Borgopoli ⥀ Opera collettiva solarpunk #8

Continua il viaggio nella Borgopoli marchigiana, raccontato in un’opera collettiva solarpunk. Il racconto di oggi è di Francesco Mattioni, che lo ha anche illustrato servendosi di Midjourney, programma di intelligenza artificiale che crea immagini da descrizioni testuali. È possibile leggere qui l’editoriale della rubrica e la lista dei racconti pubblicati finora

 


#8

E i ochi cerca un ponte da traversa’*

Lo stendardo della comunanza stormisce nell’azzurro del cielo. Il garbi’ gonfia il verde sconfinato delle colline confondendo il cilestro della tela del mattino ai licheni sulle rocce a strapiombo e all’orizzonte del mare nostro lontano. In mezzo il silenzio rupestre e speziato delle sotterranee radici arabesche dei suoni che lampano di bianco tra ali di cucali, profondità fossili, sabbie di vulcani e schianti d’onda sulle creste calcaree della Famiglia1.

Il simbolo del paesaggio comune è stato immaginato, disegnato, ritagliato, incollato e colorato nelle scuole all’aperto delle arti per bambini. Loro è il compito di esplorare liberamente le Macchie della Memoria, i luoghi della Borgopoli in cui emergono dai passati artefatti, ossa, opere, ruderi, totem multimediali e scavi a cielo aperto, insomma tutto ciò che un tempo era rinchiuso in musei e biblioteche e mausolei e che ora è stato liberato nel suo ambiente naturale2. Capolavori – mundofatti – allo stato brado che è vietatissimo cacciare con smartphone e device e che è possibile avvicinare solo per caso durante le passeggiate giornaliere o nel corso dei pellegrinaggi plurali di formazione3, accordando il suono dei passi al moto del mondo. È possibile ritrarre le manifestazioni della Creazione Comune4 con macchine fotografiche, dopo aver confrontato il proprio progetto esperienziale artistico con i volontari che si prendono cura del luogo in questione. È anche possibile travasare in forma digitale impressioni e dati nelle apposite terminazioni sensoriali dell’I.A. (i Diari del Paesaggio) così da contribuire alle rielaborazioni algoritmiche che simulano (?) l’autorappresentazione di sé da parte del paesaggio stesso. Gli elementi naturali disseminati per tutta la Borgopoli, dalle eco chimiche dell’ossidazione della materia agli spettri elettromagnetici di antiche arti locative, dai batteri variopinti che animano i colori delle tele del Lotto ai diorami scultorei di paesaggi tattili, possono essere scoperti da chiunque e riprodotti a piacere e volontà con schizzi, racconti orali, arie fischiettate o humuncoli materici vari5. Nessuno può toccarli né tanto meno rimuoverli. Tranne i bambini. Per i bambini le Macchie sono laboratori creativi in progress: possono manipolare e riutilizzare a piacimento, ma sempre con profondo e consapevole rispetto, ogni cosa ritengano utile a inspirare in loro nuove visioni. Il loro compito infatti è sperimentare spaesamenti, radicare ibridazioni mutanti, rimescolare e ravvivare e rin-graziare le stratificazioni del passato per immaginare i futuri impossibili che poi la comunità dovrà aiutarli ad avvicinare pezzo per pezzo, durante la loro crescita, a realtà potenziali. Un esempio è il logo stesso delle scuole all’aperto delle arti per bambini – SAAB –, una testa scarlatta di ippogrifo scolpita da miriadi di microscopici scheletri di calcare corallino. La testa del fuoriclasse dei miscugli animali, in campo blu cobalto, è coronata da un disco di Luna6.

