Borgopoli ⥀ Opera collettiva solarpunk #3
Continua il viaggio nella Borgopoli marchigiana, raccontato in un’opera collettiva solarpunk. Il racconto questa volta è affidato a Francesca Sola, con un’illustrazione realizzata da Andrea Capodimonte. È possibile leggere qui l’editoriale della rubrica e la lista dei racconti
#3
Al Murello risuona Wagner. Lo scorcio apre ai Sibillini, splendida luce sopravvive alla sagoma enorme del Vettore. Cosme vi si reca ogni giorno quando cala il sole, quando, smesso per qualche ora il camice bianco, ricomincia a bere.
Montelparo è bella e acida, solidale e bigotta, se n’è convinto. Wagner risuona, eredità del vecchio gestore del bar, ma nessuno lo riconosce quassù: la collina è inconscia dei suoi veri sentimenti. Un fatto atroce era accaduto nel municipio di Macerata qualche anno prima: Wagner non risuonava né qui né lì, all’epoca, eppure nessuno fermamente condannava. Cosme un giorno lo aveva spiegato all’ultima venuta. Era straniera, non veniva da nessun municipio di Borgopoli, veniva dall’estremo sud.
Cosme torna da lavoro in camice bianco. Gira una chiave solitaria. Pende attaccato un piccolo peluche impolverato. Ha portato a casa la giornata, pensa; cerca quei mici che non voleva e che pure gli stanno dentro casa, ormai, padroni di ogni angolo di quelle stanze vuote. I più piccoli hanno sporcato il letto. Rimproverandoli, finge rabbia. Ci sta la lettiera, porco dio. Sta qua! La vedete!
Li ama, e non è arrabbiato per niente. Cambierà le lenzuola sporche come le cambia ogni giorno a lavoro. Loro lo tengono vivo, perché altrimenti è morto, lo sa; gli permettono di parlare ad alta voce, senza figurarsi identico a quegl’altri di cui si prende cura, all’Istituto. Ma sono pazzo anche io, dice Cosme. Cosme parla ad alta voce sempre, da solo, con la madre defunta, piccola Aracoeli, coi gatti. In mezzo alla gente, sbeffeggia, motteggia, ride, ostentando ubriachezza. Parla da solo quando sta in mezzo a loro, lancia affermazioni insolenti, indecenti, scandalose. Cosme racconta a tutti di essere omosessuale e rinfocola la dichiarazione con commenti su prestanti turisti, ogni volta che prestanti turisti si affaccino a Montelparo.
Mette i micini giù, sul pavimento, bestemmia ancora. Ora toglie le lenzuola. È estate, il lenzuolo basta, anche qui in collina. Il quartiere è silenzioso, mica siamo a Civitanova qua, eppure è già pieno di turisti. Stasera perde il tramonto dei Sibillini, lo sguardo dal Murello al sole calante. Voleva andarci e riprendere a bere, ma ora cambia il letto, beve acqua, mette a lavare il camice. Si addormenta coi gattini sul petto, davanti alla tv muta. Ogni notte si addormenta parlando alla madre, aspettando risposta. Cosme dice di stare aspettando la morte, senza fretta, ma la sta aspettando, per ascoltare la risposta di Aracoeli. Lo aveva detto, quel giorno, alla straniera.
Suona la sveglia. Sono le 5.45. Alle 6.30 inizia il suo turno all’Istituto. Prima dei mici, gli bastavano 20 minuti, ora invece si prende cura di loro, li coccola, perde tempo sull’uscio perché ogni mattina non ce la fa a lasciarli. Li spinge all’improvviso più in là e si affretta a chiudere la porta.
All’Istituto, lava, si prende cura, sorride. Tutti sono meno morti di lui, crede. Non possono soffrire loro, almeno. Ha dolore in questa vita. Loro forse non sanno di soffrire e forse non soffrono, punto.
Davanti casa, monta ogni giorno un piccolo altarino e lì prega la piccola madre morta troppo presto. A Montelparo tutti pregano, ma a lui, quando lo vedono davanti all’altare, sorridono come si sorride a un pazzo. Con pena e distacco. Lui ricambia il sorriso, ed è anche grato per il rispetto lontano che gli concedono, ma ha pieno il cuore di lacrime rubate agli occhi. Prega la piccola Aracoeli, morta troppo presto, lasciandolo a una vita di abusi. Loro entrambi forestieri, dell’esotica Spagna, qui a Borgopoli. Lo aveva raccontato alla straniera.
Quel giorno aveva lavato i ragazzi dell’Istituto, li aveva accuditi, gli aveva sorriso, tutto il giorno. Poi aveva smesso il camice sporco ed era andato al Murello, a guardare il sole decadente. Qui Cosme aveva incontrato la ragazza. Sei troppo bella ed elegante per restare qui; le baciò la mano, ma la rincuorò al volo: tu sei impegnata e io sono omosessuale.
