Borgopoli ⥀ Opera collettiva solarpunk #2
Continua il viaggio nelle Marche-Borgopoli del presente futuro, raccontato in un’opera collettiva solarpunk, con un testo di Stefano Petrella illustrato da Allegra Corbo. È possibile leggere qui l’editoriale della rubrica e la lista dei racconti
#2
La collina si stagliava su uno skyline a 360° tra il Mare Adriatico, l’inconfondibile sagoma del Monte Conero e i Monti Sibillini. Potevi con uno solo sguardo abbracciare tutta quella regione che degrada dagli oltre duemila metri del Monte Bove alle spiagge di velluto, la riviera del Conero e quella delle Palme.
Una regione al plurale femminile.
Con mille anime, mille dialetti, mille suggestioni.
Quella collina fu esattamente il luogo delle mille e mille suggestioni dove l’indipendenza regnava sovrana: fu la nostra piccola TAZ, la nostra zona temporaneamente autonoma, un vero laboratorio di anarchia e amore, uguaglianza e rispetto, accoglienza e solidarietà.
Akim Bey ne sarebbe stato orgoglioso, molto orgoglioso.
In verità era una barca, una grande barca era quella collina.
Da poppa a prua, si insinuava nel Mare Adriatico sicura e potente con la certezza del governo di un altrettanto potente gruppo di donne e uomini che esercitavano abbracci e consensi muovendosi in modo marziale e solenne: percorrere quella coperta, da poppa a prua, era un esercizio di raffinato equilibrismo e solenne organizzazione, coordinata e incastrata alla perfezione tra concerti, rassegne, poesia, cucina vegana e Circo Paniko che animavano non semplicemente la collina ma tutto il territorio della regione e anche oltre.
I venti che dominavano erano tre: lo scirocco, da sudest, che scaldava portando umidità e caldo; la tramontana, fredda e severa che potevi annusare guardando esattamente la cima del Conero; e il garbi’, come lo chiamano qua i vecchi pescatori numanesi, cioè il ponente da terra, asciutto e secco, che dopo qualche giorno portava le piogge e i groppi di nuvoloni direttamente dai Sibillini. Tre venti che scandivano il tempo, definivano il paesaggio e i colori e per quel che mi riguarda anche il mio umore e le mie emozioni.
Sempre, prima di aprire il cancello, mi fermavo in cima al grande parcheggio e per qualche istante, che mi sembrava qualche ora, a volte addirittura giorni e giorni, cercavo uno di quei tre venti dominanti, ci mettevo il naso e giravo lentamente la faccia fino a quando sentivo entrambe le orecchie accarezzate dall’aria in modo identico a destra e sinistra e, tranquillizzato dal suono lieve nei miei padiglioni auricolari, aprivo e scendevo al Circolo.
Ogni volta avevamo già programmato, preparato, organizzato, definito ogni minimo particolare non senza fatica e impegno, durante una delle tante riunioni notturne, “programmazione” la chiamavamo e la facevamo in modo scientifico, senza mai tralasciare nulla.
Se noi non potevamo andare nel mondo, sarebbe stato il mondo a passare dal Reasonanz: musicisti, comici, illustratori e fumettisti, poeti, artisti di strada e circensi.
Ma la vera umanità si stagliava nelle migliaia di persone che ogni anno varcavano quella soglia ed entravano a far parte, anche solo per una notte, della crew di quella TAZ che dettava regole da tutte e tutti accettate.
Erano poche quelle regole: solidarietà, sincerità, mutuo aiuto, esercizio incondizionato di affetto e amore, autorganizzazione e autodeterminazione, nulla più; tutto il resto veniva da sé in modo assolutamente spontaneo e naturale come se uno di quei tre venti, soffiandoti in faccia, oltre all’aria, ti ammantasse di tutte quelle cose. Non bisognava accettarle, ma soltanto lasciarle fluire, serenamente e senza opposizione.
E così fu. Fu una navigazione tra burrasche e bonacce, piena di ostacoli ma anche di tanti venti portanti che accompagnavano le lunghe rotte estive e proteggevano da quelle invernali, brevi ma intense.
Una navigazione che segnò il passo, dipinse quadri dai colori accesi e vivaci che si distinsero in modo netto e perspicace dal grigiore della provincia, dal piattume dei fine settimana, dai grandi fratelli e dai deliri televisivi.
Ma la burrasca che arrivò a inizio anno, in quel 2020 che resterà in modo indelebile nella storia di questo nostro bistrattato pianeta, fu troppo forte anche per la nave Reasonanz. La voce antifascista, antirazzista e antispecista di quella nave, di quell’equipaggio, era già troppo fastidiosa per la sonnacchiosa provincia marchigiana e Digos e affini avevano già fatto capolino durante le ultime serate come monito e solenne avviso di esser più timidi e silenti.
La burrasca spazzò via tutto. Sulla collina è calato il silenzio e i venti dominanti danzano lassù in cima cercando tristi la musica e le risate che nessuno mai potrà più scordare.
(Racconto di Stefano Petrella)

* Cocoon evoca elementi naturali del Piceno e in particolare i Monti Sibillini. Realizzato in collaborazione con il graphic designer Raffaele Primitivo, è un progetto di Popupstudio.it e Gluppa.it, presentato in occasione del Pupun festival nei borghi del Piceno.
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