Canzonieri elettronici ⥀ Le forme della poesia tecnologica

Un’indagine sulle caratteristiche e l’evoluzione della poesia elettronica in Italia dalle sue origini al Duemila, secolo che ne registra l’approdo alla forma del canzoniere elettronico

 

Il Novecento fu il secolo del montaggio: editing, cut-up e collage furono le tecniche che determinarono le forme peculiari del cinema, della letteratura modernista e delle arti visive contemporanee. E il Duemila? Il Duemila è il secolo dell’algoritmo. Nonostante la produzione poetica abbondi su Internet e forme di ipertestualità siano inevitabilmente presenti in tutti i blog e siti italiani, pochissime, tuttavia, sono le autrici e gli autori di opere ascrivibili al genere connaturato al computer e alla rete, definito nel tempo computer poetry, poesia digitale e ipertestuale (traslitterazioni di digital e hypertext poetry), infine poesia elettronica, per usare il termine coniato da Fabrizio Venerandi per intitolare il suo canzoniere digitale (Venerandi 2016), il primo a essere programmato al computer nella storia della letteratura italiana.

La poesia elettronica non è la poesia pubblicata su Internet, così come la videopoesia non è la poesia recitata davanti a una telecamera. La poesia elettronica è un ibrido di linguaggio alfabetico e di linguaggio informatico, che può a sua volta incorporarne altri (audiovisivo, musicale, ecc.). Per ciò che riguarda la poesia ipertestuale in senso stretto, essa si basa sulla navigazione non lineare del testo.

 

Appunti per una genealogia della poesia elettronica italiana

Premetto che le righe seguenti sono assai lacunose, perché necessitano di ulteriori indagini. Solo ora si è iniziato a ricostruire la storia della letteratura elettronica in Italia (Iadevaia 2021), dovrei pertanto analizzare le opere di autrici e autori a me ancora ignoti/e o non ancora studiati/e a sufficienza, come le poesie mutanti di Daniela Calisi, per fare un solo esempio.

Le mie ricerche sulla poesia elettronica sono iniziate quando ancora tra le (poche) persone addette ai lavori, interessate, si usava in prevalenza il termine poesia digitale, di cui alcuni esempi si potevano trovare nel sito di Arturo Lini Poesia net: le opere qui pubblicate, che necessitano del plugin Adobe Flash per essere viste, pertanto sono oggi di difficile fruizione, sono semplici mixaggi di immagini, parole e suoni, ma per anni hanno rappresentato uno dei rarissimi esempi di poesia digitale in Italia. Altre rare poesie digitali, benché ferme al 2009, sono quelle di Roberto Gilli, il quale nel suo sito www.robertogilli.it traccia una sintetica storia del genere, assai lacunosa, a dire il vero, almeno per ciò che riguarda le origini, alle quali ha contribuito, come noto, Nanni Balestrini, autore nel 1961 di Tape Mark I (Balestrini 1962), considerato il primo testo generato dal computer, quindi il primo esempio di computer poetry, in Italia, e il secondo, nel mondo. Gilli appunta delle riflessioni e segnala link interessanti, come www.eastgate.com/catalog/Poetry.html (con opere a pagamento, addirittura).

