Beppe Strillo e Matteo Saltini si odiavano | racconto di Angelica Paolorossi
Secondo me non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo, Ciechi che vedono, Ciechi che, pur vedendo, non vedono.”
José Saramago
BEPPE STRILLO E MATTEO SALTINI SI ODIAVANO
Beppe Strillo e Matteo Saltini si odiavano. Non si trattava soltanto di una faccenda di pelle, di una di quelle antipatie fatte di semplici sensazioni, no, quella era piuttosto una questione precisa, matematica oserei dire, poiché la si poteva a tutti gli effetti quantificare in numeri. Entrambi infatti erano a capo dei due maggiori partiti xenofobi del loro paese, l’Itaglia, di cui si contendevano l’elettorato a colpi di sceneggiate. Beppe Strillo, fondadore del Movimento 5 Sberle, si dedicava costantemente e con passione al suo blog, ma dobbiamo precisare che non era affatto l’unico a buffoneggiare così assiduamente perché Matteo Saltini, autoproclamatosi leader indiscutibile della Lega Lord, dal canto suo rispondeva a suon di clamororse pagliacciate direttamente dalla tv. Così ad esempio se capitava che il Beppe nazionale inondasse i social networks con dei lacrimevoli messaggi di compassione del tipo “Aiutiamo gli stranieri a casa loro” senza risparmiarsi in punti esclamativi, il Matteo nazionalista non si esimeva dal rispondere per le rime da qualche talk show con dei puntuali ed incisivi “Diamo fuoco agli stranieri a casa nostra”. I sondaggi erano impossibili: il simpaticometro continuava ad oscillare da destra a destra rimanendo, un po’ di più un po’ di meno, costantemente a destra e ogni qual volta uno dei nostri beniamini s’accaparrava un un per cento in più, ecco che parimenti l’odio dell’altro cresceva in maniera direttamente proporzionale. Non se ne poteva più. Fu così che un bel giorno il buon Satana, che di tiri buffi se ne intendeva, decise di giocare un tiro ai nostri burloni, levò gli occhi al cielo, batté tre volte il piede destro su un piccolo sgabello e fece scoccare la coda dicendo”Anbushtiterestibilirighemammetammurti” che più o meno significava ” Adesso non mi viene in mente niente ma domani, croce sul cuore, qualcosa mi invento!” “Asujistapiandiattura!” tuonò il giusto Dio, che tradotto suonerebbe più o meno così ” La smetti una buona volta di fare gli scongiuri?” Il buon Satana la smise.
Il giorno seguente il buon Satana si levò tutto entusiasta alle prime luci dell’alba perché riteneva di aver avuto un’idea davvero brillante “Adesciarmerdinaccattustrini!” “Che cosa vuoi fare? Non se ne parla proprio!” gli intimò il giusto Dio. ( Nota a margine: per questioni di pigrizia l’autore ha deciso che d’ora in poi tutti i suoi personaggi si esprimeranno direttamente in itagliano) “E invece lo voglio fare! Sarà divertente!” “Non credo proprio!” ” Io credo di si” “Io credo di no”. E così via per una buona mezzora come all’asilo” Hai ragione tu? No, ho ragione io!” Naturalmente aveva ragione il buon Satana a voler trasformare Beppe Strillo e Matteo Saltini in due profughi siriani, ma il giusto Dio, che mancava completamente di senso dell’ironia, dissentiva da un tale stravolgimento di identità e si intromise. Il buon Satana però se ne accorse soltanto quando ormai era troppo tardi, e cioè quando il barcone carico di migranti si rovesciò a largo della costa Itagliana e dalla riva si riuscivano a scorgere soltanto due tizi che, a differenza di tutti gli altri, si ostinavano a rimanere a galla. Il buon Satana divenne triste ” Proprio non ce la fai a farti i cazzi tuoi eh?” Anche il giusto Dio divenne triste e dovette riconoscere che no, proprio non ce la faceva a farsi i cazzi suoi.
