Camille Claudel, la dernière valse
Francisco Soriano racconta la vita della scultrice Camille Claudel, rinchiusa in manicomio e quindi costretta al silenzio per trent’anni, fino alla morte.
La piccola Camille Claudel e suo fratello Paul erano originari di Villeneuve-sur-Fère, del dipartimento dell’Aisne, nella regione Hauts-de-France. In giovinezza, ambedue condivisero quegli spazi giocando gioiosamente fra i boschi e l’Hotte du diable, un sito particolare connotato da tumuli di terra e rocce, talvolta ricoperte da bruyères et sable blanc. Nel racconto dello scrittore Paul Claudel, quei luoghi d’incanto e di memorie irripetibili con Camille, altro non erano che des pierres monstrueuses, des grès aux formes fantastiques s’en détachent. Il ressemblent aux bêtes des âges fossiles. Molti anni dopo, nel marzo del 1927, anche Camille Claudel scrisse una lettera a suo fratello dall’hôpital de Montdevergues, vicino Avignone, precisando che le sarebbe piaciuto ritornare a Villeneuve «senza mai più andare via», confermando che nella memoria della donna quei giorni vissuti insieme furono irripetibilmente i più felici. Pare che la piccola Camille si divertisse a giocare con l’argilla, impastando piccole sculture cotte nel forno di casa e condividendo in osmosi con la natura selvaggia la sua innata ispirazione alla libertà e all’arte scultorea. Il fratello Paul invece era sempre immerso negli studi: ebbe una brillante carriera di diplomatico e fu un illustre scrittore di opere letterarie rilevanti per la letteratura francese.
Camille Claudel nacque nel 1864, a Villeneuve-sur-Fère. Sin dall’infanzia, a differenza del rapporto affettivo con il fratello Paul, visse una dinamica estremamente conflittuale con la madre. Nel 1913, alla morte del marito e dopo la partenza per gli Stati Uniti del figlio Paul, la donna imporrà il ricovero di Camille in una struttura psichiatrica. La vita artistica di Camille cominciò nel 1881: la giovane artista piena di speranze segue la famiglia a Parigi, dove le fu concesso di studiare presso l’Academié Colarossi e, soprattutto, poté seguire le lezioni di Alfred Boucher suo primo maestro e mentore, colui il quale capì subito le qualità espressive della giovane. Parigi era la città simbolo dell’arte e della cultura, l’ambiente adatto a un’artista come lei: affittò uno studio gestito con altre tre donne e si distinse presto per la sua caparbia rivendicazione del ruolo di una donna d’arte in una dimensione professionale dominata esclusivamente da uomini. Quando il professor Boucher decise di intraprendere un viaggio in Italia individuò in Auguste Rodin un suo valido sostituto, seppur temporaneamente: tuttavia, prima della partenza si preoccupò di segnalargli la presenza di una formidabile artista, Camille Claudel. Da questo momento cominciò il sodalizio artistico e sentimentale dei due protagonisti che, con comportamenti e atteggiamenti giudicati scandalosi, arricchirono le cronache scabrose dei benpensanti del tempo.
Camille Claudel è un’artista straordinaria, in parte dimenticata e forse mai completamente riconosciuta nella sua grandezza creativa, una scultrice irripetibile che non ha avuto eguali nella storia dell’arte scultorea. Già nel 1884 entrò a far parte dell’atelier di Rodin che le concesse di modellare gli arti dei corpi di alcune sue opere, come avvenne per le Portes de l’Enfer: Camille dimostrò presto all’insigne maestro capacità artistica e temperamento. Rodin era un uomo pieno di legittime ambizioni, ma spesso aveva atteggiamenti prevaricatori nei confronti di chi poteva in qualche modo offuscare il suo talento. D’altro canto, Camille fu sempre incline a mostrare una certa insofferenza alle regole quotidiane riservate al genere femminile, rivendicando autonomia espressiva e libertà. Bellissima, alternava pose come modella alla creazione di opere che per bellezza ed eleganza cominciarono forse a creare nel maestro Rodin una sorta di gelosia professionale. Le sculture di Camille erano magiche: espressività e movimento assumevano aspetti originali ineguagliabili. Rodin era un uomo molto più anziano della scultrice e aveva già avuto un figlio da Rose Beuret che sposerà in seguito. La doppia condizione sentimentale e artistica destabilizzava sia Rodin che Camille con conflitti umani e professionali spesso connotati da ira e sentimenti di rivalsa. La dinamica umanissima nei disagi degli affetti negati innescò equilibri instabili che, probabilmente, ebbero un peso negativo soprattutto su Camille: ancora oggi si deforma la narrazione e la verità degli accadimenti facendo prevalere la presunta follia di Camille, il suo amore conflittuale con Rodin, le trasgressioni e la sua ossessiva ricerca della forma perfetta in arte, come motivi scatenanti la sua follia. La realtà ci dice invece che a Camille, grazie al contributo imperdonabile della madre, fu impedito di esprimere il suo talento per oltre trent’anni riducendola all’oblio in una vera e propria prigione. Camille fu rinchiusa in un manicomio come si conveniva per quelle donne che, non potendo essere gettate sul rogo, venivano condannate al silenzio in altro modo.
