Johnson è superelettrico oggi; risale a piedi Saint Urbain, rincasa, un lampione spento si accende sopra di lui, uno acceso, si spegne. Nemmeno improvvisamente, un discovolante nero e striato di bianco, delle dimensioni di un coperchio di pattumiera, atterra davanti a lui, ad una decina di metri, sul marciapiede, schizzato fuori da un locale alla moda. Scruta Johnson e si rifugia sotto un’auto parcheggiata, dopo aver ricevuto dall’unico testimone la promessa di un silenzio complice. Pochi secondi dopo, dietro di lui una folla infettata viene rigurgitata in strada, gridando e vomitando : uomini prestanti e ben vestiti esplodono di rabbia e stabuzzano gli occhi per individuare il colpevole, prendono a calci lampioni e specchietti retrovisori, sputano e imprecano; un nugolo di ragazze, la stessa Barbie replicata con tutto il suo guardaroba e la sua socialità differenziale, cola fuori, si decompone e si disperde, il pianto convulso scioglie i trucchi e trasforma i visi in macchie. Singhiozzi e lacrime, come se nella sala fosse piovuto un lacrimogeno.
Le buone maniere e i gesti della clientela dei Billioner e dello Spettacolo si perdono nel tanfo, allora l’unico modo di dire il disgusto, lo sconcerto, la paura, la rabbia sono per un secondo le pose dei wrestlers o dei personaggi dei film d’azione, sono l’autentica imitazione delle scene drammatiche del cinema e delle soap, delle crisi di panico, delle rappresentazione della sofferenza, del dolore, della tragedia. Ma dopo un attimo questo linguaggio, l’unico che possiedono e riconoscono ma che non appartiene loro, si perde, si vuota. Ridotti a singolarità qualunque, isolati e analfabeti, finalmente soli, sono abbandonati alla loro costernazione e la vivono. Il pianto diventa semplicemente pianto, il disorientamento disorientamento, il panico panico. Grazie ad una provvidenziale moffetta che stanotte ha preso la decisione terribile di purgare, di purificare il bloom, la massa molle di esseri inesistenti. Il puzzo acido e terribile, il fetore che impregnerà per giorni i loro corpi e li obbligherà a sentirsi vivi con disgusto, la nemesi che colpisce la vita narcotizzata.
Un procione lavatore ha assistito alla scena nascosto dietro ad un albero, dall’altra parte della strada, ai limiti del parco: da bravo collaborazionista ora esce allo scoperto e sta per indicare ad un manipolo di piacenti squadristi, costituitosi nella disperazione per dare la caccia al bioterrorista, il suo nascondiglio. Incapaci di leggere la propria sconfitta, questi irriducibili hanno bisogno di un nemico, di un colpevole da punire per aver attentato al profumo e al gioco della seduzione. Allora Johnson elettrico intuisce, raccoglie un cubetto di porfido da terra e lo scaglia contro il procione, tramortendolo. Il manipolo é disorientato, incapace di canalizzare la propria frustrazione, punta Johnson automaticamente, si lancia all’inseguimento. E lui non trova di meglio che infilarsi – manovra apparentemente suicida – nel locale che poco prima conteneva gli appestati: se li trascina dietro, l’aria é fetida e fumosa, l’impianto antincendio si é attivato e dei getti d’acqua piovono dal soffitto, le luminarie che non si sono fulminate riverberano e sparpagliano luminescenze decomposte, vibranti, la musica house si scioglie nel vapore e si aggroviglia mentre l’impianto fonde. Il set di Blade Runner. Gli inseguitori rimangono un attimo sulla soglia, poi avanzano disorientati, in silenzio, con bocche spalancate e occhi semi chiusi, come pesci di profondità. Johnson scivola dietro il bancone e inizia a preparare dei drink, li serve amorevolmente al manipolo che tende lentamente mani aperte, poi a tutti gli altri, rientrati in processione, con occhi rossi e lucidi di pianto, visi affranti, maquillages colati, abiti disabitati. Respirano profondamente l’aria irrespirabile, sorseggiano senza parlare. Johnson poi è già scivolato fuori, ha ripreso la strada di casa accompagnato dalla moffetta, quando all’interno del locale ciascuno a modo suo, spontaneamente e secondo il proprio gusto, inizia a devastare ogni cosa; i cristalli esplodono, i vetri si frantumano, le poltroncine evacuano il loro ripieno, i lampadari diventano liane finché reggono, il bancone del bar si allaga, le decorazioni si ricollocano secondo un’estetica aleatoria, le pareti tambureggiano se non cedono.
Il giornale di domani titolerà : moffetta attacca un disco club : la clientela impazzita disintegra un locale del centro; esitazione ed imbarazzo nella formulazione delle imputazioni nei confronti dell’animale, che peraltro approfittando del caos si é dato alla macchia.
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