Nel 2006 Tommaso Lisa denunciava che dall’epoca di Tape Mark I «non è stato fatto molto in più per elaborare sinergie creative tra poesia e computer […] c’è assenza di testi poetici digitalizzati che sfruttino competenze informatiche in modo bilanciato e approfondito. Mancano esperienze […] di poesia ipertestuale» (Sei punti sulla rete, in Christian Sinicco, a cura di, Macchia Nera che spande nel web, n. 3, «absolutepoetry 2.0», 2006). Se in Italia la situazione non accennava a evolversi in maniera sensibile, cosa succedeva a livello internazionale? Nel 2010 Sergio Garau tracciò una breve panoramica dello stato dell’arte della poesia digitale, con definizioni ed esempi, in p0es1s. in cerca della poesia digitale. Fino al 2016, tuttavia, l’ipertesto creativo ha incontrato «scarsa fortuna», secondo Filippo Milani, per ragioni diverse: «la resistenza da parte dei poeti di generazioni “pre-informatiche” a sperimentare la nuova modalità creativa; la diffidenza da parte dei lettori nell’affrontare un testo multiforme e lontano dalla pratica quotidiana della lettura (a cui si aggiunge la lenta alfabetizzazione informatica); e soprattutto la difficoltà di creare opere che siano ideate appositamente per l’ipertesto e non si limitino alla trasposizione di testi scritti secondo una logica tradizionale» (Interferenze informatiche nella poesia italiana contemporanea, in «Between», vol. 4, n. 8, 2014). Nel 2016, però, è apparso un esempio maturo di poesia digitale, anzi elettronica: non esperimenti pubblicati online, sperimentazioni che fino ad allora erano rimaste «parziali, limitate, di difficile fruizione» (Roncaglia 2016, p. 5), ma la prima opera poetica digitale compiuta, anche dal punto di vista editoriale, finora apparsa e commercializzata in Italia: Poesie elettroniche di Venerandi. L’opera, pur aprendosi in alcune sezioni alle forme tipiche della computer poetry (ipertestualità e interattività), si colloca saldamente all’interno della tradizione della poesia combinatoria, risalente all’ellenismo e giunta fino ai Cent mille milliards de poèmes di Raymond Queneau (Queneau 1961), ma realizzata con il computer e per la lettura computerizzata, a differenza della poesia elettronica degli Stochastische Texte (Lutz 1959), poesie ad opera di Theo Lutz programmate nel 1959 attraverso i primi calcolatori ZUSE nell’orbita della Scuola di Stoccarda, e a Tape Mark I, destinate comunque alla stampa cartacea. Così come per gli Stochastische Texte e Tape Mark I il codice usato per realizzare Poesie elettroniche non è solo il linguaggio alfabetico, ma anche il linguaggio macchina.

Nel caso di Tape Mark I Balestrini ha «predisposto un testo formato da tre brani tematicamente differenti, suddiviso in sintagmi (elementi) formati ciascuno da 2 o 3 unità metriche. Ciascun elemento è stato contraddistinto da un codice di testa e da un codice di coda, indicanti le possibilità sintattiche di legame tra due elementi successivi», affinché il calcolatore elettronico, un IBM 7070, componesse «una poesia di 6 strofe, formata ciascuna da una diversa combinazione parziale del testo dato» (Tape Mark I, in «Almanacco Bompiani», 1962, pp. 145). I brani erano citazioni dal Diario di Hiroshima di Michihito Hachiya, Il mistero dell’ascensore di Paul Goldwin e Tao te king di Laotse. Il lavoro di programmazione del computer è stato eseguito dall’ingegnere IBM Alberto Nobis, che ha creato un «diagramma a blocchi» (algoritmo), ha trasformato le istruzioni in «linguaggio simbolico per ottenere 322 schede perforate in linguaggio Autocoder», con un processo chiamato «minutazione» (Tape Mark I, cit., p. 146). Con un processo di «assemblaggio» il calcolatore ha trasformato a sua volta il linguaggio simbolico in linguaggio macchina, ottenendo 1200 istruzioni macchina. Il risultato finale è stato selezionato da Balestrini fra le 3002 combinazioni possibili dei 15 elementi dati, stampate in 30 minuti su 63,74 metri di carta. Rispetto all’elaborazione del calcolatore «non sono stati apportati che minimi interventi grammaticali e di punteggiatura, necessari a causa del numero limitato di istruzioni impiegate nell’elaborazione del testo» (ivi, p. 149). Ecco il risultato dell’esperimento.

 

Tape Mark I

La testa premuta sulla spalla, trenta volte

più luminoso del sole, io contemplo il loro ritorno

finché non mosse le dita lentamente e, mentre la moltitudine

delle cose accade, alla sommità della nuvola

esse tornano tutte, alla loro radice, e assumono

la ben nota forma di fungo cercando di afferrare.

 

I capelli tra le labbra, esse tornano tutte

alla loro radice, nell’accecante globo di fuoco

io contemplo il loro ritorno, finché non muove le dita

lentamente, e malgrado che le cose fioriscano

assume la ben nota forma di fungo, cercando

di afferrare mentre la moltitudine delle cose accade.

 

Nell’accecante globo di fuoco io contemplo

il loro ritorno quando raggiunge la stratosfera mentre la moltitudine

delle cose accade, la testa premuta

sulla spalla: trenta volte più luminose del sole

esse tornano tutte alla loro radice, i capelli

tra le labbra assumono la ben nota forma di fungo.