Il vento porta con sé l’odore del pane appena cotto nella piana dei forni sotto il Poggio Alto. Un cluster di fornaci neolitiche circolari con copertura in argilla, allacciato al sistema locale integrato di energie solari ed eoliche convogliate nel Fosso Fontanaccia, all’alba produce carne e pesce essiccati, pagnotte, pizze, focacce, cereali tostati, paste di ogni forma e dimensione7, mentre durante il giorno produce utensili necessari e vari artefatti inutili di vetro, terracotta, ferro battuto, utilizzando anche l’alluminio, l’argento e il rame riciclati dai pannelli solari dismessi. Infine di sera si sfornano mattoni. I forni, a turno, sono a disposizione di tutti. I fornari coordinano le attività, gestiscono le fornaci, curano la sicurezza e aiutano chi non è pratico o è in difficoltà. La pulizia spetta a tutti. Come a tutti spetta di condividere e implementare il progetto open source con idee, suggerimenti e prestazioni d’opera.

Sopra lo stendardo della comunanza un Occhio del Mondo guarda i fili d’erba della piana scoscesa mareggiare verso il dirupo e oltre. Nell’azzurro.

L’Occhio è un mandala dalla forma irregolare, fatto di fili di canapa colorati intrecciati variamente tra loro attorno a due bastoncini incrociati raccolti a terra durante l’attraversamento di un sentiero sotto gli alberi o durante la sosta in una radura. I bastoncini spezzati sono un battito delle ciglia del bosco e l’intrecciatura del filato è sia la traccia della Viva Provvidenza8, sia il tentativo di vedere l’invisibile vastità delle vite che sono attorno a noi. Gli Occhi sono piantati sempre lungo i sentieri, nei luoghi di attività o nelle case. Spesso ovviamente due di questi luoghi, o tutti e tre, coincidono. La loro origine risale a quando i marchigiani emigrarono in Sud America. Nelle loro lettere a casa raccontavano degli Tsikuri che i nuovi vicini di quelle terre lontane e antiche consideravano una preghiera magica della sacra arte della tessitura, per tenere insieme i passati e i futuri nel presente e vedere e comprendere le cose invisibili e sconosciute. I parenti separati dall’oceano iniziarono allora a tessere a distanza questi Sicuri, con l’intento di non sfilacciare le famiglie e le memorie, per trasformare le lettere e i racconti che arrivavano per posta in oggetti di contatto a distanza. I racconti, come è naturale, si incentravano spesso sulle nuove nascite, e allora i Sicuri divennero delle foto tessili dei bambini transatlantici in cui ogni filo colorato corrispondeva a un anno di vita, come succede agli anelli degli alberi. A volte purtroppo le missive che arrivavano avevano una fascetta nera, ma i parenti non avevano il cuore di abbandonare il Sicuro della povera creatura, che anzi continuavano a tessere immaginando cosa avrebbe potuto fare se avesse avuto quell’anno in più e poi quell’altro ancora. I Sicuri allora divennero anche degli specchi di intrecci multicolori di desideri e in quei meandri sempre più complessi alcuni iniziarono a intessere anche le proprie aspettative o quelle dedicate alle persone più care. I Sicuri divennero Intenti, un modo per lavorare con pazienza e concentrazione al dipanarsi delle visioni sul futuro. Quando poi il mondo iniziò a incrinarsi, i bambini presero in mano i bastoncini, smisero di brandirli come armi o aquiloni e si misero a intrecciare Intenti per la Terra. Perché che muoia un bambino è una tragedia immane. Se però muore il mondo non solo moriranno anche tutti tutti ma proprio tutti i bambini, ma non ne potranno mai nascere più. Da quel momento ormai tutti li chiamano gli Occhi del Mondo, perché sono immagini della cura, apparizioni del desiderio, sacri intrecci di salvataggio della Terra, piccole mappe in facimento dei futuri immaginati da ogni nuova generazione. Guardando attraverso i colori intrecciati degli Occhi del Mondo i bambini vedono i suggerimenti del paesaggio, li seguono e sviluppano, insieme alle loro idee. Crescono insieme a loro. Così come crescono gli anelli delle traversate e delle passeggiate attorno al monte e alle valli circostanti9. Se ti capita di incontrare su uno dei sentieri della Valle Ombrosa o lungo il Betelico o nel mare verde dello stradello della Sardella una guida inginocchiata a odorare i boccioli delle piantine che spuntano dalle rocce, fermati e chiedile gentilmente di raccontarti i nomi di erbe, arbusti e fiori, dei muschi e dei licheni, dei funghi e dei fanghi. Ti dirà quali piante possono essere mangiate e quali sono utili per guarire i malanni comuni, ti spiegherà come associare gusti, colori, rimedi, profumi, preparazioni e forme ai luoghi di raccolta e alle stagioni. Ti farà sedere nella gravina erbosa che è stata un villaggio nel Mesolitico e prima ancora un banco di sabbia pliocenica sotto le onde della Tetide e ti mostrerà come ricavare colori naturali dai petali schiacciati e dalle arenarie pressate e come intrecciare i bastoncini dell’Occhio del Mondo con steli di code di cavallo, la felce fossile vivente che dal Giurassico ancora oggi evoca la saggezza del tempo ancestrale, da usare come l’ago magnetico di una bussola delle ere. L’intento è internarsi. Farsi interno. Immergersi nel mondo. Farsi terno. Dentro di sé. Fuori di sé. Altr-ove. In tutto il tempo.

