Beati coloro che chiamano Lingua la solitudine. La poesia di Hilà Lahav

La poesia e l’impegno civile di Hilà Lahav. Raramente si trova una sensibilità che riesce a combinare le storie bibliche in un’ottica contemporanea, un modo per tornare a riflettere sulla religione, sul senso della vita, sulla condizione delle donne e sui rapporti tra ebrei e arabi.

Le poesie dell’israeliana Hilà Lahav, tratte dalla raccolta Sola, sono un’anteprima dell’Annuario di poesia 2015 di Argo.

Beati

Beati coloro che chiamano Lingua la solitudine
Perché essi avranno compreso:

Il Silenzio ha sinonimi svariati;
Questa calma significa: sei qui,
ma quella quiete: sei via.
Non c’è nessuna parola per felicità.

Eccomi si traduce come:
rimani

Testimonianza

Devo seguire il mio cuore.
Il mio grembo è ampio abbastanza da avvolgere tutti gli
stranieri uccisi.
Il mio petto contiene un veleno per chiunque mi avvisi
Di questo volo
intorno al sole
Mi metto in equilibrio sui piedi. Ecco il picco:
Potrei annegare. Quest’ultimo respiro
Testimonierà per me.

Il male minore

Il male minore vive
nelle strade.
È armato, dunque
giusto.
Un ultimo bambino domani deve morire,
I suoi occhi spalancati

Ora taci, Ismaele,
Lascia che la mia mano che non smette di cantare
cerchi la tua vendetta,
Perseguiterò i suoi soldati
Con la tua voce tremante.

Il male minore – celeste eunuco
Canta solo
i suoi inni.

Ma come ti sentono forte e chiaro
Quelli che affollano
le strade senza bombe.

“Ascolta,”
dicono, “come cinguettano
dolcemente i merli.”