Auguste Rodin era oberato sempre di più di lavoro, osannato come il vate della moderna scultura mondiale: in quegli anni mise in cantiere opere di grandi proporzioni, come I borghesi di Calais. Camille da parte sua aveva un innato talento e non ebbe mai un ruolo differente dal semplice assistente nello studio di Rodin, tanto che lo scultore dirà di lei che pur avendole insegnato a «scoprire l’oro dentro la materia, in realtà l’oro era già dentro di lei». Infatti, nonostante il carisma e la figura del maestro, Camille non ebbe tendenze emulative: un bisogno di libertà umana e di genere che si traduceva in originalità artistica, protagonista individuale delle sue opere, molto attiva e impegnata con la sua assidua partecipazione a circoli culturali frequentati da intellettuali come Debussy e Mallarmé: Camille intrattenne intensi rapporti con galleristi e imprenditori trattando personalmente e senza intermediazioni l’ottenimento di commesse pubbliche per le opere.
Gli anni che saranno i più fecondi per Camille Claudel si concentrarono alla fine dell’Ottocento, quando l’artista produsse opere fondamentali come La Valse, Les Causeses, La Vague, La Petite Châtelaine, L’Âge Mûr. La Valse fu una scultura esuberante che ebbe un impatto negativo sull’opinione pubblica e venne in qualche modo censurata dalla critica ancora arroccata su concetti artistici conservatori con atteggiamenti pregiudiziali verso l’innovazione. Dunque, l’interpretazione dell’opera fu assolutamente incapace di riconoscere la grandezza di quella “danza”: fu una visione limitata, un giudizio mediocre che vide nella creazione dell’artista la nudità e l’ebbrezza sessuale come elementi non prettamente artistici, bensì moralmente negativi e censurabili. Nel progetto iniziale Camille avrebbe preferito una versione di grandi dimensioni in marmo, ma l’idea non trovò seguito. Fu con “Sakountala”, conosciuta come L’Abbandono, che Camille ricevette finalmente riconoscimenti e successo: venne premiata con una Menzione d’Onore, dopo la sua esposizione al Salon des Artistes Français. In quest’opera, la storia narrata da Camille è chiaramente un riferimento alla sua intensa passione amorosa con Rodin. Il sentimento d’amore è quello fra Sakountala, fanciulla adottiva di un eremita e il principe Douchanta: una storia tratta da un testo del V secolo che fa riferimento a una leggenda indiana. Per l’artista, l’opera scultorea non poteva essere distaccata dal sentire intimo, passionale e incontrollato.
Intanto, i rapporti personali di Camille con il mondo esterno diventarono sempre più conflittuali: l’opposizione di questa donna al conformismo, all’ipocrisia delle relazioni interessate, alla realtà quotidiana fatta di scelte pragmatiche non erano abiti possibili per lei. L’artista non accettava l’umiliazione della mediazione, né era disponibile a mezzi termini o scorciatoie alle sue idee sempre in tensione interiore. Le sofferenze, a causa della sua autoemarginazione, logorarono il fragile equilibrio di Camille che visse complessi di persecuzione soprattutto nei confronti di Rodin, accusato di aver “rubato” le sue idee e il suo talento. Camille Claudel appartiene alla schiera di quelle donne condannate per quell’anticonformismo pericoloso, fastidioso, da derubricare a disturbo psichico, a disagio comportamentale. La scultrice morì in estrema solitudine il 19 ottobre del 1943, nella sua prigione psichiatrica. Le cause del decesso sono poco chiare, anche se nel momento più drammatico della Seconda guerra mondiale è immaginabile lo stato di abbandono e di disagio grave in cui poteva versare un manicomio. Della sua condizione durante la detenzione è lei stessa a parlarne, in una missiva diretta all’amato fratello. Camille lascia trapelare la violenza subita in manicomio:
Vorrebbero sforzarmi a fare delle sculture, qui all’istituto e vedendo che non ci riesco, mi si impone un sacco di seccature. Ciò non mi convincerà di certo, al contrario.
