Cinque testi da “Maniera Nera” di Marco Giovenale | Fabio Orecchini
Riscatti
a C.
Pezzi di primi
documenti vagano e valgono
in altri, successivi,
seminativi, hanno
la coda viva quando è morta
la testa, da un pezzo proprio
non censito, amato mancante
dalle altre carte, che le serpi
ci si girano di scatto tu
non ritrai l’ombra in tempo
*
Nome della via morta e nome della sarta viva
sono giusti se sono
stoffa presa dagli operatori booleani, dunque
e così esisti (si stupisce) (con l’esclamativo,
si aggiunga)
mentre parlano
istericamente delle nuove zone e spacci
kitsch in centro, riciclaggio
e ogni frase dice ogni altra cosa, soprattutto
deittici e motivi motivetti di possesso:
donna (questa) ha
uomo (questo).
Entrano escono gli amici, intanto. Siedono
sul giallo delle poltroncine Gierke, intanto,
le gonne si accorciano, moltissimo, fuori.
Loro non si alzano, è freddo
secco dentro, estate in troppi nomi
*
Eh non è
abituato alla
felicità infatti
poi smette
con il fuochino lira
brace-bribe
e la tossicità del giorno
(l’ammalarsi, certo, sì, come
noto, nota, sad, sì – un sì senza
sé)
*
… non sa cosa
essere, Pietro, Flora, foglia, elastichino
good sign che scava la roccia – sogno
orizzontale, beton per miglia
(l’orizzonte schiaccia la terra)
il falcetto di Saturno
*
Non lavora
ma quelli che sì
stanno al tavolo tondo
al portico in via Spighe
così dice
che vuole lavorare ancora meno
come sotto una minuscola – una
scrittura – corsiva – più piccola ancora
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Marco Giovenale, Maniera nera (Aragno, collana ‘i domani’, 2015).
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