Da Cinemascope di Anna Papa ⥀ Autopoetica
Con questo contributo si delinea una nuova rubrica dedicata all’Autopoetica all’interno della poesia italiana contemporanea, mirando a esplorare con maggiore precisione la portata letteraria di inediti che trovano spazio per la prima volta accompagnati da una dichiarazione di intenti e di critica auto-prodotta da chi scrive. La rubrica è permeata da una predisposizione a esplorare tutte le potenziali manifestazioni della poesia. Per segnalarsi basta inviare dei testi e una dichiarazione di autopoetica alla mail: autopoetica.argo@gmail.com
A partire da una lente anamorfica: «in ottica, sono detti a. quei sistemi che danno luogo ad anamorfosi delle immagini prodotte da altri sistemi, per es. da obiettivi; a sistemi di questo tipo […] si ricorre, tra l’altro, nelle riprese panoramiche (cinemascope, ecc.), per comprimere entro il normale fotogramma cinematografico un campo orizzontale assai più ampio del normale» (Treccani).
Nei testi, la persona soggetto è vista e spiata, passa dalla sala come per un luogo di rassicurante possibilità di scomparsa e osservazione, a sua volta di spionaggio. In e verso la sala, però, accadono una serie di deformazioni preoccupanti, a guardare bene l’immagine restituita ha qualcosa che si sgretola, una prospettiva data da interrogare. Le impressioni paranoidi hanno a che fare non solo coi film, è tutto il sistema-sala, tutto il sistema-poltrona, tutto il sistema-sguardi a creare agitazione.
(Anna Papa)
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da Cinemascope (di quando si sta dentro o intorno alla sala)
Se si parlasse agli insetti, si spiegherebbero dai movimenti.
Si convince che bisogna spiarli, seguirli, che a guardare che fanno – con discrezione – passerebbe da loro a loro qualcosa che chicchessia non sa, perché semplicemente non può, né potrebbe.
Forse fiabica edifica con la magia, forse sublima.
Durante la proiezione, sotto il fascio di luce da dietro, riesce scrutando a notare una mosca.
Pare che per ogni essere umano nel mondo ci siano almeno diciassette milioni di loro divise in non sa più quanti esemplari diversi.
La guarda la fissa si dice che diciassette milioni di loro su Loro sarebbe la fine.
Forse esagera sogna.
Intanto la mosca da sola gira e rigira intorno alla sedia, la circonferenza che traccia col volo dal punto A all’identico punto serve a segnare lo spazio.
La mosca sta sopra la testa sta intorno alla sedia sta a dire che –
gira e rigira e rigira e ripete agitata: la sedia è una sedia è una sedia è: una poltrona.
Pronuncia la profezia e scompare:
si aspetta che sotto di lei avvenga lo stesso
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ma
sotto la mosca la gente trema.
Si domanda in quali parole sciogliere il volo
capisce la possibilità di un messaggio da decifrare
dovrebbe impegnarsi insistere aspettarsi di più
ma invece
desiste, disarciona l’insetto gli strappa qualsiasi potere salvifico che nel tempo prima di entrare dentro la sala gli aveva affibbiato
insomma
dimentica il compito, il monito, il divieto di marcia fissato.
Se la mosca scompare scompare anche solo il pensiero dell’animale.
In assenza di milligrammi variabili di mosca domestica da stare a fissare
si passa in sala a guardare i film.
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Per la strada che fa verso il cinema preferisce spesso il silenzio non sa più che dire.
Prima si sentiva che serviva, adesso non ne si può fare a meno.
Quando si dice qualcosa lungo la strada che va verso il cinema, si dice sempre qualcosa del prima.
Chi c’era prima può raccontarlo, chi non c’era lo ascolta col danno dell’immaginazione coi buchi. Loro dicono che l’hanno persa coi tempi.
I percorsi per arrivare a… sono pieni di voglia di far presto e sottrarsi alla discussione che si fa adesso sui tempi che corrono, per non parlare di quelli che correranno dopo.
Loro nacquero con le orecchie che già sentivano benissimo eppure hanno tutt’ora ritardi nel linguaggio.
Non capiscono come sia possibile che il racconto della nostalgia generi la peggionostalgia e che la peggionostalgia apra alla disperata dipendenza del racconto della perdita di chissà se lo sapranno mai che cosa.
In sala si tirano liberatori sospiri di sollievo per l’anche stavolta scansata fuoriuscita del: stava per presentarsi nel peggiore dei modi: lo hanno trattenuto appena prima di.
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I film sono ormai proprio sempre gli stessi, si dividono in quelli fatti e in quelli da fare, servirebbero performer in fuga dai primi e dagli altri, basterebbe non far succedere niente.
In sala però c’è bisogno che qualcosa accada.
Accade ad esempio che si determini tutto e che infatti all’entrata ricevano un programma già pronto.
Ogni film ha un commento, il librino del tuttogiàdato si compone di varie sezioni: regista, persone che recitano, anno in cui, luogo da dove, trama, considerazioni di noi.
Il problema pare che loro lo scorgano solo se sono dentro da poco o se a fatica riescono a uscirne.
All’inizio prendevano posto solo dopo le spiegazioni di chiunquefosse era una strategia commessa a salvare qualcosa.
In quei minuti di assenza si lavorava a una forse possibile organizzazione della loro salvezza da Loro: non andare era a quel tempo un immoto buono, un incontrollato pensiero di dispersione possibile.
Adesso vorrebbe spiarli che spiano, che sudano freddi cercando una trama.
Marzia D'Amico
Marzia D'Amico è poeta e traduttorə, il suo esordio è Liricologismo (Zacinto edizioni). Ha pubblicato poesie su diverse riviste nazionali e internazionali in lingua inglese e italiana. La sua prosa, le sue traduzioni e i suoi contributi culturali sono apparsi in radio, su carta e online. Co-edita mensilmente una newsletter transfemminista (Ghinea).