Lei non doveva sospettare, e lei non sospettava affatto. Lo invitò a restare in giro quella sera: ci sarebbe stato Pianostrano, “il festival del pianoforte e del prodotto nostrano”. Sorrise, per lei era ormai un automatismo. È l’8 agosto. È per gli 88 tasti del pianoforte!
Un side-car sfrecciava dal Murello verso la piazza, richiamava a gran voce gente sparsa nei vicoli, tra le bancarelle di prodotti borgopolitani. Lorenzo Kruger al megafono annunciava l’avvio dello spettacolo. Un musicista faceva facce buffe al suo fianco suonando una fisarmonica. È coerente col festival: ha una tastiera. Si chiama Marco, rispose la ragazza. È bravissimo.
Guidava il side-car il becchino del quartiere. Aveva in testa un elmetto. È divertito! Si vede che è divertito, porco dio! Non sono rimaste più di quattro anime in croce…
Commentarono Kruger: presenta da sempre Pianostrano; è pazzo scatenato anche lui, ed è uno gnocco d’uomo. Alto, muscoloso, scatenato! Non può esserci Pianostrano senza di lui, convennero.
La sua voce al megafono convocava perentoria la folla giunta per il festival, il side-car piroettava tra nugoli di borgopolitani e turisti stranieri. Cosme puntò il fotografo che per un momento sostava alla bancarella di Argo. Nemmeno finse di interessarsi a un libro, andò dritto da lui. Sei bello, sai! Quanto sei alto? Sei libero? Io sì e ti aspetto qui tutta la sera, e tutta la notte, e tutta la vita, tesoro!
La ragazza era divertita, il fotografo era divertito. Cosme ne era fiero. Cosme è un falso molesto e il fotografo lo ha capito, bravo ragazzone! Raccontò alla straniera di quando il quartiere di Montelparo si riempiva ogni estate di collegiali francesi e lui ballava per loro ogni notte. Era la vita! Tripudio d’ormone, brividi puberali! L’attesa di un orgasmo solo sperato. Le fontane sgorgavano, capezzoli s’inturgidivano; la sua lunga chioma raccolta era più impennata che mai al suono di musiche gipsy. È passato!
Lo spettacolo nel frattempo iniziava e ci stava gente da tutta Borgopoli. I ragazzi di Hands galoppavano. Poveri ragazzi, ma chi ve lo fa fare? Che ci guadagnate? Qua è tutto morto, tutto morto!
Suonava il piano, poi ne suonava un altro e Wagner tace. Cosme dovette ammettere quanto Montelparo sia capace di mostrarsi generosa e fresca talora, quando accoglie, quando s’entusiasma, quando smuove. La ragazza era d’accordo: lei è una volontaria, aiuta i ragazzi di Pianostrano perché questo quartiere non merita l’abbandono che ondate sismiche e pandemiche semiapocalittiche sembrano predestinargli. Forse vale la pena, guarda!
Kruger è davvero pazzo, sta arrampicato al palo! È proprio un figo, eh! Guardalo! E che voce profooonda! Suonavano artisti e ai loro pianoforti cantavano. Ai pianoforti, poeti recitavano i loro componimenti. La gente a momenti era divertita, a momenti era commossa. Nel frattempo, mangiava e beveva roba buona di qui. Non lo sa, ma stanotte regala al quartiere un’anabasi. Vedi l’arte?
Cosme era ubriaco e come ogni sera sarebbe stato triste, ma la straniera ogni tanto gli aveva stretto la mano e quel fotografo gli aveva sorriso davvero con sincera simpatia, bravo ragazzo! Forse Cosme non è poi così triste questa sera! La scalinata è colma. Quanti bambini, porcodd… Forse vado a dormire, principessa. Non voglio approfittare della tua dolcezza. Una donna come te non può condividere il suo tempo con un pazzo come me: che dirà la gente? Non merito la tua compagnia: lo vedi che sono solo un alcolizzato.
Ma lei non voleva andasse via: si stanno divertendo, lui non è né un pazzo né un alcolizzato. Gli stringe la mano per trattenerlo. Lui le aveva sorriso, ma il suo sguardo era gonfio. Le baciò la mano e tornò dai gatti.
Il mattino dopo era martedì. Suonava la sveglia delle 5.45. Cosme si alzava, si preparava e rimproverava i gatti. In piazza, Pianostrano non suonava più ma i ragazzi di Hands spostavano ancora congelatori, smontavano casse, raccoglievano cavi, aspettavano i cornetti caldi di zio Enzo. Cosme indossava il camice pulito e spingeva via i gatti dalla porta.
Quel martedì, aveva lavato i ragazzi dell’Istituto, gli aveva sorriso, se n’era preso cura. Alla fine del doppio turno era tornato a casa, ma non aveva preparato l’altarino alla madre quella sera. Poteva tornare al Murello, sciogliersi al crepuscolo che gli si parava a ovest. Accolto dal sorriso della straniera, aveva gustato una rinnovata purezza, e a lei pian piano aveva deciso di raccontare di Aracoeli, della loro Spagna assolata nascosta dai Sibillini, degli stupri subiti, del proprio cuore annegato.
(Racconto di Francesca Sola)
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