E così i nostri buffi beniamini senza capire né come né perché, si ritrovarono improvvisamente in mezzo al mare a dover affrontare problemi del tutto inattesi. Beppe non si dava pace e continuava a ripetersi ” Ma com’è possibile? Ero lì in poltrona, davanti a a a a al computer, non ho neanche salvato i i i i il pezzo che stavo scriveeeendo, ma come si faaaaa, ma che cazzo, devo tornare lì, a a a a battere sui taaasti, non posso star qua a a a a fare le nuotatine non poooosso, una volta si ma adesso non posso più, devo navigare solo in reeeete, quello soltanto è i i i i il mio maaaaare, ma che storia è questa, se pesco chi è stato…” Anche Matteo da parte sua ci andava giù prolisso con le lamentele ” Maledetti! Io lo so, io lo so di chi è la colpa: è di quei quattro sfigati dei centri A-sociali! Ma non ce li hanno dei genitori che gli tirano quattro schiaffi? Accidenti! Sta cazzo di felpa non è neanche impermeabile come mi avevano assicurato quei maledetti cinesi, maledetti rom, maledetti negri, maledetti islamici, maledette zecche comuniste…” E avanti così finché lo stanco Beppe rivolse per primo la parola al suo acerrimo nemico “Io una volta me la feci una bella nuotata, ma a a a a almeno lì c’erano le telecamere, così è senza seeeeenso!” “Non me lo dire!”asserì il povero Matteo “Non posso credere di non avere con me neanche un misero palmare per mandare un selfie ai miei fans! Solo la foto aveva 10.000 like…” “Avrebbe avuto!” ” Come dici?” “Avrebbe… no niente, lascia perdere, non è importante… Guarda! Ci sono i miei amici!” “Dove? Ah a riva dici? No no, quelli sono amici miei!” “Più miei” “No più miei” “Facciamo a chi arriva prima?” “Ci sto!”
La vista delle forze dell’ordine aveva riportato un po’ di calma nei cuori dei nostri eroi che ritemprati nell’animo e rinfrancati nello spirito, erano abbastanza ringalluzziti da gettarsi nell’ennesima sfida e nuotare con tutte le loro forze verso quel porto sicuro. Il primo a riemergere dalle acque fu il nostro bulletto Matteo che ormai senza fiato, ma sempre padrone di sé, retto dell’entusiasmo che lo contraddistingueva, si mise a sbracciare tutto contento in direzione dei poliziotti disegnando nell’aria gesti che se per lui avevano il significato di “Avanti ragazzi scattate una bella foto della mia vittoria su Beppe!” per gli agenti non erano altro che pericolosi segni di minaccia che toglievano la sicura alla molla della giustizia. Quando arrivò la prima manganellata lo stupito Matteo si rifiutò di credere che un tale affronto gli arrivasse dritto dritto da quelli che lo proteggevano sempre, ma via via che i colpi si facevano più numerosi il nostro eroe si lasciò abbattere dal dolore e dallo sconforto e cadde a terra privo di sensi. In quel preciso momento toccò terra anche l’incauto Beppe che nonostante avesse assistito alla scena si precipitò comunque sul luogo del misfatto credendo ingenuamente che a lui le cose sarebbero andate diversamente “Agenti! Qua qua qua quando vi ho visti…” “Qua qua qua! Facciamo i scpiritoso eh? Qua qua qua fa la paperella, pi pi pi pi fa il pinguino, male male male fa il manganellino!” e così l’allegro agente canterino spedì l’umiliato Beppe nel mondo dei sogni accanto all’acerrimo nemico di sempre.
