Amanecer di Sarah Di Piero ⥀ Passaggi

Passaggi, rubrica dedicata all’esplorazione della prosa breve, ospita oggi Amanecer di Sarah Di Piero. Qui potete leggere l’editoriale della rubrica

Illustrazione di copertina di Gabriele Doria, training #3, 2022.

 


 

Non dovevamo essere a casa quel giorno. Eravamo stati a una riunione dell’Amanecer, ma, una volta usciti, la pioggia di novembre scendeva così fitta che per una volta decidemmo di andare dai miei. Vivevano nei pressi di una delle nostre sedi, così, contravvenendo a tutte le precauzioni che avevamo preso fino a quel momento, quella notte dormimmo lì.

L’Amanecer era il gruppo in cui seguivo le attività di militanza, uno dei tanti gruppi rivoluzionari presenti in quel periodo in Argentina. Era il periodo del golpe, il colpo di stato in Cile: 1973.

Mi sfilai la giacca per coprire il capo della mia donna, che col pancione procedeva a fatica. Il marciapiede era infatti distrutto dal tempo ed era quasi ora che il bimbo nascesse. Non avevamo ancora deciso il nome.

Mio padre mi aprì stupito e quando entrammo mi prese da parte:
«Cosa ci fai qui?» Diede uno sguardo a mia moglie Cora, che invece era stata accolta con un bacio da mia madre.
«Hai perso la ragione?»
«Papà, per una notte. Cosa vuoi che accada?» Lo scansai e andai verso mia madre.
Sono sempre stato un giovane ribelle, ma in quel periodo lo ero in modo particolare. Non era affatto d’accordo con me su quello che stavo facendo, sull’Amanecer, e sul rischio a cui sottoponevo mia moglie e il bambino.
Aveva parlato con me, aveva cercato di convincermi in tutti i modi, perché anche lui da ragazzo aveva le sue idee, molto simili alle mie, anche lui protestava le ingiustizie dello Stato, ma sapeva anche cosa si rischiava, soprattutto nella condizione in cui si trovava in quel periodo l’Argentina.

Io però andai a letto tranquillo. Mio padre e mia madre dormivano al piano terra assieme a mio fratello, mentre noi stavamo al primo piano, sopra il garage. Non era facile trovare una casa col primo piano in quella zona. Alle tre di notte sentimmo bussare senza sosta e con energia al portone di casa. Due uomini intimavano di aprire, altrimenti avrebbero sfondato il portone. Dissero anche che sapevano che Roberto era lì.

 

1           Amanecer                 Amanecer

 

Io mi chiamo Roberto, oggi ho 70 anni, sono di origini italiane, ma sono argentino e sono stato in prigionia per cinque anni.

Quella notte sequestrarono me, mio fratello e mia moglie. Ci portarono al comando di polizia e ci misero in cella. Mia moglie era nella cella più grande. Io stavo in quella di fronte assieme a mio fratello, che fu rilasciato dopo poco.
Dove stavo io era incredibilmente umido e puzzava di muffa. Non potevo vedere mia moglie Cora, perché una porta alta, di ferro e con uno spioncino chiuso mi separava dal corridoio. Però la sentivo respirare e la immaginavo tremare, racchiusa nella coperta che le avevano dato quando eravamo arrivati. Ancora non mi rendevo conto di cosa stava accadendo, mi chiedevo però come fossero arrivati fino a me. Mi ricordai del compagno che era stato ucciso poche settimane prima dalla polizia. Ero stato al suo funerale. Ora so che i presenti sono tutti morti tranne me.

Certe volte paragono la mia mente a un orologio, con una chiave incastrata in uno dei suoi meccanismi, perché è come se il tempo si fosse fermato a quel giorno. Chissà perché una chiave! Che chiave, poi, non lo so, ma me la figuro così. Come una chiave.

Mi svegliarono le urla di mia moglie, scattai in piedi e chiamai il suo nome, ma lei non riusciva a rispondere, la sua voce era strangolata dal dolore. Iniziai a sbattere contro la porta di ferro i pugni e i piedi e a chiamare le guardie. Un calpestio sommesso risalì il corridoio di corsa per poi fermarsi all’altezza della mia porta. Ascoltai lo sferragliare della chiave nella serratura della cella grande e la guardia che chiamava le altre in suo aiuto. Cora stava per partorire, la portarono di corsa in ospedale e il silenzio mi chiuse di nuovo tra i pensieri. Come avevo potuto fare questo a mia moglie? In che condizioni sarebbe nato mio figlio? Che futuro avrebbe avuto con un inizio del genere?

Mi ridestai da questi pensieri quando una guardia infilò la chiave e aprì la mia cella. Era alto e fino, avrà avuto vent’anni come me. La divisa gli stava abbondante. Un braccio disteso lungo il fianco, l’altro piegato, con in mano la chiave – sempre la stessa chiave. Era in controluce e i lineamenti si distinguevano appena, posso solo dire che aveva un viso tondo che contrastava con la sua magrezza e le sopracciglia folte, ma nemmeno un po’ di barba. Mi concentrai sulla sua immagine perché tutto mi apparve rallentato.
«Chiede sua moglie come vuole chiamare la bambina».

Dopo cinque anni sono stato liberato dalla prigione più sicura di tutta l’Argentina. A Sierra Chica, aveva la postazione di guardia al centro della struttura e dodici bracci partivano da qui per dirigersi verso le estremità esterne. Una sola guardia era in grado di controllare tutta la situazione.
Non avevo mai visto mia figlia Alba, Amanecer, ma immaginavo i suoi aspetti rivoluzionari.

Oggi ho spento tutte le luci e mi sono seduto in poltrona, come dentro a un cinema, ma ho acceso la televisione. Ho visto la guerra in Ucraina, però hanno parlato solo della prigione e non dell’uomo fatto prigioniero. Forse dovrei parlarne io, ma è l’ora del tramonto e sono stanco. Ne parlerà Alba.

 

 

 


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Amanecer
Gabriele Doria, training #3, 2022.