Le vele solari ruotano attorno alle tre cuspidi come fusi di alluminio anodizzato e vetro temprato, mentre il vento di sud-ovest scompiglia i fiocchi di etilene vinil-acetato e le rande di celle fotovoltaiche e caucciù. È una bella giornata di primavera. Le vele stanno raccogliendo le energie del vento e del sole mentre fanno ombra ai canali di irrigazione del rio Marganetto che dal sottosuolo riaffiora a guizzi e guazzi nei coltivi, negli orti, negli uliveti, negli anelli della comunanza tra i gelsi, i pioppi e le cortecce di edere minerali della Valle Ombrosa e le querce, le siepi secolari e i paccasassi del Monte dei Corvi. L’acqua nei canali non evapora e il fresco evita il surriscaldamento dei pannelli. Il trascorrere del fiume tra i ciottoli e le radici di carici e lische delle pozze accompagna la pratica di un gruppo di pneumoalchimisti che al ritmo lento del respiro dei salici accordano la spina dorsale ai meandri dell’Aspio, alle incisioni rupestri dei Raggetti e alle traiettorie migratorie delle costellazioni celesti. Perché secondo la Memoria del Corpo10, in tutto scorre la medesima insolubile linfa vitale. Ai pneumoalchimisti si uniscono gli archeologi del suono di Amandola che percuotono le cave romane per scoprire i suoni della storia e anche il Duo Horizonte, la coppia marchigiano-guatemalteca che unisce circo acrobatico, danza volante e visionarietà del corpo. I loro movimenti sono uno spettacolo ininterrotto che prosegue dalla scuola di teatro, ai festival di arte di strada per i vicoli, le piazze e i parchi di Colmurano, Offagna, Pennabilli, fino alle propaggini della Borgopoli e oltre, dove ancora si accendono teatri di guerra per le risorse e i diritti di migrazione e dove la liberazione di corpi e movimenti comuni si fa questione di vita e di morte.