Quando il confuso Matteo riaprì gli occhi un brivido di terrore lo percorse dalla punta dei capelli alle dita dei piedi e realizzò di trovarsi rinchiuso in uno spazio a dir poco angusto con un sacco di facce che non gli piacevano per niente, tant’è che quando riconobbe fra i tanti il traumatizzato Beppe lo chiamò addirittura amico. Proprio così! “Amico!” gli disse “Torna in te!” Ma il traumatizzato Beppe se ne restava rannicchiato in un angolo, lo sguardo perso nel vuoto, le braccia serrate alle ginocchia, e dondolando il capo avanti e indietro non la smetteva più di sussurrare alle pareti “Pi pi pi pi fa il pinguino! Male male male fa il manganellino!” Va detto che l’amorevole Matteo si prodigò anima e corpo per riportare il rivale alla ragione anche perché tutti gli altri poveracci stravolti con cui doveva condividere quei pochi metri cubi d’aria gli facevano molto più schifo e soprattutto più paura. ” Beppe! Beppe! ” Lo scuoteva! “Beppe mi senti? Qui dentro è pieno di sporchi negri, ce ne dobbiamo andare! Beppe! Beppe! Dobbiamo scappare! Beppe mi senti?” A quel punto il sagace Matteo capì che c’era solo una formula magica al mondo che avrebbe potuto ricondurlo alla ragione e, sacrificandosi per una giusta causa, gli tirò cinque sberle e col braccio teso e proteso verso di lui lo risvegliò gridando “Heil Beppe!” “Compagno Saltini!” “Ma che cazzo dici? Rincoglionito pentasberlato! Compagno sarai tu e tu sorella!” “Sarete!” “Cosa?” “No, dicevo a a a a al plurale…va bè, niente, lasciamo stare …camerata, volevo dire camerata!” “Ecco, così va meglio!” “Ma ma ma ma dove ci troviamo camerata Saltini? Che storia è questa?” “Tieniti forte camerata Strillo: i rom ci hanno rubato i soldi e le identità!” ” Ma che dici Matteo? Non è che quei colpi in testa ti hanno toccato anche il cervello?” Il creativo Matteo si passò l’indice sull’ematoma più grosso che aveva in fronte e iniziò a raccontare” Questa la vedi? Questa è una cicatrice di guerra, opera di quei quattro teppistelli dei centri A-sociali che mi hanno lanciato delle pietre appena sono uscito vittorioso dall’acqua, non vedo l’ora di farmi una foto e postarla su facebook, lo devono sapere tutti chi è stato, lo devono sapere tutti come si comportano quei fannulloni, ah ma se questo è il loro concetto di democrazia…” L’attento Beppe lo seguiva quasi incantato e gli riconosceva, non senza una discreta dose d’invidia, un vero talento nell’ inventare storie, tanto che se non avesse assistito lui stesso in prima persona al reale svolgimento dei fatti si sarebbe sicuramente lasciato convincere da quella fantasiosa versione. “Devo provarci anch’io qualche volta ” si disse, quando il flusso dei suoi pensieri e quello delle parole dell’appassionato Matteo furono simultaneamente interrotti da un promettente rumore di chiavistello. “Ancora tu Dio?” si spazientì il buon Satana.
Il direttore del CIE (centro per l’istantanea estromissione dai diritti dell’uomo) si fece sulla porta scortato dagli agenti e indicando i nostri eroi disse ” tu e tu: venite con me!” poi rivolto al ragazzino che stava tentando di impiccarsi con un paio di pantaloni “Tu pezzo di ingrato! Smettila subito! Vuoi farci finire di nuovo sui giornali?” e infine rivolto al giusto Dio “Oh signore vuoi vedermi morto? Gli tolgo le lamette, gli tolgo le lenzuola, gli tolgo i lacci delle scarpe, che altro si inventeranno per farmi uscire di testa?” “C’ha ragione!” si scaldò anche il buon Satana ” Mi spieghi perché mai non ti occupi di queste situazioni anziché dei fatti miei?” Il giusto Dio glielo spiegò. “Io non posso violare la legge degli uomini: se quelli dicono che ci vuole un pezzo di carta per andare da qui a lì , o un pezzo di carta per fare questo o quello, io non posso farci proprio niente ” “Ma quegli altri due li stai aiutando da tutto il giorno!” “Si ma solo perché nel rispetto delle regole degli uomini non posso ignorare che loro due i pezzi di carta ce li hanno già e io…” Bla bla bla! Il buon Satana smise di ascoltare il giusto Dio e addirittura, contro la volontà dell’autore, decise altresì di uscire definitivamente da questa storia con la motivazione che “Quel prevaricatore di Dio non lo posso più sopportare.”
