Cesare de Seta, Era di maggio, Macerata, Hacca 2010

copertinache-300x350Italia, fine anni Sessanta. Fabrizio è uno studente di fisica all’università; è di estrazione borghese, cresciuto in un ambiente familiare culturalmente stimolante; è appassionato di ciò che studia e si diletta di tennis; per le vacanze è solito andare a Capri con i parenti e poi nel Nord Europa sul Maggiolone con gli amici. Fa la conoscenza di Sara, bella e indipendente, che frequenta i collettivi e le riunioni e dice le parolacce. La pasionaria cerca più volte di convincere Fabrizio alla rivoluzione che sta sorgendo, ma di fronte alle obiezioni di lui le loro discussioni non trovano mai un punto di incontro. La prima parte del romanzo si conclude con la loro separazione. Nella seconda parte Fabrizio è a Parigi presso un istituto di ricerca. Conosce Sylvie, alto-borghese con loft sull’Île de Saint-Louis, che lo ama, rimane incinta, va ad abortire, va a letto con un altro. La loro relazione si consuma tra le sirene e le manganellate del Maggio francese, in una situazione che pone tanti “stranieri” uno di fianco all’altro.

Il primo romanzo (Rusconi, 1991) di Cesare de Seta (storico dell’arte e dell’architettura alla “Federico II”) viene riproposto a quasi vent’anni di distanza dalle edizioni Hacca. La domanda è: perché? Perché ripetere un’altra volta che non fu rivoluzione e che mai avrebbe potuto esserlo? Perché portare nuovamente alla luce tutte le contraddizioni davanti a cui la borghesia (che generava i sedicenti rivoluzionari) si tappava gli occhi e le orecchie?

Del resto, però, riflettere ancora su qualcosa che si crede di conoscere, e potere di conseguenza trovare nuove ragioni e giungere a nuovi pensieri, sono occupazioni alte e nobili per le quali la letteratura è intesa, e questo è uno dei motivi per cui leggere de Seta, benché a tanti anni di distanza, è utile.

Fabrizio è un protagonista che ripete tra sé alcuni interrogativi che lo tormentano: perché Sara, che poteva diventare come sua madre, si è reclusa in una comune? Come mai neanche Sylvie è stata come lui si aspettava? Perché tutto quel parlare di cose che non si comprendevano, quel fare rivoluzione contro chissà cosa?

Arnaldo Colasanti nella postfazione parla della “delusione” come chiave di lettura del romanzo. L’analisi non sarebbe scorretta, se non fosse che Fabrizio non è propriamente un deluso, dal momento che mai è stato neppure un illuso.

Uno dei limiti di questo protagonista è, a mio avviso, il fatto che alle domande che pone a sé stesso egli non risponde quasi mai. Nonostante che si percepisca la distanza (temporale e culturale) che lo separa dai fatti su cui riflette e che intende narrare, egli non fornisce spiegazioni se non riguardo a ciò che già sapeva fin dall’inizio della storia. Non sono le memorie di un reduce o di un sopravvissuto nel bene o nel male, perché di fatto Fabrizio – che pure non manca di “coscienza di classe” – rimane volontariamente escluso da quel mondo che descrive.

In questo senso non si può dire che il romanzo di de Seta compia una “riflessione” sul Sessantotto. Di quel Sessantotto si ha l’impressione di guardare solo un lato della medaglia.

Fabrizio-de Seta cita Bianciardi, conosce ed evoca ciò che potrebbe aprire i suoi lirismi alle possibilità di un’altra letteratura (che pure vi è stata) rivoluzionaria nelle forme e nei contenuti. Però rimane come legato a quell’idea “classica” di romanzo, che purtroppo dalle rivoluzioni si teneva lontana, costruita sui preteriti e sulla precisione verbale. Il vantaggio di questa scelta stilistica è che il testo risulta scorrevole benché forbito, e anche ricco di nozioni sulla storia recente della nostra società, ma il rischio è di avere dei caratteri troppo “uguali a se stessi”.

Un’ultima notazione. La qualità della prosa si eleva sensibilmente quando de Seta narra i divari e le tensioni sociali attraverso l’analisi del dato architettonico-paesaggistico: i tratti umani delle comparse risaltano nella sua storia tanto più espressivamente quanto più espressivamente si descrivono i muri, le finestre e gli intonaci che circondano quei personaggi. Da questo punto di vista, l’apporto professionale dell’autore si rivela importantissimo.

Lorenzo Biagini