa ⥀ Passaggi

Passaggi, la rubrica di Argo dedicata alla prosa breve, presenta il testo A pensar male di Valentina Scelsa, con un’illustrazione di Giampiero Romano. L’editoriale della rubrica può essere letto qui

Immagine in copertina di Giampiero Romano, Death and Maiden.

 


Mi chiamo Loretta Lavoratori e sono una brava persona. Professoressa di fisica in un liceo, di anni sessantaquattro, prossima alla pensione grazie a Dio, sono riservata, ordinata e sola. Vengo accusata di severità, intransigenza addirittura, ma sono malignità. La mia è disciplina. Nel poco tempo libero mi occupo di volontariato. Lo faccio perché sono di buon cuore, non mi aspetto nulla dagli altri, figuriamoci la loro gratitudine, o il loro amore. Al rispetto, però, ci tengo.
Penso al rispetto mentre la chiave gira nella toppa, e entrata in casa, nel crepuscolo, tiro un profondo sospiro di sollievo, un Aaaaah! prolungato; mi sfilo le scarpe, infilo le pattine, spengo il telefono, stacco il citofono, e mi spoglio nuda. Entro in bagno, apro il getto ghiacciato della doccia e mi ci infilo sotto. Stringo i denti, soffro in silenzio e mondo corpo e mente.
Ormai l’ho capito che a pensar male non solo ci si indovina, ma che è l’unica cosa che funziona. Una vita a pregare tutte le sere, le ginocchia sulle mattonelle dure, a supplicare Dio, o chi per lui, di farmi trovare l’amore, amicizie sincere, riconoscimento sul lavoro, soldi anche, che ho sempre vissuto in ristrettezze, ma soprattutto rispetto, a inginocchiarmi e a pregare un dio in cui neanche credo, migliaia di preghiere e riti magici, appresi e praticati con metodo e pazienza, tratti dai più celebri libri di magia; tempo, energie, fatica, tutto quanto buttato nel cesso dalla consapevolezza che se la fortuna razionalmente altro non è che una fantasticheria, la sua antonima, la sfiga, è brutale realtà.
Chiudo l’acqua, evito di specchiarmi, avvolgo il corpo in un telo ruvido. L’ho capito sei mesi fa che a pensar male si pensa bene. Non si deve pensare a far accadere cose a sé stessi: si deve pensare a farle accadere agli altri, mai essere egocentrici.
Entro in camera da letto, accendo cinque candele bianche, le posiziono sulle mattonelle di graniglia a formare un cerchio magico, ci entro dentro, chiudo gli occhi, verbalizzo i pensieri: Che Prisco Antonini si rompa una gamba e tre costole domani, durante l’ora di educazione fisica, cadendo dal quadro svedese. Pronuncio la formula magica della caduta dei gravi: v=2hg e chiudo il rito con Amen. Prisco Antonini in classe mi chiama Cita, mima gesti di scimmia, emette versi gutturali Uh uh uh! che fanno scompisciare tutti i compagni.
Ma facciamo un passo indietro: sei mesi fa ho aperto il cerchio e ho dedicato alla professoressa Chiapparelli questo nuovo rito. Quella cretina con la voce da eunuco si era rifiutata di bocciare Prisco Antonini, che prima ce lo togliamo e meglio è, fregandosene che avevo un solo ultimo anno di lavoro prima della pensione. La mattina seguente la Chiapparelli è caduta dalle scale della scuola in un ruzzolare velocissimo e continuo che ha sfiorato la caduta libera: collo spezzato, morte accidentale.
Mi sono tolta diversi sassolini dalla scarpa da allora, altri tre ragazzini brufolosi, piccoli satana, finiti in ospedale a placare gli spiriti e raddrizzare ossa e la vecchia sorda della porta accanto che mi torturava con il volume alto della tv giorno e notte: crisi respiratoria, e comunque aveva novantasette anni.
Ho usato il mio nuovo dono con morigeratezza. Razionalmente non ho nulla da rimproverarmi. Sognare non ha mai fatto male a nessuno. Spengo le candele con dita asciutte e penso: mi chiamo Loretta Lavoratori e sono una brava persona. Domani sarà un giorno straordinario, per me e per Prisco Antonini.

 

 

 


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Valentina Scelsa
Giampiero Romano, Death and Maiden.