Campo di battaglia ⥀ La visione della guerra
Nel film Campo di battaglia di Gianni Amelio i corpi straziati e mutilati dei soldati, e il loro vano tentativo di sfuggire alla morte, restituiscono un quadro di forte impatto visivo sugli orrori della Grande guerra
Il film Campo di battaglia di Gianni Amelio, che dal 7 febbraio sarà visibile su Sky, sin dal titolo ricorda un celebre capitolo del romanzo I miserabili di Victor Hugo, precisamente il diciannovesimo, intitolato Il campo di battaglia, di notte. Dedicato al devastato scenario di Waterloo, la notte dopo la celebre battaglia, Amelio avrebbe potuto sceglierlo quale commento sonoro alla montagna di cadaveri con cui si apre la sua opera: «Noi non siamo – scrive Hugo – di quelli che adulano la guerra; quando l’occasione si presenta, le diciamo in faccia quel che le va detto di vero. La guerra ha spaventose bellezze che non abbiamo nascoste ed ha pure, conveniamone, parecchie turpitudini; una delle più sorprendenti è la rapida spogliazione dei morti, dopo la vittoria. L’alba che segue una battaglia si leva sempre su cadaveri nudi»1.
Se il campo di battaglia di Hugo è il primo riferimento letterario a cui il film rinvia, a livello visivo l’associazione immediata è con Otto Dix, l’espressionista tedesco che dipinse gli orrori e le mutilazioni della Prima guerra mondiale, a cui egli stesso aveva partecipato come volontario, uscendone convinto pacifista.
Questi riferimenti non sono citazioni colte ma opere che incidono, come il film di Amelio, nella memoria, nella mente e nel corpo un’immagine della guerra capace di serrare la gola ogni volta che quelle scene, quei cadaveri, quelle mutilazioni tornano a presentarsi.
Per tutta la prima parte del film si rimane sgomenti per ciò che il regista ha ricostruito sullo schermo, per i suoi quadri animati di volti, arti mozzi, voci dialettali, in grado di evocare il fantasma della guerra, mai ritratta dal vivo, se non all’inizio, in quel «campo di battaglia, di notte». Un film di un espressionismo matematico, armonico, classico, per cui la morte non grida, ma sussurra e quando porta alla follia è per finta. Ad ascoltare quei soldati che fanno di tutto per sfuggire alla morte si prova un senso di disagio tale che è difficile da sopportare.
Alessandro Borghi, che già nel 2018 aveva prestato il suo volto a Stefano Cucchi nel film Sulla mia pelle, contribuendo a risvegliare le coscienze, qui incarna un personaggio, il medico Giulio, che dovrebbe diventare un’altra icona nazionale, un modello immaginario di disobbedienza, resistenza e umanità. Molto meno convincente l’interpretazione di Gabriel Montesi, nei panni del medico Stefano, sbirresco collega di Giulio.
Si fatica a credere che un film del genere sia stato finanziato da una nazione come l’Italia che ha due sue società nei primi posti della classifica dei principali produttori di armi al mondo.
La seconda parte di Campo di battaglia è dedicata alla pandemia di febbre spagnola che straziò l’Europa e il mondo intero dal 1918 al 1920. In questo caso la scena dei camion che portano via i soldati morti da una fortezza usata come lazzaretto ricorda, serrando di nuovo la gola, le immagini televisive dei camion di Bergamo, con i morti del virus Sars-Cov-2.
Film di rara potenza visiva, il film di Amelio è costato oltre 10 milioni di euro, ma ha incassato poco più di un milione, per un totale di circa 200mila spettatori. La proiezione su Sky, che stando alle stime del 2023 dovrebbe avere 4 milioni di abbonati, potrebbe restituire in parte ciò che la proiezione dell’autunno scorso non ha garantito a questo fondamentale film: un vasto e meritato pubblico, che prenda coscienza della realtà mutilante della guerra.
Note
1 Victor Hugo, I miserabili, tit. or. Les Misérables [1862], traduzione dal francese di Renato Colantuoni, e-book.

Valerio Cuccaroni
Dottore di ricerca in Italianistica all’Università di Bologna e Paris IV Sorbonne, Valerio Cuccaroni è docente di lettere e giornalista. Collabora con «Le Monde Diplomatique - il manifesto», «Poesia», «Il Resto del Carlino» e «Prisma. Economia società lavoro». È tra i fondatori di «Argo». Ha curato i volumi “La parola che cura. Laboratori di scrittura in contesti di disagio” (ed. Mediateca delle Marche, 2007), “L’Italia a pezzi. Antologia dei poeti italiani in dialetto e altre lingue minoritarie tra Novecento e Duemila” (con M. Cohen, G. Nava, R. Renzi, C. Sinicco, ed. Gwynplaine, coll. Argo, 2014) e Guido Guglielmi, “Critica del nonostante” (ed. Pendragon, 2016). Ha pubblicato il libro “L’arcatana. Viaggio nelle Marche creative under 35” e tradotto “Che cos’è il Terzo Stato?” di Emmanuel Joseph Sieyès, entrambi per le edizioni Gwynplaine. Dopo anni di esperimenti e collaborazioni a volumi collettivi, ha pubblicato il suo primo libro di poesie, “Lucida tela” (ed. Transeuropa, 2022). È direttore artistico del poesia festival “La Punta della Lingua”, organizzato da Nie Wiem aps, casa editrice di Argo e impresa creativa senza scopo di lucro, di cui è tra i fondatori, insieme a Natalia Paci e Flavio Raccichini.
(Foto di Dino Ignani)