Aurora Andreani illustra il racconto di Simone Carucci | Mixis #6
Fra incanti e lingue di fuoco, sesto appuntamento con Mixis.
Generata dall’incontro fra l’arte della superficie al contrario di Aurora Andreani e il sogno liquido di Simone Carucci, la polvere di farfalla si fa cipria che cade nelle pieghe dei corpi nomadi che colorano questo sogno. Brilla in una danza del divenire elettrificata dalla frenesia sospesa del (con)tatto straniero.
Alte vise
La polvere si incastra tra le narici. Mi soffoca. Poi scende, raschia la gola. Scende ancora nei polmoni, si ferma. Li appesantisce. Provo a tossire, ma non funziona.
Cammino sotto un sole alto senza ombra sulla strada, non ho né caldo né freddo. Cammino su un campo di terra secca, lontano ci sono delle tende. Sembrano perlopiù rosse, viola e arancio. Dal nulla compare una donna, porta un velo, mi sorride. Non so se sorride davvero a me,comunque toglie il velo emette un cappello. Comincia una litania. È il cappello a parlare? La donna scompare e io avanzo, sotto le tende colorate spuntano roulotte lattee. I canti diventano urla di babbuini, o di uomini che li imitano. Non posso andare oltre. Scopro la terra delimitata da una recinzione verde, provo ancora a tossire. La sento muoversi dentro di me, la polvere o qualunque cosa sia, si muove, sono sicuro. E nel muoversi mi obbliga al movimento e al canto. Allora capisco, ero io a cantare, non il cappello. Mi sento vulnerabile.
Bambini si affacciano dagli oblò, le porte delle roulotte si aprono, voci femminili li invitano ad uscire. Sono presto circondato. Hanno portato degli strumenti musicali, ma mi accompagnano soltanto fischiando. Sopraggiungono gli uomini, spezzano il cerchio dei bambini e ne creano un altro misto, poi afferrano gli strumenti e iniziano a suonare. Qualcuno dice alle donne di aprire i rubinetti delle case. Le roulotte scaricano acqua sulla terra, si formano grosse pozzanghere. Dall’arcobaleno di sale nascono dei girini che subito diventano rospi e fungono da tamburi. Adesso la musica è completa di ogni elemento e anche le donne possono uscire ad ascoltare. Io capisco di dover lasciare loro il centro. Mi ammucchio tra i bambini che applaudono e gli uomini che suonano con ferocia crescente. Io sono uno di quegli uomini. Non posso più tornare indietro. Il campo si muove, la recinzione vortica impazzita. Si allarga e restringe, inghiotte la porta da dove sono entrato.
Allora l’unica soluzione sarebbe ascendere, ma la polvere è salvezza e punizione divina. Non volano nemmeno gli uccelli in questo campo di galline allevate alla libertà. Quindi la musica diventa specchio, e i denti d’oro mattoni scagliati contro. Mi vedo in mille pezzi in una litania che invero è un canto infernale e appena lo apprendo i bambini si nascondono sotto le vesti delle donne, costringendole a diventare cerchio e gli uomini punto centrale. Io sono il raggio stilizzato. Sotto la sabbia emerge la legna, un uomo dai lunghi capelli neri e gli occhi verdi apre la bocca, penso stia per intonare un altro canto. Uno terribile. Invece fuoco. Sputa fuoco luminoso e caldo, caldissimo. Di colpo ho bisogno di togliermi il cappotto. Rimango maglione pantaloni e scarpe. Via via le figure umane scompaiono. Rimango solo in un fuoco immenso. Dimentico il pudore; mi tolgo i vestiti.
Il membro è freddo, unico componente freddo in un corpo caldo. In un mondo caldo. È molto buio intorno, in una notte senza luna dove le stelle sono coperte dalle nuvole. Piango. Una donna che pensavo Sputafuoco si avvicina lentamente. Mi guarda negli occhi e mi tira un ceffone, segue un’altra. Poi un’altra ancora. Tutte le donne del campo hanno picchiato la mia pelle che da bianca è diventata marrone,poi viola e infine grazie al vento che ha preso a soffiare gelido si è stabilizzata sul rosso.
Soltanto allora ricompare la prima donna e, con lo stesso passo lento, si inginocchia. Prende il membro tra le mani, lo scongela. Lo fa sentire un canarino, mentre qualcuno mi solleva dalle ascelle. Il calore delle fiamme invade la schiena, e poi entra nello stomaco e infuoca i lombi. Sono sdraiato sulle fiamme. Non provo dolore. La prima donna è nuda, ha i capelli viola, sorride. Mi infila un dito nell’ombelico e spinge. Le fiamme si arrestano, la legna diventa brace. Compare un letto, poi viene coperto da un baldacchino antico. La primadonna apre le gambe. Io avanzo. Tocco il velluto del letto, entro. Lei grida. Grida di piacere e dolore.
Io non posso più fermarmi, sento il seme uscire, fecondarla. Lei sospira e se ne va. Davanti a me si spalanca la percezione del tempo e abbatte lo spazio, sbriciola la materia. Sono un corpo celeste che se ne sta assurdamente supino sul materasso quando ne viene un’altra. Penso di aver già dato tutto, ma lei si spoglia e capisco di avere ancora più forza. La vedo strisciare sul soffitto del baldacchino, poi cadere sul materasso e strisciare ancora. Sento accrescere la mia forza nel suo movimento. Gridiamo insieme. Ma io so che le sue grida contengono una percentuale maggiore di dolore.Vengo ancora. Lei inietta tutto il suo veleno nel mio collo, se ne va. Perdo la cognizione delle donne che entrano, gemono, godono, urlano e scompaiono. Sono all’acme della mia lucentezza quando capisco di aver soltanto un’ultima donna. Questa è timida, scuote le tende col naso, mostra mezzo viso. Ha paura di entrare, trema. La desidero ardentemente.Voglio
prenderle ogni lembo di pelle e farne un tappeto di endorfine. Lei forse mi sente pensare, o forse guarda il mio membro gonfio. Il dolore delle donne l’ha fatto crescere a dismisura. Quindi sembra decidersi, mette un braccio sul materasso, poi fa per ritrarsi ma le rimane il palmo attaccato. Io allora mi alzo, le accarezzo i capelli. Le dico che non c’è solo un modo in cui le cose devono andare, quindi le lascio libera la mano. Di colpo il letto, e la donna con esso, scompaiono; io cado a terra, nudo. La terra è fredda e sono molto stanco, il membro è un frutto appassito. I bambini escono come sciami d’api dalle loro roulotte e mi circondano. Ridono, mi lanciano le loro caccole. Arriva Sputafuoco e apre la bocca, li sparpaglia, mi porge degli stracci. Il tempo torna ad essere una definizione credibile, così come lo spazio muto e la pesantezza della materia.
Ricompare l’uscita, esito. Mi guardo intorno. Sento la polvere del primo momento muoversi nei polmoni e poi risalire raschiando la gola. Soffoco. La vedo uscire al naso. Il sole si avvicina. Luce. Garbatella, nextstop Garbatella. Right side have sit.
Vedo la donna dai capelli viola scendere. L’infante che porta in braccio sorride. Forse mi sorride. Io guardo il suo piede destro, poi il mio ginocchio sinistro. Le scarpe bianche e rosa che l’hanno carezzato lasciandogli un po’ di sporcizia. Sorrido, ma già sento nostalgia della sua storia.