Era il 1938. Nella medesima lettera lanciò uno sguardo anche sulla madre che l’aveva condannata all’oblio:
In questo momento, vicino alle feste, penso alla nostra cara mamma. Non l’ho mai più rivista dopo il giorno in cui avete preso la decisione di mandarmi in un manicomio! Penso a quel bel ritratto che le avevo fatto all’ombra del nostro bel giardino. I grandi occhi in cui si leggeva un dolore segreto, lo spirito di rassegnazione che regnava sul suo volto, le mani incrociate sulle ginocchia in totale abbandono: tutto indicava la modestia, il sentimento del dovere portato all’eccesso, tutto questo era proprio la nostra povera mamma. Non ho più rivisto il ritratto (e nemmeno lei). Se per caso ne senti parlare, me lo dirai. Non penso che l’odioso personaggio di cui ti parlo spesso abbia l’audacia di attribuirselo, come altri miei lavori; sarebbe troppo, il ritratto di mia madre.
Dai carteggi ben si comprendono vicissitudini e questioni importanti per definire l’ellissi professionale e umana dell’artista. Andando indietro nel tempo, dal 1886, Auguste Rodin informava con una lettera Camille, appena ventiduenne, della sua passione incontrollata sancendo questo trasporto amoroso addirittura in un contratto: «ti proteggerò e ti introdurrò nella cerchia di amici potenti ed eleverò le tue capacità artistiche».
Rodin promise nello stesso testo di porre fine alla sua storia sentimentale precedente e contrarre matrimonio con lei. Certo, i sentimenti di Auguste saranno stati sinceri, ma forse ben lontani dal comprendere che Camille non era certo una mite femme de ménage. Al contrario, lei rivendicava dignità professionale e indipendenza:
tu che mi dai dei godimenti così elevati, così ardenti, vicino a te, mia anima, nel furore dell’amore mantengo sempre il rispetto per la tua persona e per il tuo carattere, mia Camille, non mi trattare senza pietà, io ti chiedo così poco.
Rodin parlava di rispetto per il carattere e per la persona, ma in una condizione di assoluta preminenza sotto ogni punto di vista, sociale, professionale, economico. Dalle sue missive si leggono ancora parole di angoscia e gelosia:
Mia spietata compagna, la mia testolina è proprio malata […]. Stasera ho vagato per ore senza riuscire a rintracciarti nei nostri luoghi. Morire mi sarebbe veramente dolce! E la mia agonia sembra non aver termine. Perché non mi hai atteso all’atelier? Quale dolore mi doveva capitare? […]. Camille, mia bene amata a dispetto di tutto, a dispetto della follia che sento in arrivo e giungerà dalla tua mano […]. Mi colgono momenti in cui ho assoluta certezza che ti dimenticherò. Ma dopo, di colpo, avverto la tua tremenda potenza. Abbi pietà crudele […]. È finita, ho smesso di lavorare, divinità terribile, e tuttavia ti amo spasmodicamente.
Le parole scritte dallo scultore testimoniano che lui stesso vivesse un coinvolgimento totale, alla stregua di Camille che rispondeva con testi altrettanto tempestosi e felicemente travolgenti. Tuttavia, dentro di sé, questa meravigliosa artista nutriva sempre un sentimento di vuoto e lontananza che definì come «qualcosa di assente che tormenta». Sin dall’inizio della loro relazione, la gelosia attanagliò indistintamente ambedue e Rodin promise addirittura, nella famosa quanto bizzarra impegnativa che, «per il futuro, a partire da oggi 12 ottobre 1886, mia sola allieva sarà Mlle Camille Claudel e lei soltanto aiuterò con ogni mezzo di cui potrò disporre grazie ai miei amici che condividerò con lei, specialmente i miei amici potenti. Non accoglierò più altre allieve affinché non si determinino contrasti fra talenti […]».