 

Giacquero immobili senza parlare, trenta volte

più luminosi del sole essi tornano tutti

alla loro radice, la testa premuta sulla spalla

assumono la ben nota forma di fungo cercando

di afferrare, e malgrado che le cose fioriscano

si espandono rapidamente, i capelli tra le labbra.

 

Mentre la moltitudine delle cose accade nell’accecante

globo di fuoco, esse tornano tutte

alla loro radice, si espandono rapidamente, finché non mosse

le dita lentamente quando raggiunse la stratosfera

e giacque immobile senza parlare, trenta volte

più luminoso del sole, cercando di afferrare.

 

Io contemplo il loro ritorno, finché non mosse le dita

lentamente nell’accecante globo di fuoco:

esse tornano tutte alla loro radice, i capelli

tra le labbra e trenta volte più luminosi del sole

giacquero immobili senza parlare, si espandono

rapidamente cercando di afferrare la sommità.

 

Alla stregua delle parole in libertà futuriste e dei cadavre exquis surrealisti, il cut-up combinatorio computerizzato di Balestrini è un’opera d’avanguardia in cui il risultato estetico non è disgiunto dalla sua teorizzazione. All’autore interessavano, come alle avanguardie storiche, i «fondamenti» dei «processi immaginativi e costruttivi, individuabili e riassumibili nelle successive fasi di decomposizione di materiali precostituiti, e di ricomposizione in un risultato creativo» (ivi, p. 145). «L’utilità e legittimità dell’impiego dei metodi e dei mezzi – dichiarò Balestrini – messi a disposizione dalla scienza e dalla tecnologia più progredita, intendendoli come integrazione dell’opera di creazione letteraria e artistica, si manifestano in accordo al nostro appartenere a una civiltà industriale» (ibidem). Già per le avanguardie storiche, notò Guido Guglielmi, «la novità tecnologica si coniugava […] con una situazione storico-mondiale in movimento che alimentava le attese di un nuovo inizio. Sembrava quindi possibile superare la separatezza estetica» (Canone classico e canone moderno [2000], ora in Guglielmi 2016, p. 86), così come apparve a Balestrini nel suo duetto con l’ingegnere IBM Alberto Nobis. In Tape Mark I la parola poetica si manifesta con «i mezzi e i metodi messi a disposizione dalla scienza e dalla tecnologia», in una vera e propria performance, perché, in effetti, «la parola d’avanguardia è – conferma Guglielmi – una parola performativa, che crea cioè situazioni ed eventi comunicativi. È sì una parola di violenta contestazione dell’istituzione-arte, o del suo pseudosublime, ma intesa a creare una cultura o comunicazione globale, senza separazione di etico ed estetico. La poetica doveva per essa essere immediatamente politica; e come la politica diventare rivoluzionaria» (ibidem). Questo, tuttavia, vale solo nel contesto in cui si produce la performance, poiché storicizzandosi, nota Guglielmi, «l’avanguardia ha prodotto una “tradizione del nuovo”; e si è canonizzata» (ibidem). Proprio come è capitato alla neoavanguardia italiana. È per questo che nell’era di Facebook Balestrini, negli ultimi anni di vita, è diventato il bersaglio di un collettivo poetico che gestiva, su quella iper-rivista che è Facebook, la pagina Nuova poesia troll, sulla quale «dal 2014 due o forse tre autori, dall’identità semi-conosciuta agli “addetti”, pubblicano poesie in versi liberi, fortemente parodianti la poesia dei circuiti editoriali, da essi vilipesa come “standard”», secondo Federico Ronconi (Ethos e Priapo: la magia di Nuova Poesia Troll, «Poesiadelnostrotempo.it», 2/10/2018). Per il collettivo Nuova Poesia Troll, conosciuto anche con l’acronimo npt, Balestrini è «nonno nanni».

