Borgopoli ⥀ Opera collettiva solarpunk #11
Il viaggio nella Borgopoli marchigiana prosegue nel racconto di un’opera collettiva solarpunk. Il racconto che vi presentiamo oggi è di Alcide Pierantozzi, l’illustrazione di Alec Maginarium. È possibile leggere qui l’editoriale della rubrica e la lista dei contributi pubblicati finora
#11
Avrei bisogno di una mappa topografica dei sogni, un’oniro-mappa, per raccontare qualcosa delle Marche.
Da Milano sogno sempre luoghi e città marchigiane che nella realtà non esistono (ancora) – e che si innestano strategicamente vicino alle zone della regione a me più care.
Almeno una volta a settimana, ad esempio, sogno una cittadina a ovest di Ascoli (c’è solo l’Abruzzo, nella cosiddetta realtà) dove mi trovo sempre a passare per caso. È una specie di borgo medievale con una chiesa irta su un poggio, ma è anche un pezzetto di metropoli perché ci sono molti sportelli bancomat, un imponente parco giochi, una Feltrinelli con annesso un reparto di abiti vintage (sic) e, soprattutto, un negozio di animali. Io me ne vado in giro per questa città metafisica sempre sotto lo stesso cielo angosciante e fumoso, un cielo che sembra ricordarmi la dimensione onirica dello spazio in cui mi trovo. A volte vado a provarmi un giaccone che mi sta piccolo in libreria, a volte vado a vedere i cani e i gatti esposti in vetrina.
Ma non è l’unico luogo immaginato in cui mi imbatto, visto che la maggior parte delle volte, almeno tre volte a settimana, sogno di trovarmi a San Benedetto – che è diventata enorme e i palazzi si estendono fino alla fortezza di Acquaviva Picena, la sentina del Tronto non è più riserva naturale per i fenicotteri e i rospiciattoli di palude hanno lasciato la scena a una parata di appartamenti e grattacieli in bilico sull’acqua. Sogno sempre grattacieli in bilico, d’altronde, forse perché l’anno scorso a Porto d’Ascoli stava per crollare un palazzo appena costruito e c’è stato il panico, ricordo di aver letto un libro di poesie di Clemente Rebora al tavolo di un bar proprio là sotto, e a ogni verso del poeta mi sembrava di sentir scricchiolare il palazzo, e lo vedevo pendere come la torre di Pisa, forse un po’ meno, ma sempre in bilico, mentre alle sue spalle si apriva una quinta di palme smeraldine coi rami devastati dal punteruolo rosso.
Sogno che a San Benedetto c’è il capolinea di una metropolitana, con i convogli in sosta davanti alla banchina, pittati da qualche epigono di Andrea Pazienza.
A nord di San Benedetto ci arrivo sempre volando fra le spire della notte. A luglio di due anni fa ho fatto un sogno che molti chiamerebbero esperienza astrale e ho praticamente volato da Colonnella, il mio paesino abruzzese da cui un tempo cominciava il Regno delle Due Sicilie, fino a Civitanova. Non so se fosse proprio Civitanova – anzi, questo raccontino mi offre l’occasione di azzardare qualche calcolo. Vediamo… nel sogno uscivo sul balcone, di notte, e prendevo una breve rincorsa prima di spiccare il volo. Poi, con non poca fatica, mi libravo sopra il tetto di casa prima di spingermi in direzione dell’Adriatico. Allora volavo su questo mare che non ha eguali per nostalgia, questo mare di gabbiani piovosi, questo mare dove in un tempo remoto, all’età di sei anni, Giacomo Leopardi fece il bagno con la sorella, questo mare che profuma di motori di motocicletta e di buganville, questo mare che faceva piangere Giorgio Bassani, questo mare di estuari e falesie che sbocciano, di casalacce sui colli, di scivoli acquatici, di ragazzi che si svenano sotto i pini, di strade infiocchettate di croci e fiori secchi, sopra tutto questo io volavo, e volai fino a raggiungere un hotel sontuoso con una piscina illuminata dal fondale. Ricordo che scesi in picchiata e mi tuffai nell’azzurro, nuotai tra i riflessi dell’acqua sotto la luna e poi tornai a volare in un vento caldo che subito mi asciugò del tutto.
I calcoli e Google Maps mi suggeriscono Porto San Giorgio, un hotel dell’entroterra, ma chissà, ce ne sono così tanti… Urbino, poi, era proprio lì dietro, e ci sono passato sopra mentre deviavo verso sud. La biblioteca di Carlo Bo e i Red Hot Chili Peppers ascoltati durante una gita scolastica alle superiori si accavallavano nella mia mente. La stessa pioggia di Ascoli, lo stesso ascensore di Ascoli per raggiungere il centro della città dai parcheggi, lo stesso odore di fiume…
Forse questi luoghi non sono città ma contrade invisibili di una sola città fantasma.
Nei miei sogni non ho bisogno di riflettere su quello che già so: la mia mente – la nostra – è il palinsesto e il capoluogo delle periferie reali in cui abbiamo vissuto.
La nostra città ha il più letterario dei mari e non ha mura.
La nostra città è preistorica e moderna perché è stata saltata dalla storia.
La nostra città profuma di carta bianca da annusare d’inverno, di concerie abbandonate ed è piena di ermi colli, compreso quello che ha cambiato il mondo.
La nostra città ha un cuore che non trema, e la sua essenza assomiglia a una grande periferia che è anche il centro di sé stessa.
(Racconto di Alcide Pierantozzi)
![Alec Maginarium Alcide Pierantozzi](https://www.argonline.it/wp-content/uploads/2022/12/Alec-Maginarium-SOLARPUNK5001.jpg)