Va messo agli atti che alle ore 5.35 del giorno 18 di maggio l’autore si mise le mani tra i capelli e iniziò ad imprecare per quell’abbandono “Ho mai detto rinuncio a Satana eh? L’ho mai detto forse?” Il giusto Dio disse che in effetti si, che l’autore lo aveva detto a tredici anni in Chiesa, che in quella situazione bizzarra da buffetto del prete, madrina, candele, preghiere e tutto il resto, alla domanda rinunci a satana aveva risposto rinuncio. L’autore dovette riconoscere che quel giusto Dio era davvero un personaggio scomodo se nonostante l’infinità degli anni poteva ancora contare su una memoria di gran lunga superiore alla sua. Nel frattempo il direttore del Cie si stava formalmente scusando coi nostri birbantelli preferiti per lo spiacevole equivoco occorso “…Ma tra tutta la confusione dell’identifica questo, priva dei diritti quell’altro, cataloga impronte di qua, ammonticchia domande d’asilo di là, m’erano proprio sfuggiti i biglietti vostri vincenti alla lotteria nati dalla parte di mondo fortunata, perciò ecco ora riprendete i vostri documenti e andatevene fuori di qui a ritirare il prestigioso premio mors tua vita mea che io ho un sacco da fare, c’è pure un giornalista qua fuori che vorrebbe assolutamente entrare ma voi ve ne sarete accorti, non c’è niente di bello qua da raccontare, zero scoop, nessun ricongiungimento strappalacrime di mamme gatte coi loro gattini…”
I nostri eroi non ebbero niente da obiettare. Salutarono e si lasciarono alle spalle quel brutto posto per sempre. ” Hai visto Mattè che merda essere dei poveraaaacci?” “Ruspa! Ci vorrebbe una bella ruspa! Spianare, riqualificare, costruire nuovi centri commerciali, salutare, farsi foto con le commesse, sorridere alle telecamere…” “A caaaasa! Vi manderemo tutti a caaaasa!” “Ma con chi ce l’hai adesso? Con me o coi negracci?” “Boh, non lo so più neanche io, sono confuuuso, mi mi mi mi manca la mia tastieeeera! Non riesco a a a a ragionare seeeenza!” “Tu sei troppo teso Beppe, te lo dico io di cosa hai bisogno, tu hai bisogno di una donna…to’ guarda per esempio quella lì…signorinaaa signorinaaa venga qua che le presento un amico!” “Ma ma ma ma ma che fai Saltiiiini?” “Signorina che cosa fa domani? Vorrebbe uscire col mio amico Beppe qui? Lui è un buon partito, non a livello politico intendiamoci, un buon partito nel senso che ha un sacco di soldi.” “Be’ è davvero difficile per me declinare un invito tanto elegante ma purtroppo domani ho già un altro appuntamento, devo fare una mammografia e…” E siccome Beppe ci stava rimanendo un po’ più male del previsto l’altruista Matteo salutò la sfortunata comparsa del nostro raccontino con un definitivo “E allora vattene affanculo brutta zecca comunista!” poi rivolto all’amico-nemico proclamò solennemente “Non ti abbattere mai! Ricorda sempre la canzone di Gianni Romantici Una su mille te la dà ” Il nostro dolce Strillo si sentì commosso da tanta risoluta dolcezza e tentò di abbracciare l’impavido Saltini che in tutta risposta lo allontanò con uno spintone deciso “Ma che cazzo fai culattone? Mica sono frocio!” “E daaaaaai solo un abbracciiiino!” ” E va bene su, vieni qui testone tenero! Ma capisci bene che se allunghi le mani te le stacco! Ordine e disciplina! Ordine e disciplina!”
A quel punto Beppe Strillo e Matteo Saltini non si odiavano più. Certo rimaneva ancora della sana rivalità tra loro, erano pur sempre due diretti avversari politici, ma grazie all’intuizione del buon Satana e all’intromissione del giusto Dio, i nostri amabili mattacchioni si erano resi conto che il comune orrore per gli indigenti poteva essere un collante abbastanza resistente da tenere insieme, non dico proprio un’ amicizia, ma sicuramente un rapporto nobile. Come si suol dire: tutto è bene quel che finisce bene e i nostri altolocati eroi possono finalmente ritornare alla realtà delle loro finzioni multimediali. Sorride alle telecamere il coraggioso Saltini mentre spiega quanto il tempestivo intervento delle forze dell’ordine sia stato decisivo a salvargli la vita dal fitto lancio di pietre partito dai teppistelli dei centri sociali che volevano impedirgli di riprendersi i documenti sottrattigli da un pericolosissimo clan di bambini rom armati da certi islamici che avevano raggiunto illegalmente l’Itaglia per rubare l’aria agli itagliani… “Che mattacchione!” pensa Strillo sorridendo bonario a quella voce che dal televisore gli ha tenuto compagnia durante la stesura del pezzo, poi rivolgendosi irato al computer grida ” Affancuuuulo brutta zecca comuniiiista!” e dopo aver cliccato su invio, rilegge il post soddisfatto. ” Amici! Ma voi lo sapete quanto ci costano in Itaglia le mammografie? Uno sproposito! Soldi che possiamo risparmiare! Se proprio queste donne scrupolose non vogliono avere i tumori, be’, allora io dico: che se li paghino da sole i controlli! Fate girare! Questi sono soldi che possiamo risparmiare ma attenzione: i giornali non lo dicono! Condividete!”
©Angelica Paolorossi