 

npt: io pensa

io pensa che tu fa un poco confusione

tra dino campana e jak frusciante e uscito dal grupo

io pensa ceh aperitivo leterario a bolonia fa un po ridere i colioni

io pensa che nonno nanni a roma e in un ospizio a tor piniatara

e raconta storie che no sono vere

mentre guarda fazio che si asciuga il lacrimo perche e buono

e parla con aldo di edoardo e no si capiscono

uno parla di de filippo l’altro invece

alora esce fuori una gag in cui la litizeto dice cualcosa sul piselo di sanguineti

e tuti ridono perche la tv tre e libera

dai tempi di gulielmi

grazie a cui saviano serena dandini sabina e tante risate su belluccone

 

io pensa che italia no esiste e che e’ solo un fake di facebook

che i troll senpliciemente rendono evidente

io pensa che torta decorata con sagoma di cadavere di pasolino

no e tanto buona

io pensa che unica dacia si trova in rusia e dentro ci e camino acieso e un uomo inflesibile e probo che sa cosa fare

io pensa che carmelo bene in jazz a casa di leterature no e cualcosa di posibile

io pensa che letura di pierfantozzi e bertante in apartamento di architetto a milano e solo copertura per comercio di armi tra camora e isis

io pensa tante cose

io pensa a ostuni a corviale che dice tq e nuovo inteletuali no e vero

io pensa che tuto cuesto e solo la manifestazione

simultanea e inintelligibile,

puramente estetica

di Santo Bermuda.

 

Questo post, datato 6/9/2014, è un altro esempio di poesia pubblicata su Internet che però non può essere definitiva poesia elettronica, almeno non per le sue strutture generative ma soltanto per il mezzo in cui si manifesta (il social network informatico Facebook). Il collettivo di Nuova Poesia Troll usa forme mimetico-parodiche per decostruire discorsi standard di vario tipo, da quelli di chi si riconosce nella tradizione della neoavanguardia a chi ascolta Luciana Littizzetto, mettendo sullo stesso piano la retorica di massa e quella post-avant, «di ricerca» o come la si voglia chiamare. Npt è stata associata da Marco Giovenale alla «flarf poetry» (sunday monday flarfy days, «slowforward.net», 27/10/2018), un movimento d’avanguardia statunitense dei primi del Duemila, fondato da Gary Sullivan, che coniò il termine, scrisse e pubblicò le prime poesie flarf, con un approccio che respingeva la poesia standard. Giovenale stesso, insieme a Gherardo Bortolotti e altri redattori del blog di traduzioni e letteratura di ricerca «Gammm», ha fatto conoscere e sperimentato tecniche della flarf poetry, come il googlism e la poesia cercata (la «sough poem» teorizzata da K. Silem Mohammad in Sought poems, in «Gammm», EbooKritik, 2007), opposta all’objet trouvé, alla poesia trovata delle avanguardie storiche.

Non è tanto la poesia elettronica che interessa gli autori di Gammm ma le frontiere di una ricerca linguistica che sonda i confini del linguaggio e del codice poetico, laddove diventa altro da sé, come nel caso della post-poesia di Gleize. L’autore francese colloca la post-poesia all’interno di un «projet littéral» che «peut être compris comme un des pôles aimantant la poésie en France aujourd’hui, celui par lequel la “poésie” a les meilleures chances de se dépasser elle-même voire de “sortir” d’elle-même et du manège: vers un autre site, la “post-poésie”» (tradizione: un progetto letterario che può essere compreso come uno dei poli che oggi attraggono la poesia in Francia, quello per cui la “poesia”, ha le occasioni migliori per superarsi da sé ovvero per “uscire” da se stessa e dalla giostra: verso un altro luogo, la “post-poesia”, Dieter Gräf, Alessandro De Francesco, Lettere sulla post-poesia, con una riflessione di Jean-Marie Gleize, «Semicerchio», XL, 2009, p. 47).