Non appena le correnti di garbino combinano i colori segnati sulle vele solari nel giusto cromocoro11, la squadra di avioperai si lancia di corsa lungo il clivo e oltre il pendio a strapiombo sul mare, spiegando le ali fotovoltaiche. Su uno scheletro cavo di legno di betulla è montata con cinghie, ganci e zip una tela di juta su cui sono incollate piume di vetro, rame e celle fotovoltaiche che, azionate da un motorino elettrico e sfruttando le correnti della costa e i movimenti del corpo, innalzano nel cielo lo stormo di operai, diretti alle isole fluttuanti12 per il turno di manutenzione. Lo stormo esegue con perizia e gioia le manovre apprese dagli aironi rossi e dalle averle cinerine. Uno di essi, il nipote dell’ultimo tecnico morto durante la difficile e lunga bonifica della raffineria API, immagina di essere l’ultimo discendente del primo falconiere, un mercenario ostrogoto dell’esercito di Belisario che, stanco di guerra, sulle colline del Barcaglione, ha abbandonato le razzie per dedicarsi all’addestramento dei falchi per la caccia. Il suo primo falco, in verità, lo ha addestrato alla civiltà della selva. L’uccello è un aspetto del dio dei falchi Haruw, il dio delle distanze, portato su quel tratto di costa adriatica che sembra un’ala spiegata, da antichi esploratori egizi. Il lupo che seguiva il santo di Assisi parlò con Haruw prima che il santo salpasse per l’Oriente. Non sarebbe tornato vivo senza i consigli dei due animali.

Le piume degli avioperai sono colorate con le stesse bande che contrassegnano gli anelli dei sentieri e delle traversate dei boschi, delle valli e dei monti. I colori del piumaggio del picchio che batte sulla corteccia la sacra primavera. Pellegrini e animali, operai e uccelli, dei e racconti, spettri e inforestamenti, percorsi e correnti si intrecciano così in alto come in basso, ricordando che le Marche sono un confine di passaggi, di sentieri e radici, di ritmi e di semi, un luogo di attraversamenti e incontri che non si fermano mai.

*Io so’ ‘sta vita esplosa, Franco Scataglini

(Racconto di Francesco Mattioni)

 


Note

1 Frammenti del Monte franati a mare o emersioni vestigiali del fondale terrestre. Un tempo essendo stati due, erano noti come le Due Sorelle. Ora sono cinque: una roccia più grande e slanciata al centro, le due più antiche e altre due scheggiate attorno, come il pettorale piceno in bronzo di un gruppo di umani in cammino per mano. Secondo i pescatori della Scalaccia, però, i cinque scogli che affiorano dal mare sono le zanne inferiori delle fauci di una balena degli abissi del tempo così grande che non riusciamo a scorgerne per intero i contorni.

2 Si ricorda che non esistono mappe ufficiali di tali Macchie. Oltre ai bozzetti a matita che è possibile scambiare di persona, si può tuttavia ammirare l’istallazione di Remo Maldito, bambino del covo del Faro, che coltiva muffe sopra un vecchio plastico militare e che giura e spergiura che ogni microcolonia di miceli puzza come l’epoca originaria dell’elemento della memoria indicato sul plastico stesso. Sembra che il plastico sia comunque inattendibile in quanto supporto di localizzazione, nonostante Maldito millanti una sorta di corrispondenza onomatosmosica tra la propria rappresentazione in scala e la realtà cronotopica del paesaggio. Siamo certi che i lettori sapranno accettare la sfida e staranno anzi già immaginando, ognuno, la propria personalissima mappa non ufficiale delle Macchie più amate.

3 Si invita tutti a recarsi al più presto presso la piazza o presso la zona interperiferica più vicina per ascoltare i bandi dei prossimi pellegrinaggi organizzati dalla sezione locale della GGG (Gilda delle Guide Gaudenti).

4 Cfr. Joten Kiri, A Thousand Creative EarthScapes, narrazione orale del gruppo di studio su subcreazioni e worlding di ecotoni post-esotici, Comunanza di Mezzo, in continuo aggiornamento.

5 Davanti a questo spettacolo – per scoprire quale, parti dall’ombra dei giardini pensili sulle arcate del ponte alto e prosegui verso sud-est tenendo il rio Miano sulla sinistra, tra la valle del Boranico e il mare, per poco più di novemila e settecento passi – davanti allo spettacolo che scoprirai, dicevo, non è possibile non ricordare la leggenda secondo la quale proprio il Monte Conero sia il primo degli humuncoli mai creato… opera mastodontica di una tribù di puer habilis stanziata su un acquitrino salmastro durante il Pleistocene. Mi piace chiamarli i Corbezzoli e me li immagino tutti ispidi di peli rossicci, fango secco, salsedine e arbusti maculati di guano, accucciati vicini stretti stretti a incidere insieme le rocce, evocare le piogge, correre scalmanati tra balze e pendii sfrondando, piluccando, cacciando, premendo, pisciando, vociando, amando, segnando insomma in mille modi perspicaci il nostro grosso corbezzolo di Appennino gemmato dalla Tetide decine di migliaia di milioni di anni fa. Il cantiere aperto più longevo e mutante della Borgopoli tutta. Forse.