Falsamente, amici e compiacenti giornalisti della “corte” di Rodin, accusavano Camille di aver trafugato idee dall’insigne scultore. Camille reagì vigorosamente a queste vere e proprie diffamazioni rivolgendosi, ad esempio, a Maurice Guillemont, direttore della rivista L’Europe artiste, dopo l’esposizione al Salon nel 1899 di un’opera che rappresentava un’anziana nuda avvolta da una matassa di filamenti:
Signore, leggo incredula la sua rassegna del Salon nella quale mi incolpa di aver tratto ispirazione da un disegno di Rodin per la mia Clotho. Le dimostrerei senza difficoltà che da mia Clotho è opera indiscutibilmente originale: oltre al fatto che dei disegni di Rodin non sono a conoscenza, le vorrei precisare che per le mie opere l’ispirazione proviene solo da me stessa, soffrendo io di sovrabbondanza di idee piuttosto che di mancanza. M. Rodin che accusa gli altri di copiarlo, si dovrebbe semmai premurare di non pubblicare sul medesimo giornale il suo genio della guerra copiato da capo a piedi da quello di Rude (vedi Arco di Trionfo, Place de l’Étoile). La prego di dare notizia sul suo giornale della piccola rettifica che le chiedo.
Camille cominciò davvero a temere intrighi orchestrati contro di lei: una ossessione che si legge anche dai carteggi della donna. Inoltre, le enormi difficoltà a trovare fondi per le sue opere e la sua esistenza le impedirono una maggiore produzione artistica (in uno scritto spedito a Eugène Blot, mercante d’arte, fonditore e cesellatore che fece realizzare molte opere di Camille e organizzò due mostre personali):
[…] ho una piccola faunessa suonatrice di flauto che le potrebbe piacere. Se le è veramente impossibile acquistare qualcosa di mio, provi a procurarmi un committente, ho impellente necessità di denaro per saldare l’affitto di ottobre, altrimenti uno di questi giorni mi obbligherà ancora a cadere giù dal letto l’adorabile Adonis Pruneaux, il mio ufficiale giudiziario di fiducia, che piomberà da me con il suo abituale tatto. Bisogna ammettere che porterà via solo l’artista. Operazione che su di me non eserciterebbe alcun fascino, nonostante i candidi guanti e il cappello a cilindro che questo squisito funzionario immancabilmente sfoggia in tale disdicevole frangente.
Proprio nei primi anni del secolo, Camille si trovò a dover fronteggiare la miseria e l’impossibilità di procurarsi soldi per le sue opere. Scrisse ancora al sincero amico Blot, una incantevole quanto autobiografica descrizione di se stessa in balia delle difficoltà:
Sono come Pelle d’Asino o Cenerentola condannata a fare la guardia alla cenere del camino, senza poter sperare nell’arrivo della Fata o del Principe Azzurro che trasformino il mio abito di pelo o di cenere in una veste dalla tonalità del cielo.
Nel 1918 Camille in una missiva al dottor Michaux che aveva firmato il certificato di internamento dell’artista, nell’intento di chiedere aiuto, dice:
Signor dottore, si è forse scordato della sua cliente e vicina, Mlle Claudel, catturata a casa propria il 3 marzo 1913 e trascinata a forza nei manicomi da cui non se ne andrà mai? Da cinque anni, a breve sei, mi viene inferto questo atroce supplizio. È vano descriverle il mio dolore. Mi si accusa (crimine senza pari) di aver vissuto da sola, di essermi circondata di gatti, di cadere preda di manie di persecuzione! Per colpa di simili imputazioni sono rinchiusa da cinque anni e mezzo come un avanzo di galera, privata della libertà, del cibo, del fuoco, degli agi più comuni. Presumo sia sua facoltà, in qualità di medico, intercedere per il mio bene.
