Bombardare il nucleo tematico ⥀ Egocentrismo e tensione narrativa in Oppenheimer di Christopher Nolan
Oppenheimer è un film che solo in apparenza ha il suo nucleo centrale nel dilemma etico sorto intorno alla creazione della bomba atomica. Una recensione all’ultimo film di Christopher Nolan
Nel presente articolo, si cercherà di sostenere la seguente idea: Oppenheimer, l’ultimo film di Christopher Nolan, cerca di ingannare continuamente lo spettatore su quale sia il suo tema centrale. Tale operazione viene portata avanti attraverso quella che è ormai considerata la principale cifra stilistica del regista britannico: la struttura narrativa complessa, in cui più piani temporali si intersecano tra di loro. Infatti, Nolan può essere considerato un vero maestro della tensione narrativa, intendendo con quest’ultima la capacità, da parte di un racconto, di generare effetti di ansia, curiosità o sorpresa in chi fruisce l’opera1. Questi effetti vengono resi giocando sul rilascio di informazioni: ogni scena, di fatto, aggiunge nuovi dettagli alla storia narrata, ma allo stesso tempo crea nuovi enigmi. La visione del film, quindi, è un continuo oscillare tra la soddisfazione per le nuove informazioni apprese e la frustrazione per ciò che ancora viene celato dalla storia. Nel linguaggio narratologico, la suspense è il desiderio di sapere come andranno a finire le cose, mentre la curiosità è ciò che porta lo spettatore a interrogarsi su cosa sia accaduto in passato. La sorpresa, invece, è l’immissione, nel racconto, di informazioni non deducibili da quelle rilasciate fino all’apparizione della sorpresa stessa. L’autore con gli effetti di tensione può spingere lo spettatore a concentrarsi su determinati elementi della storia, anziché su altri. Per tale motivo, l’uso di una rappresentazione temporale così complessa non è un mero sfoggio di maestria narrativa da parte di Nolan, ma una precisa strategia per indirizzare lo sguardo dello spettatore su ciò che vuole lui, per confondere le idee.
Il primo effetto di tensione sgorga dal titolo del film stesso: sappiamo che è un film su Oppenheimer, il quale è noto per essere stato a capo del progetto che ha portato alla creazione della bomba atomica. Quindi, in linea di massima, lo spettatore, ancora prima di entrare in sala, si aspetta un film in cui il tema della bomba sia centrale. E, di fatto, gran parte della trama mostra questa continua tensione, è proprio il caso di dirlo, verso la soluzione di tutti i problemi teorici e pratici legati all’ideazione di un ordigno così pericoloso. Oltre alla grande corsa verso la bomba, Oppenheimer mostra anche il conflitto interiore del protagonista, impaurito ed eccitato dalla possibilità di dare vita a qualcosa di così grande e, allo stesso tempo, di così mortale.
Ecco, vorrei soffermarmi su questo punto: Oppenheimer, a parer mio, è un film che fa soltanto credere che il suo nucleo centrale è il dilemma etico sorto intorno alla bomba. In realtà, tale tema, caricato di un’enorme tensione narrativa e quindi riempito di aspettative, viene gettato via in una scena dai tratti grotteschi.
Dopo le tragedie di Hiroshima e Nagasaki, Oppenheimer incontra il Presidente degli Stati Uniti, Harry S. Truman. Il protagonista qui appare nel suo momento di massima conflittualità interiore: l’interprete, Cillian Murphy, mostra alla telecamera un volto ancora più scavato rispetto alla già magra fisionomia del personaggio, perché roso dal dubbio di aver scatenato forze mortali che avrebbero dovuto restare dormienti. Un Amleto di fronte alla consapevolezza di aver evocato forze lovecraftiane. Di tutta risposta, appare il volto di Truman: la tensione tragica viene lasciata infrangere contro una frase che liquida subito qualsiasi dilemma etico. Nessuno accuserà l’inventore della bomba, tutti chi ha dato l’ordine di sganciarla. E Truman, da vero uomo, è pronto a prendersi questa responsabilità, accusando Oppenheimer di essere un piagnucoloso e scacciandolo in malo modo dallo studio ovale.
L’intero peso di un dilemma etico che impegnerà la filosofia del secondo Novecento viene cancellato da un commento da maschio tossico. La scena può essere considerata comica, poiché il riso scaturisce dal contrasto di registri che si susseguono dal passaggio dal volto di Oppenheimer a quello di Truman: da una parte il tono elevato della tragedia, dall’altra le maniere spicciole del pragmatico maschio americano.
La scena, però, mette in evidenza quello che è, a parer mio, il grande tema del film: la credenza, da parte degli uomini illustri e delle menti brillanti, che tutto dipenda dalle loro azioni. Che le loro decisioni siano così fondamentali per le vicende umane. L’incontro tra Oppenheimer e Truman è lo scontro tra due uomini che, con stili completamente diversi, rivendicano la responsabilità di un’immane tragedia. Ma, così facendo, il discorso, anziché concentrarsi sui morti, si focalizza solo su loro stessi.
