Cattivissimo me 3 | di Pierre Coffin, Kyle Balda, Eric Guillon | recensione di Valerio Cuccaroni

La saga di Cattivissimo me porta al cinema, mascherandolo con una colorata e buffa veste comica, l’unheimlich di cui si occupò Sigmund Freud nel saggio Das unheimliche (Il perturbante, 1919). Con il suo carico di strumenti di tortura ed esseri mostruosi la casa (heim in tedesco) del protagonista Gru ha per noi spettatori qualcosa di “stranamente familiare”, unheimlich appunto, perché mostra ciò che normalmente nascondiamo alla nostra coscienza, rimuoviamo, rigettiamo nel profondo.

Qual è il rimosso che torna al nostro cospetto nel perturbante Gru che rapisce le bambine nel primo Cattivissimo me? Cosa ci inquieta nei minion indemoniati di Cattivissimo 2? E nell’ambiguo gemello Dru, nel pupazzesco villain Balthazar Brat e nella capra monca scambiata per unicorno di Cattivissimo me 3?

La saga animata, distribuita dalla Universal Pictures, porta in scena l’inconscio, con la sua libido e il suo istinto di morte, la sua natura oscura, doppia, ambigua. Il perturbante però, quando viene esibito in quanto tale, è davvero inquietante, come l’Orco Insabbia e la bambola Olimpia nel racconto L’uomo della sabbia di Ernst T. Hoffmann, analizzato da Freud. Invece in Cattvissimo me il perturbante non viene esibito nel suo aspetto inquietante ma mascherato, addomesticato e reso rassicurante, consolatorio, perché possa essere consumato senza troppi patemi. Così, il rapimento delle bambine operato dall’orco Gru in Cattivissimo me diventa adozione. I minion indemoniati di Cattivissimo me 2 vengono sedati con un farmaco che li riporta alla normalità. In Cattivissimo me 3 il doppio Dru viene presentato come un pasticcione.

Eppure una sottile inquietudine resta e in Cattivissimo me 3 si sposta dal piano psicologico a quello sociale, perché il doppio (la mamma-non mamma Lucy Wilde, il buono-cattivo Gru/Dru, il bambino-non bambino Balthazar Brat) acquista le dimensioni di un fenomeno non solo individuale come nei due precedenti episodi. L’agente segreta Lucy Wilde, sposatasi con Gru in Cattivissimo me 2, deve diventare mamma, anche se non si sente tale e non è la mamma biologica delle bambine, in un processo di adozione scaturito da un originario rapimento. Gru, disoccupato, sentendosi un fallito, cede all’offerta del gemello criminale di compiere un furto senza dire nulla alla moglie. Il villain Balthazar Brat, che è l’incarnazione dei morti-viventi anni Ottanta, con le sue spalline e i suoi gadget, minaccia di distruggere la società con una nuova gigantesca bolla, che nel film è quella di un chewing-gum ma che allegoricamente, riversandosi sui palazzi di Hollywood sparata da un robot gigantesco, non può non richiamare alla mente le bolle finanziarie provocate dalla speculazione immobiliare e tecnologica, fra anni Novanta e gli anni Zero del Duemila, in un eterno ritorno dell’illusorio sogno di ricchezza infinita e facile successo degli Ottanta.

A fermare la distruzione di Hollywood sono il ricco Dru e gli operai minion, passati dalla parte del bene per salvare Gru, ma alla fine, anche se le bambine Margo, Agnes ed Edith si addormentano tranquille, tornati nelle nostre case noi non ci riusciamo, perché l’inconscio individuale e collettivo, incarnato da tutti i doppi di Cattivissimo me, è predatorio come il sistema economico capitalista a cui quei doppi rimandano. Gli asserviti minion, oltre a essere nella realtà un big business in quanto merci empatizzate fra le merci, non sono forse, nell’allegoria del film, operai privi di coscienza di classe, pronti a cambiare padrone a seconda della convenienza? E il ricco Dru non vive forse di rendita grazie alla rapace attività di famiglia?