AA.VV., Atti Impuri 2, luogo di scritture, a cura di Sparajurij, No Reply, 2011.
C’è un editore a Milano che si chiama No Reply e che, al di là della generale bontà delle cose che tira fuori, deve aver gettato una qualche forma di fattura magico-mistica su di me. Cerco di ricostruire brevemente la genesi e le tappe principali del maleficio per non sembrare fuori di testa.
Un annetto fa, del tutto ignaro e vagamente in antipatia con l’editoria indipendente lombarda, giravo per librerie in cerca di Nel gasometro di Sara Ventroni – ovviamente non riuscendo a trovarlo da nessuna parte. Finalmente riesco a ordinarlo alla cara vecchia libreria di quartiere (non avevo ancora un conto mio per comprare online e non riesco mai a fidarmi del contrassegno) ma Gino – il libraio n.d.a. – mi telefona quindici giorni dopo per farmi sapere che «il gazzometro non ci sta in giro», e che è riuscito giusto a prendermi un’altra cosa della stessa autrice. Ebbene, credo che quella copia di Salomé abbia messo in moto il maleficio. D’altronde (Sara Ventroni + figlia di Erodiade + collana Maledizioni) ha pure senso!
Qualche mese dopo, a Milano, mi compro l’antologia europea di Slam scoprendo che è della stessa collana di No Reply e poi, per il compleanno, mi regalano un libro su Bowie titolato Ziggy’s Papers, messo insieme da Cherry Vanilla ed edito… indovinate da chi! Dipoi, in barba alla consueta decenza del caso, vengo invitato a leggere poesie a Bologna e ci trovo Sparajurij – il collettivo che dirige la collana di cui sopra – da cui riesco a comprare l’ultima copia delle Memorie di un piccolo ipertroficodi Ottonieri (riedizione No Reply, manco a dirlo, con meravigliosa e cafonissima fascetta diagonale) scippando un’altra concorrente dello slam che già lo aveva preso in mano. Quella sera stessa divento collaboratore di Argo, pochi mesi dopo esce Occhi da cui tutto ride – solita collana, solito editore – che trovo a casa di un’amica sarda e mi piace un casino. Insomma, comincio a sentirmi bersagliato subliminalmente dalla redazione di via Sarpi, e quando scopro che quel buffo concentrato di post-milanesità di Matilde Quarti (da non perdere i suoi disadattatissimi personaggi sparsi in giro per l’ipocrondiaco underground con la erre molle del Nord di sinistra, da Subway a Clandestina a FoLLeLfo) fa da ufficio stampa proprio a loro – e per giunta mi domanda di scrivere due righe sull’ultimo progetto che hanno messo in piedi – ne ho la conferma.
Tutto ciò per chiarire che non posso assolutamente sottrarmi alla presente segnalazione: è proprio Dio in persona a esigere che recensisca Atti Impuri. Ecco.
A chi non avesse mai letto il titolo di questa rivista corposetta e cartacea fuori dal catechismo posso consigliare di allacciarsi al filo del discorso dando un’occhiata al sito (http://www.attimpuri.it) da cui è partito tutto. In buona sostanza il gruppo Sparajurij (lo stesso che dirige la collana, quindi principale responsabile della stregoneria che ho appena finito di raccontare) è riuscito ad affollare penne note e inedite (tutte di talento) estere e indigene (soprattutto indigene) poetiche, narrative e pensanti (con interessanti accavallamenti-scavalcamenti di genere) dentro un indirizzo e poi, come oramai riesce a pochi, a traslocare il tutto su paginette illustrate in carta riciclata. A maggio scorso è uscito il primo numero, più una promessa che un tentativo (Balestrini, Pugno, Falco, De Roma, testi del futurismo messicano anni ’30 e versi di Luigi Socci). A gennaio, passando da un blu indeciso alla cara vecchia scala di grigi, è arrivato il numero due, che soddisfa pienamente le attese incoraggiate dal precedente.
Più che una rivista mi pare si tratti di un contenitore-non-neutro di scritture legate insieme senza troppa ansia: l’incoerenza degli accostamenti permette ai pezzi di reagire felicemente. Atti Impuri – lo si capisce sfogliando questo secondo numero – è una specie di frigo bello spazioso, che tiene pronti gli ingredienti della cena lasciandoti libero di scegliere la ricetta. Si parte dai primi ripiani dove si conserva la “spesa grossa” congelata, quella che da sola potrebbe sfamarti per un mese: tutte prose inedite di autori italiani. Giorgio Vasta (La forma della grazia, p.9) accompagna un bimbo nictalopo albino al massimo grado della purezza, Andrea Scarabelli (Tutta luce per noi, p. 25) presta ancora una volta la sua voce ai sobborghi e al disagio adolescenziale, Alessandra Sartori – che di solito, mi risulta, scrive racconti per ragazzi – azzarda metamorfosi chirurgiche da neo-mitologia (La signorina numero 22, p.30) e compaiono ancora Flavia Ganzenua, Marco Rossari, Federica Sgaggio, Alessandra Sartori. Fatto il pieno di lettere nostrane si scende di un ripiano, dove stanno in fresco i prodotti esotici. La sezione si chiama “Il prossimo tuo”, e in questo numero è dedicata a prose tradotte dal russo. Alexandra Petrova a parte (qualcuno avrà presente Altri Fuochi, tradotto da Duranti per Crocetti) c’è davvero un sacco di roba bellissima e mai sentita, dalla drammaturga Nina Sadur a Nikolaj Bajtov, che mette in scena una Performance al cospetto del Signore (p.52) con neo-calligrammi e poesie grafiche annessi. A seguire, tanto per godersi un gradiente pazzesco, salta fuori un epistolario (inedito!) di Rabelais, tradotto per la prima volta in italiano a cura di Alessio Magaddino, che apre la strada a una seconda infornata di pezzi nostrani. Da Ernesto Aloia, godibilissimo con il suo Killing an arab (p.68), a Giulia Fazzi, Antonio Bortolucci, Stefano Raspini, passando per autori bravi ma poco noti (Alessandra Carnaroli, Fino a sei mesi compiuti, p.88) a veri e propri esordi narrativi (Francesco Muzzopapa, Annegare, p.83). In coda c’è la mia sezione preferita, “All’infuori di me”, il vano profumato per la frutta. Si tratta dello spazio dedicato alla poesia, che in questo numero ospita i bei versi di Fabrizio Bajec tra il sublime squallido (Ode alla mia lavatrice) e un acuminato lirismo trattenuto (Ringrazi la nobile attività dell’uomo / dove pascolano mostri e boia / pronti a condurti ai ferri roventi, / a sognarti una mano o il petto, / fino a svegliarti al bordo delle lacrime).
Beh che dire, abbonatevi. Così magari maledicono anche voi.
Alessandro Giammei