Un’altra scena è importante per capire questo aspetto. In essa, Oppenheimer piange la notizia del suicidio della sua amante. Il protagonista si dispera perché è convinto che la donna si sia tolta la vita a causa delle sue azioni. Tuttavia, ammettendo i propri errori, Oppenheimer mostra tutto l’egocentrismo di chi crede che un’azione così complessa, come quella del suicidio, possa dipendere dalle mancanze di un solo uomo.
Nel film, a incarnare in maniera netta questa forma di egocentrismo è il personaggio Lewis Strauss. A testimonianza che sia l’egocentrismo e non la bomba atomica il tema centrale del film c’è anche la struttura narrativa di Oppenheimer: mentre la trama delle creazione della bomba trova la sua conclusione in un punto centrale della narrazione, il conflitto tra lo scienziato e il politico accompagna lo spettatore fino alla fine del film. Di fatto, l’intera linea narrativa di Strauss si fonda sulla sua convinzione che, durante una conversazione di Oppenheimer con Einstein, si sia parlato male di lui. La scena è così importante che Nolan decide di concludere il film svelando cosa si siano effettivamente detti i due scienziati: guarda caso, non stavano affatto parlando di Strauss, preoccupati, invece, per questioni più importanti, legate alla creazione della bomba atomica. Pertanto, l’astio di Strauss, che arriva a smuovere tutto il suo potere politico pur di rovinare la carriera di Oppenheimer, si fonda sul suo egocentrismo, che lo porta a credere che ogni cosa abbia a che vedere con lui.
Se nella figura di Strauss si condensa la problematica del film, è in un personaggio che appare per pochi secondi che bisogna riconoscere la sintesi della poetica di Oppenheimer. Esso assume i tratti di una citazione, cioè di un elemento che può essere compreso appieno se si conosce la fonte originaria. In questo caso, la vita di Kurt Gödel. Gödel è considerato uno dei più grandi logici di tutti i tempi: nel film appare in una delle sue note passeggiate nei boschi in compagnia di Einstein. Nella fase finale della sua vita, l’uomo, scappato dalla Germania nazista, è stato affetto da una forma di paranoia così intensa da averlo condotto alla morte: impaurito dalla possibilità di essere avvelenato da chissà quale spia nazista, Gödel non è sopravvissuto al suo quasi totale rifiuto di mangiare. Nel film stesso, Einstein fa accenno ai problemi di nutrizione del suo amico. In fin dei conti, la paranoia può essere considerata la deriva estrema dell’atteggiamento logico. Infatti, la logica studia in che modo i vari fatti o i vari elementi sono razionalmente interdipendenti tra di loro, mentre la paranoia, al contrario, vede collegamenti tra le cose anche dove non ci sono. La paranoia è, in sostanza, la condizione che affetta colui che crede di poter tenere tutto sotto controllo. Nel film, Gödel afferma di adorare i boschi, perché viene ispirato dallo schema degli alberi. Il logico è attratto, quindi, da un ordine che, però, scaturisce da elementi casuali. Il bosco è una struttura che si forma non perché segue una precisa volontà o uno specifico schema logico, ma che si crea in maniera caotica. Gödel contempla la bellezza di un ordine che non può essere ridotto a una legge matematica o alla decisione di qualcuno. Un ordine senza dio, insomma.
Oppenheimer, contro il suo stesso titolo, non è la storia di un uomo, né una storia che dipende dall’azione di un solo uomo. Al contrario, è la rappresentazione della Storia, con la s maiuscola, che si dipana dall’interazione tra più individui. Parla di quell’ordine che nasce dall’incontro di tanti protagonismi o egoismi.
Oppenheimer è, forse, anche un film western. Alcune riprese legate alla cittadina di Los Alamos rievocano quell’immaginario. D’altronde, non bisogna dimenticare che, per quegli anni, l’epopea del Selvaggio West era affare di appena cinquant’anni addietro. Ma, in un’epoca in cui non c’è più spazio per i pionieri, questi cercatori di fortuna in zone inesplorate del globo, Oppenheimer dà vita a un gruppo ricercatori che, sullo sfondo del New Mexico, cercano di osservare i lati oscuri della materia.
Non importa quanto siano ordinate le scrivanie degli accademici, quanto siano puliti i fogli su cui segnano le proprie idee. Non c’è avventura senza violenza e la scoperta può essere entusiasmante solo se comporta un certo grado di pericolo. E di rischio, perché non tutto può rientrare in un progetto politico, in una legge o in una formula matematica.
Note
1 Da un punto di vista teorico, la teoria tensionale della narrativa viene esposta in maniera chiara in Raphaël Baroni, La tension narrative, Seuil, Paris 2007. In Italia, la rivista Enthymema ha tradotto i lavori di Meir Sternberg, considerati seminali per tale teoria.

Gerardo Iandoli
La mia biografia: Gerardo Iandoli (Avellino, 1990) si è laureato a Bologna e dottorato all'Università di Aix-Marseille, entrambe le volte in Italianistica. Si occupa di teoria letteraria e rappresentazioni della violenza nella letteratura, nel fumetto e nelle serialità televisiva italiana degli anni Duemila. Scrive per la rubrica UniversoPoesia di Strisciarossa. Ha pubblicato un libro di poesie, Arrevuoto (Oèdipus 2019).