Anche la poesia tecnologica, così come definita negli anni 1960 da Lamberto Pignotti, mirava a portare la poesia a «se dépasser elle-même» non però verso la prosa ma semmai verso l’immagine. In Italia un contributo di ricerca significativo, sul versante delle ibridazioni tra linguaggio poetico, autovisivo e computerizzato, è stato fornito da Caterina Davinio, che ricorda così la sua carriera di poeta elettronica: «Già negli anni Novanta ho curato pionieristicamente numerosi festival itineranti dedicati al rapporto tra scrittura e nuove tecnologie, presentando artisti da vari continenti e Paesi. Citiamone qualcuno: Poesivisioni elettroniche (con edizioni annuali in molte città italiane dal 1993 al 2001), Electronìe d’arte ed altre scritture, conclusosi con il convegno Oltre le arti elettroniche. La nuova sperimentazione al Museo Pecci di Prato nel 1995; Parole virtuali, in sedi alternative ed istituzionali, tra cui la Biennale di Venezia del 1999; Techno-Poetry, alla Galleria Comunale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma nella mostra Le tribù dell’arte a cura di Achille Bonito Oliva, e altri» (Cos’è la poesia elettronica? reportage di Caterina Davinio, «Versante rapido», 1/12/2014). Tuttavia, lamenta l’artista, «l’attenzione della critica e degli operatori del circuito delle arti visive è sempre stata superficiale e marginale per gli aspetti poco commerciali di questo tipo di opere artistiche, per non parlare del mondo letterario, che solo in pochi casi ha accolto nelle sue manifestazioni una sezione di poesia elettronica» (ibidem). Fra i pochi festival ad accogliere precocemente la poesia elettronica, ricorda Davinio, «sono stati quello di poesia internazionale di Medellín, in Colombia, che, sempre negli anni Novanta, ospitò una compilation tratta proprio da Poevisioni elettroniche, e VeneziaPoesia, a cura di Nanni Balestrini, evento della Biennale di Venezia del 1997» (ibidem). Cosa intende l’autrice per poesia elettronica? «La poesia elettronica o e-poetry – spiega Davinio – esplora in modo multiforme i rapporti che legano la sperimentazione nelle arti elettroniche all’avanguardia storica e alla neoavanguardia, alla poesia sonora, performativa, visiva e concreta, che avevano già portato la parola fuori dalla pagina. Negli anni Ottanta e Novanta l’elettronica e poi il digitale hanno sviluppato quelle ricerche imprimendo il movimento e la materia digitale alla parola stessa, manifestando l’intento di non rinchiuderla in una nuova “pagina elettronica”, seppur dotata di qualità estetiche, ed enfatizzando invece gli aspetti interattivi e relazionali del lavoro, che nel mio caso è sempre stato un network tra reale e virtuale» (ibidem). A partire dal Duemila, l’avvento dell’Internet 2.0, dell’interattività, dei social network e dei siti di condivisione multimediale come YouTube o anche la realtà immersiva di Second Life, secondo Davinio, «avvicina arte relazionale e tecnologie» (ibidem). «L’utilizzo di materiali digitali e informatici – afferma la poeta elettronica – ha portato una vera rivoluzione non solo nella produzione, ma anche nella fruizione e nella critica dell’arte elettronica, che non può essere più valutata secondo i canoni tradizionali, in base alle qualità estetiche di un oggetto/testo “chiuso”, ma deve essere approcciata come processo» (ibidem). Questo stesso modo di concepire l’opera poetica, in realtà, non è nuovo ma discende dalle tendenze sviluppatesi in Europa tra Ottocento e Novecento, da Mallarmé e Valéry fino ai filologi che le hanno fatte proprie, come Gianfranco Contini: «La scuola poetica uscita da Mallarmé, e che ha in Valéry il proprio teorico, considerando la poesia nel suo fare, l’interpreta come lavoro perennemente mobile e non finibile, di cui il poema storico rappresenta una sezione possibile, a rigore gratuita, non necessariamente l’ultima. È un punto di vista di produttore, non d’utente» (Contini 1943, p. 5). Nel saggio del 1948 La critica degli scartafacci Contini precisa che si riferiva alla concezione dell’opera d’arte non dell’utente, per il quale essa è «una cosa, un prodotto, un dato, un risultato», ma alla concezione di chi produce, per il quale «l’opera è qualcosa che non è fatto ma si fa», perché «la poesia è atto (o attività) e non fatto» (Contini 1948, p. 13). L’«oggetto di un’indagine scientifica», scrive Contini, «non credo che sia la “creazione”: è quel dato reale che è il “creato”. Dunque il “creato” e non la “creazione”, il prodotto o il processo, ma non ciò che gli preesiste. Altrimenti sconfiniamo nell’ineffabilità» (ivi, p. 56).

 

