Coluccio Salutati contro Giuseppe Conte. Scontro a distanza fra cancellieri
«Molto spesso negli interventi pubblici pronunciati ho evocato la forma di un nuovo umanesimo: non ho mai pensato fosse lo slogan di un governo, ma un orizzonte ideale per il Paese» affermò il Presidente del Consiglio dei Ministri Giuseppe Conte, incaricato di formare un nuovo Governo dal Presidente della Repubblica italiana Sergio Mattarella, il 29 agosto scorso.
Il cancelliere italiano ha mentito, però, perché all’orizzonte non c’è nessun nuovo umanesimo. Non è più il tempo in cui dall’Italia si partiva per l’Europa a visitare monasteri dove erano sepolti manoscritti con lettere di 1300 anni prima. Non è più il tempo in cui Petrarca, ritrovando le lettere ai familiari di Cicerone, riportò alla luce il latino classico, usandolo per forgiare la lingua della poesia. Non è più il tempo in cui si ridava dignità a “le vane speranze e ‘l van dolore” della dimensione terrestre dell’umanità e si riscoprivano gli ideali di armonia che ispirarono alcune delle più grandi opere d’arte mai realizzate, dal Canzoniere, imitato in tutta Europa per secoli, anche da Shakespeare, fino alle città ideali di Urbino, dove fu accolto Raffaello, e Pienza, dove l’architettura è diventata metafisica. Non è più il tempo in cui un notaio amante delle lettere, allievo di Boccaccio, diventato Cancelliere della Repubblica fiorentina, ancorò il mito della fiorentina libertas alla libertas di cui dicevano di godere i senatori della Repubblica romana. Non è più il tempo in cui i politici chiamavano nella propria città illustri studiosi, come il Crisolora, che avrebbero fatto riscoprire il greco classico all’Italia e quindi a tutta Europa. Quello era il tempo del sommo Coluccio Salutati.
Come si può pensare di evocare, senza aspettarsi delle sonore pernacchie, l’epoca inaugurata da Salutati, che raccogliendo l’eredità di Petrarca e Boccaccio la trasmise ai primi umanisti della storia? Questo fu l’umanesimo, una incredibile operazione di politica culturale, quindi anche di comunicazione e propaganda, certo, ma soprattutto di filologia, di filosofia della storia e di pedagogia, incomparabile con il nuovo umanesimo di cui si parla a vanvera nel mondo della pseudo intelligenza al potere, del post- e del trans-umanesimo.
Se non fosse ridicolo parlare di nuovo umanesimo, nel momento in cui è diventato la bandiera di chi ha governato con uno dei ministri più disumani della storia della Repubblica italiana, avendolo addirittura come vice, potremmo prendere sul serio il dibattito e chiedere a Coluccio Salutati di interloquire con Il nuovo Umanesimo di Michele Ciliberto.
Purtroppo, però, la storia può tornare solo in forma di farsa o tragedia. Meglio non tentarla. Il progetto umanistico, in realtà, continua, non si è mai interrotto dal momento in cui sono state introdotte le cattedre di greco classico e la filologia governa gli studi letterari, al di sopra di ogni moda passeggera.
Semmai un cancelliere moderno che volesse inaugurare una nuova era, a cui i posteri daranno un nome, dovrebbe prendersi come consulente un grande assirologo e promuovere nuove traduzioni dell’epopea di Gilgamesh, ricollegando la storia della Repubblica italiana alle origini della civiltà, a una cultura ancora più antica di quella greca e latina, la prima a inventare la scrittura. Ora che una nuova forma di scrittura, il codice binario, ci consente di parlare con le macchine per immagazzinare merci e raccontare storie dobbiamo interrogare quelli che per primi usarono il linguaggio per immagazzinare merci e raccontare storie.
Non sarebbe un nuovo umanesimo, ma forse sarebbe abbastanza antico da risultare nuovo.

Valerio Cuccaroni
Dottore di ricerca in Italianistica all’Università di Bologna e Paris IV Sorbonne, Valerio Cuccaroni è docente di lettere e giornalista. Collabora con «Le Monde Diplomatique - il manifesto», «Poesia», «Il Resto del Carlino» e «Prisma. Economia società lavoro». È tra i fondatori di «Argo». Ha curato i volumi “La parola che cura. Laboratori di scrittura in contesti di disagio” (ed. Mediateca delle Marche, 2007), “L’Italia a pezzi. Antologia dei poeti italiani in dialetto e altre lingue minoritarie tra Novecento e Duemila” (con M. Cohen, G. Nava, R. Renzi, C. Sinicco, ed. Gwynplaine, coll. Argo, 2014) e Guido Guglielmi, “Critica del nonostante” (ed. Pendragon, 2016). Ha pubblicato il libro “L’arcatana. Viaggio nelle Marche creative under 35” e tradotto “Che cos’è il Terzo Stato?” di Emmanuel Joseph Sieyès, entrambi per le edizioni Gwynplaine. Dopo anni di esperimenti e collaborazioni a volumi collettivi, ha pubblicato il suo primo libro di poesie, “Lucida tela” (ed. Transeuropa, 2022). È direttore artistico del poesia festival “La Punta della Lingua”, organizzato da Nie Wiem aps, casa editrice di Argo e impresa creativa senza scopo di lucro, di cui è tra i fondatori, insieme a Natalia Paci e Flavio Raccichini.
(Foto di Dino Ignani)