6 Il logo è il frutto della tenzone ludica di maggio tra la banda dei palombelli e il circolo dei lunarii: i primi avevano proposto la testa cava come modello di stratificazione progressiva di un abitare comune inglobante tempi e risorse; i secondi avevano proposto il paradosso dell’odissea fasica verso un satellite sempre cangiante e quindi inattingibile, con sottotesto di burla alle opere di Luciano, Ariosto, Verne e Nasa.

7 Particolarmente rinomate sono le Vespucce: garganelli di grano saraceno, tuorli d’uova e latte di pinoli. Secondo l’antica tradizione ebraica locale l’impasto è tirato con mani unte di olio d’oliva e poi soffiato a forma di vespa. Il sugo si andrà a raccogliere nelle sinuosità rendendo questo formato un capolavoro di alta ingegneria gastronomica.

8 La Viva Provvidenza è una delle forme base possibili del sacro, nello specifico è il collage di manifestazioni parziali e frammentarie e di intuizioni verosimili e ipotesi speculative dell’iperambiente, inteso come spaziotempo in cui interagiscono tutti gli elementi che compongono un mondo. Cfr. il manuale di espansione WorldWeirdWannabe del multiboard rpg Dei&Dadi, basato su un mondo alternativo in cui Gesù è il nome d’arte – genere plurale – di un collettivo di scrittori che per gioco hanno fondato una religione globale universale. Il suo credo, che coincide con lo scopo del gioco, è continuare a creare mondi alternativi con religioni fittizie, ogni mondo un neonato con i suoi personali database meticci e le eliche intrecciate di lore apocrifi.

9 Notevole l’accostamento di anelli degli alberi, anelli dei sentieri, anelli di fili degli Occhi del Mondo, anelli delle curve di livello, anelli degli orbitali atomici e anelli delle orbite planetarie nelle mappe di legno dell’artigiano falconarese Duilio Della Lunga. Cercatele nelle Macchie Verdi a voi più vicine.

10 Un’altra delle forme base possibili del sacro, cfr. indice sinottico di WorldWeirdWannabe.

11 Il cromocoro è la traslitterazione in colori del linguaggio degli uccelli. Lauro De Bosis V, dalla torre avita, ha studiato per decenni i voli e i versi degli uccelli delle falesie, soprattutto falchi pellegrini, rondini montane, cormorani, verzellini, beccapesci, zigoli, gabbiani corallini, colombacci, gheppi, rigogoli. Essendo il loro apparato visivo altamente specializzato ed esteso fino alla radiazione ultravioletta, gli uccelli leggono l’ambiente come fosse una mappa dinamica di forme e colori in movimento. Lauro si convinse che si potessero utilizzare i colori per comunicare con gli uccelli, un po’ come facevano i segnali fissi e i tecnici con le bandiere sulle piste di decollo e atterraggio, prima che gli aerei fossero banditi dai cieli. Lauro sperimentò per anni tentativi di alfabeto finché non riuscì a stabilire un contatto di comunicazione. Da allora l’umanità non ha più smesso di dialogare con stormi e nidiate, ridefinendo su solide e volatili basi bio-sindacali tutto il sistema del trasporto aereo di merci e passeggeri.

12 Palloni aerostatici che ospitano impianti eolico-solari, giardini aeroponici e accademie di ornitogonia.

 


Illustrazione di Francesco Mattioni, realizzata con Midjourney.

 


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