La famiglia Claudel si vergognava delle voci incontrollate sul rapporto fra i due. Il padre e il fratello Paul tuttavia mantenevano sempre posizioni più comprensive nei confronti di Camille, la madre invece fece di tutto per tacerle. Nel febbraio del 1927, la madre scriveva:
Cara figlia, ho di fronte la tua ultima lettera e non mi so dare ragione delle cose terribili che scrivi a tua madre. Lo sa Dio cosa devo sopportare da voi figli! Paul mi bistratta di continuo, perché a suo dire avremmo favorito Louise a suo discapito, e tu Camille ti azzardi a immaginarmi colpevole di aver avvelenato tuo padre! […] Anche lui è rimasto profondamente turbato nell’apprendere la verità sui tuoi rapporti con Rodin, l’ignobile contegno che hai ostentato fingendo davanti a noi.
Nell’aprile del 1932, Camille esprime tutta la sua malinconica felicità al fratello Paul, perché finalmente alcuni familiari sono andati a trovarla in manicomio:
Caro Paul, ho ricevuto ieri una piacevole improvvisata: sono stata chiamata nel salone dove c’erano Couchette (Marie Claudel, figlia di Paul), Roger (marito di Marie) e Pierre (fratello di Marie); non avrebbero potuto darmi una gioia maggiore. Couchette era carinissima, davvero ben vestita. Pierre è tanto cresciuto, assomiglia a te completamente. Roger […] mi ha portato arance, banane, burro, brioche, mele poi mi ha donato una banconota. […] Li ho ricevuti claudicante per via di un reumatismo al ginocchio, un vecchio paltò consunto, un trasandato copricapo della Samaritaine che mi calava sul naso. Tuttavia ero io. Pierre si ricordava della sua anziana zia pazza, ecco in quale veste riaffiorerò alla loro memoria nel secolo futuro.
Sempre in una lettera al caro Blot, nel 1935, nel tentativo di definire la sua triste vita, Camille scrisse:
[…] Un romanzo, un’epopea come l’Iliade e l’Odissea. Ci vorrebbe Omero per raccontarla, sono caduta dentro un baratro, vivo in uno strano mondo […]. Dal sogno che è stata la mia vita, ora è rimasto solo l’incubo […]. Da cosa deriva tanta ferocia umana […]. Prometto che mai più recherò scandalo a voi, perché sono troppo desiderosa di riprendere una vita normale […]. Non farei più nulla di disdicevole perché ho troppo sofferto.
Una promessa inutile, una richiesta d’aiuto in un mondo di sordi. Un altro destino.
Per la citazione di alcuni stralci di lettere scritte da Camille Claudel o da lei ricevute, si è ampiamente consultato il testo: Camille Claudel. Sono come Cenerentola. L’arte, i tormenti e la solitudine dalle sue lettere – iquadernidelvento – Via del Vento Edizioni, Pistoia – 2013.

Francisco Soriano
Francisco Soriano nasce a Caracas nel 1965. Attualmente, vive a Ravenna e svolge la sua attività di docente.
È stato insegnante e dirigente scolastico per diversi anni nella Scuola Italiana di Teheran, “Pietro della Valle”, occupandosi di inclusione e didattica dell’italiano a stranieri. Ha pubblicato numerosi saggi storici e raccolte di poesie tradotte in persiano: “Dove il Sogno diventa Pietra”, “Vita e Morte di Mirza Reza Kermani”, “Nuova antologia poetica di Zahiroddoleh”, “Dalla Terra al Cielo. Tusi e la setta degli Assassini di Alamut”. Ha coordinato laboratori di poesia e traduzioni in lingua persiana e ha organizzato mostre di pittori e fotografi contemporanei di livello internazionale, serate dedicate alla poesia italiana e persiana con attrici e attori protagonisti del cinema internazionale. Attualmente scrive articoli di letteratura e si occupa di problematiche concernenti diritti umani e di genere per la Rivista “Argo”. Le sue ultime pubblicazioni sono: “Fra Metope e Calicanti”, edita dalla Casa Editrice “Lieto Colle”, nel 2013; “La Morte Violenta di Isabella Morra”, edita da “Stampa Alternativa”, nel 2017; “Haiku Ravegnani”, edita da “Eretica Edizioni”, nel 2018; “Noe Ito. Vita e morte di un’anarchica giapponese”, edita da “Mimesis Edizioni”, nel 2018.
Grazie al suo amore per il Medioriente, oltre a essere vissuto per molti anni in Iran, ha visitato il Libano, la Giordania, la Siria, l’Armenia, l’Azeirbajan e la Turchia.