Basta con le scritte sui muri di Andrea Muni ⥀ Passaggi

La rubrica Passaggi dedica la sua pubblicazione di oggi alla serie di prose Basta con le scritte sui muri di Andrea Muni. L’illustrazione che le accompagna è di Marco Novak. L’editoriale della rubrica può essere letto qui

Illustrazione in copertina di Marco Novak, In sintonia coi alberi!, 2023.

 



 

La verità è che la scrittura mi annoia, la lettura pure; mi danno noia. Ma soprattutto mi stufa tornire, dosare, ponderare, soppesare, le parole.

Sì, ‘ste cazzo di parole. Quanto mi stanno sulle palle; mi piace proprio non farle sentire troppo importanti, non dargli la soddisfazione di sapersi fondamentali.

Ho sempre considerato una specie di missione quella di fargli abbassare la cresta, prime donne. Spero ormai se lo siano ficcato bene in testa, per me non sono che pezzetti di mondo – suoni o segni.

Bugie grandi e piccole, che illudono di comunicare con gli altri, con se stessi, con chi amiamo, con dio; dolcetti e scherzetti da Carnevale, che non parlano mai davvero delle cose…

o di qualsiasi cosa.

 

 

Oh e poi, non ce n’è, quando sono scritte pare lo sappiano, che se lo sentano, di essere più importanti. Si vede. Prendono posto per bene, si stendono comode nello spazio, o sullo schermo. In posa.

Si accomodano, come il parente ingombrante che si liquefà sul divano appena finito il pranzo di Natale.

È così, non posso farci niente: leggo e mi annoio, scrivo e mi dà noia; non ne esco, non ne vengo più fuori. Uffa!

Che poi in teoria io odio Platone, ma cristo se aveva ragione quando ha fatto quella sparata contro la scrittura. Lui e il suo Teuth. Mi rubano pure le idee. Che stronzi!

 

 

Perché non può essere come parlare? Scrivere, in fondo, non è tipo parlare ma solo con dei segni al posto dei suoni? Boh. Ma perché, perché scrivere, io veramente non capisco, che coglioni! Basta! Adesso smetto!

E che fatica poi, tutto questo guardare, vedere, questa fiumana di cose che ti entrano nelle pupille, che metti giù sulla carta, che ti colano dalla penna, che fai zampillare sullo schermo.

Tutto questo vedere. Vanno, vengono: tutto un via vai dentro e fuori gli occhi. Che fatica! Li chiudo e le vedo volarmi in stormi, in vortici, per la testa. Come fosfemi.

E no, non  credo che una buona igiene possa rendere le parole scritte meno nauseanti, meno invadenti.

Gli inglesi non conoscono il bidé e scrivono notoriamente malissimo. Ma Madame de Pompadour, in compenso, metteva il profumo sopra il sudore…

 

 

E mi puzza quel filosofo austriaco simpatico, Wittgenstein, quando sogna un mondo rimesso in ordine da parole giuste al posto giusto – era pur sempre un ingegnere.

Non mi convincono nemmeno i letterati, che soppesano al millimetro ogni parola, perché tanto non smetteremo mai di mentire agli altri, e a noi stessi. Quindi perché andare troppo per il sottile?

Molto meglio i giornalisti, il loro odio per la scrittura almeno va dignitosamente a braccetto con quello che provano per se stessi e il loro lavoro!

Occhi allo specchio, se parlo, le parole sbattono sul vetro e rientrano dalle orecchie. Leonardo scriveva le parole al contrario, si poteva leggerle solo riflesse in uno specchio.

 

 

Non è la mia parola, non è la mia parola che, manca al grande puzzle. Non è lei che, in mia vece, era attesa dagli astri per ricominciare a girare.

Il silenzio, in fondo, è solo una parola.

Io non sono dietro di lei, né dentro. Un Otello assente, che brucia di gelosia per non avere altra esistenza che la sua. Desdemona.

Lei non mi traduce, piuttosto mi inscena, mi dà l’unica vita che mai avrò, mi rappresenta – ma come un attore.

 

 

Ecco, ecco cos’è! Odio le parole scritte perché mi illudono di poter chiudere il cerchio, di riempire la buca; nutrono il grande sogno cosmico di poter far ripartire all’unisono tutti gli orologi. Soprattutto quelli più piccoli, quelli infinitesimali, quelli che si riparano solo con quei minuscoli cacciavitini…

Ma le parole “vere” entrano dalle orecchie: sono dolci, amare, secche, hanno toni, ti trapassano avvolte in un soffio di fiato pesante o gradevole; che buono quando sa di quei mini-biscottini al cioccolato. Come si chiamano? Ah sì, Leibniz.

 

 

Le parole che entrano dalle orecchie sono suoni, rumori del mondo, impastati di me e di te; quelle che entrano dagli occhi, o escono dalle mani, si colorano solo del mio, o del tuo. A turno.

Non fanno squadra con nessuno. Come i tennisti.

 

 

 


Chi volesse proporre prose brevi e illustrazioni per la rubrica, può inviarle a questo indirizzo email: RubricaPassaggi@argonline.it

Andrea Muni
Marco Novak, In sintonia coi alberi!, 2023.