ARGO N. 6_Francesca Blesio: «Inchiostro nero americano»
Appunti sulla letteratura afro-americana e sulla influenza dell’afro nella letteratura americana
Scrivere è sempre nascondere qualcosa in modo che venga poi scoperto
(I. Calvino, Se una notte d’inverno un viaggiatore)
Non più costretta in abiti che non erano i suoi, la letteratura nera americana oggi si veste di tutte le sue peculiarità. In tempi non troppo lontani non era per nulla raro che gli autori scegliessero di mascherare la propria «differenza», ossia il colore della loro pelle e la particolarità della propria esperienza, al fine di ricercare una sorta di universalità dell’espressione o di andare incontro ai gusti e alle esigenze dell’industria editoriale. Facile allora che personaggi e situazioni scolorissero dal nero al bianco.
La condizione del nero negli Stati Uniti è ben descritta da Ralph Eleison: è la condizione di un individuo che si sente privato di una sua collocazione stabile e riconosciuta all’interno della società, e che «vaga stupefatto nel labirinto di un ghetto, come fosse un deportato della democrazia americana». Da un’identità smarrita e colpita al cuore e dal dibattito su come ritrovarla e riaffermarla è nata una nuova realtà letteraria. Oggi la letteratura afro-americana ha raggiunto una propria autonomia, una coerenza di fondo. Dagli anni Venti il mondo della minoranza nera ha trovato voce, una voce polifonica che ne ha evidenziato e ne evidenzia tuttora la complessità. Poeti, scrittori e drammaturghi neri sono mediatori di una cultura poliedrica estremamente affascinante. Non sono passati nemmeno due secoli da quando il poeta e schiavo George Moses Horton in Hope of Liberty (1829) denunciava, per primo, i mali della schiavitù in versi. In Italia ancora poco nota, la letteratura afro-americana è di certo una realtà complessa e interessante. La sua lingua, ad esempio. Il «Black English», che affonda le sue radici nel periodo schiavista, contraddistingue profondamente questo corpus letterario. Le sue peculiarità sono principalmente i richiami lessicali a lingue africane (o a quelle latine diffuse nel Nuovo Continente), elementi grammaticali e sintattici propri, un’originale creatività nelle immagini, nel linguaggio figurato, metaforico, una particolare tensione e vitalità ritmica, e una sua spesso distinta dizione. È poi soprattutto la dimensione fonica a caratterizzare lingua e letteratura afro-americane: le radici dell’espressione di questo particolare universo sono nella musica e nell’oralità. «La danza e il tamburo sono venute prima della parola», scrive Ishmael Reed in riferimento alla diaspora africana. Il legame con la musica è strettissimo. Nel blues, nel gospel e nel jazz è indelebile il ricordo di un passato africano. E la letteratura afro-americana si appropria di alcuni elementi di quei generi musicali come la comunicativa, la volubilità e la densità di significato delle emozioni. Questa cultura attinge alla tradizione del racconto orale, delle favole africane, dei sermoni sacri e profani, dei tall tales e dei toasts (graffianti versi improvvisati), delle conversazioni proprie delle strade del ghetto, dei nuovi gerghi.
La letteratura afro-americana, come sottolineavamo prima, si è attestata come realtà culturale di rilievo negli States. Non più costretta ai margini di quella bianca, negli ultimi anni si è sviluppato un forte interesse – anche accademico – nei suoi confronti. Uno studio recente ha esaminato un altro aspetto della cultura afro-americana. «Grazie ad un esame ravvicinato del “nero” nella letteratura si può forse scoprire la natura – addirittura la causa – del “bianco”», questo il pensiero di Toni Morrison, una delle scrittrici afro-americane più attive degli ultimi due decenni, che ha svolto un’interessante indagine sul significato e sull’implicazione della presenza dei neri nella letteratura americana del diciannovesimo e del ventesimo secolo. Toni Morrison, Premio Nobel per la Letteratura e vincitrice del Premio Pulitzer per Beloved, ha studiato l’influenza della cultura afro-americana nei romanzi di scrittori americani di razza bianca come Poe, Melville, Twain e Hemingway tra gli altri. Secondo la Morrison il personaggio nero assume nella prosa di questi autori un significato simbolico: tale personaggio avrebbe la funzione di esprimere ed esorcizzare eventi, pulsioni, paure e desideri senza che i bianchi li debbano riconoscere come propri. Secondo la scrittrice, inoltre, alcuni tratti peculiari della letteratura americana sarebbero il frutto di una sotterranea influenza africana; l’individualismo, la virilità, il forte contrasto tra male e bene: alcune delle caratteristiche proprie della letteratura americana bianca per la Morrison sono l’effetto di un incisivo influsso della cultura africana. Una stimolante prospettiva, quella del Nobel, che mette in discussione molti assiomi della critica letteraria statunitense e che, se condivisa, potrebbe voler dire rileggere con occhi nuovi anche i classici della letteratura del Paese della Libertà.