Poesie elettroniche: il primo canzoniere iper-volgare

Se quelle di Davinio sono sperimentazioni che hanno faticato finora a trovare una loro collocazione al di fuori delle esposizioni e dei musei di arte visiva, con Poesie elettroniche di Fabrizio Venerandi siamo di fronte a un progetto editoriale integrato, destinato a lettori e lettrici dotati/e di dispositivi portatili con cui fruire l’opera, realizzata con i linguaggi XHTML e Javascript, incapsulati in un pacchetto ePub3. Questi particolari codici di programmazione diventeranno obsoleti, come ogni oggetto tecnologico, ma sono già inseriti nella storia del nuovo volgare di massa, che non è più solo verbo-iconico come negli anni 1960 (Pignotti 1965), ma è informatico, quindi è un iper-volgare di massa. Così come la letteratura medioevale in volgare è oggi quella che meglio ci restituisce la visione del mondo, la weltanshauung del Basso Medioevo, poiché l’Europa smetteva di essere solo latina e diventava anche neolatina, la letteratura elettronica meglio ci restituisce la visione del mondo del Duemila, poiché il mondo ha smesso di solo essere analogico ed è diventato anche digitale. «Io sono nato e cresciuto – confessa Venerandi a Francesco Faccioli in un’intervista del 2019 – negli anni settanta/ottanta, ho visto arrivare l’informatica nelle case, i primi home computer, i cabinati dei videogiochi, le prime avventure testuali, le connessioni alle BBS, i modem, tutta questa roba qua che – per buona parte era basata sulla parola scritta e che raccontava cose, creava informazioni in modi impensabili fino a solo un decennio prima. […] Il mio modo di pensare, di immaginare, di creare mondi e pensieri tiene conto che esiste l’informatica» (Fabrizio Venerandi, poeta elettronico. Intervista di Francesco Faccioli, «Argo», 2/7/2019).

Poesie elettroniche è un canzoniere, contenente poesie d’amore che sono state «scritte quasi interamente nel 2016, in uno dei periodi più difficili, di crisi e di squadernamento» della vita dell’autore, come dichiara nell’Introduzione (Venerandi 2016, p. 25). Nel suo intervento sulle forme, adottando tecniche che occultano i testi del tutto o in parte e lasciando al lettore la loro scoperta progressiva, Venerandi dà sostanza visiva a un contenuto bruciante: «La retorica digitale che sottende — in maniera diversa — tutte le quattro sezioni del testo è quella di permettermi di scrivere cose che non avrei voluto rileggere. Che non avrei voluto fermare in una forma. Queste sono poesie che non vogliono essere finite, ma che credono che la cosa di cui parlano sia ancora una cosa in mutazione», dichiara l’autore (ibidem).

 

In gelsomino_notturno #1 la strofa che si vede di giorno è:

questa cosa che non ti dico è nascosta

dai raggi che il tuo monitor fa brillare

questa cosa non la vedi alla luce del sole

me la tengo tutta dentro a macerare

 

Il registro è lirico ma non è stabile, perché il medium, il dispositivo trasforma il testo in un processo per cui il piano dei significati si modifica in base alla mutazione del piano dei significanti, destabilizzandolo: «questa cosa non la vedi alla luce del sole / e la tengo tutta dentro a macerare», ma, arrivato il momento in cui apparirà la seconda strofa, la «cosa» non starà più «tutta dentro a macerare». Se l’io lirico era una funzione del testo, l’io lirico elettronico diventa una funzione dell’ipertesto e così si mostra definitivamente nella sua rete di connessioni, non solo intratestuali e intertestuali ma anche ipertestuali. Il genere lirico diventa genere relazionale.

La nuova fase della poesia tecnologica chiarisce che un intervento sulle forme non è mai distinto da un intervento sui contenuti e sui modi di concepire la poesia.

 

 


 

Bibliografia non consultabile online

Gianfranco Contini, Saggio d’un commento alle correzioni del Petrarca volgare [1943], poi in Id., Varianti e altra linguistica. Una raccolta di saggi (1938-1968), Einaudi, Torino 1970.

Id., La critica degli scartafacci [1948] in Id., La critica degli scartafacci e altre pagine sparse, Scuola normale superiore, Pisa 1992.

Guido Guglielmi, Critica del nonostante, Pendragon, Bologna 2016.

Roberta Iadevaia, Per una storia della letteratura italiana, Mimesis, Milano 2021.

Theo Lutz, Stochastische Texte, in «augenblick», 4, 1959, pp. 3-9.

Lamberto Pignotti, L’operazione tecnologica, ovvero: il vocabolario secondo, in «Nuova Presenza», n. 19/20, 1965-66, pp. 4-39.

Raymond Queneau, Cent mille milliards de poèmes, Gallimard, Parigi 1961.

Gino Roncaglia, La regola e il testo: ipotesi di prefazione per le Poesie elettroniche di Fabrizio Venerandi, introduzione a Venerandi 2016.

Fabrizio Venerandi, Poesie elettroniche [ebook], Quintadicopertina, Genova 2016.