Considerazioni dal porto di Massimo Avella ⥀ Passaggi

La rubrica Passaggi presenta oggi, per il suo ultimo appuntamento prima della pausa estiva, Considerazioni dal porto, un testo di Massimo Avella illustrato da Francesca Alessandrini. L’editoriale della rubrica può essere letto qui

Immagine in copertina di Francesca Alessandrini.

 


Stasera la luna ha lo stesso sorriso beffardo, misterico, ilare, del gatto stregato di Alice. È alquanto impossibile, eppure diciamo che il conto torna. Chi non se ne accorge o non si meraviglia, deve essere forse dotato o dotto, dedotto, “studiato”, come si dice, alle scuole alte del grande impero dell’Occidente. È come attraversare un confine. Anche se non oltrepassi dogane, senti qualcosa; esci dalla tua comodità, dal set abituale, cominci a guardare le cose davvero da fuori; stare fuori davvero da noi. Starsene lontano, in parte. Bastano poche modifiche al quotidiano trans, parastatale, al tempo indeterminato che ci conduce alla cecità dell’abitudine, e sei in un altro luogo, in un paese sconosciuto; fatale. Sei fuori, fuggito o caduto in un buco, salvato o recluso, scappato da te stesso finalmente, dalla trappola del sé. Perduto!
Stasera il vino di Eleusi ci sembra mischiato con cura, con attenzione al dettaglio, con mani di fata, con dedizione antica, con diligente, inconsapevole compunzione. Gli effetti si riverberano sulle cose, svelandone i misteri, i nessi necessari et eterni, i gangli neurali, che restano comunque nascosti alla lingua, per quanto ci si sforzi di nominarli, rimangono enti senza nome, non indicabili e quindi indicibili. Flebili rimandi musicali, concerti in cui note defunte si escludono a vicenda. Un pallido dito tremante ed incerto, vibrante al silenzio di tutte le lune…
Nel mentre l’inverno continua a spogliare le cose, privandole dell’area che vela e protegge, che chiude, confonde ed unifica, trattiene e respira nell’intimo del loro esser cose; il freddo che avanza continua a spogliarle, le svela, le lascia da sole, ci mostra, anzi ci sbatte in faccia, la loro incomprensibile nudità. Mi sembra un gesto alquanto irrazionale, ma forse così deve essere e basta. Voi non trovate? Anche la mente continua a svanire; svapora come un gelato in dicembre; con calma, lentamente e con tenerezza glaciale. Il cane non sembra sentire la noia, si accoccola attorno al giaciglio, si gira e rigira, facendosi largo nel nulla, scrivendo strane geometrie sul pavimento del bar, anch’esso deserto. È domenica e una musica allegra di là dall’oceano intenerisce il whisky nel bicchiere, costringe gli astanti a fumare, gli istanti a svanire in una nuvola di continuità. Lui e il suo cane, insieme al barista cinese, sono gli unici clienti. Il cinese non dice mai niente, non parla. Soltanto se chiedi qualcosa da bere si sforza di rompere il ghiaccio, di dire una misera parola, stentata, per niente scherzosa; lui pure si fuma, nel cielo confuso che soffia sul porto il suo fiato gelato, ricolmo di dolce malinconia prenatale, la sua sigaretta freddolosa, che muove davanti alla bocca e riflette sui vetri bombati dei grandi occhiali da vista, squadrati e cinesi, dai quali non spunta un bel niente. Stasera la luna ha il sorriso di carta del gatto di Alice. Stregato il mio cuore, il mio cane e di me il mio ricordo, cerchiamo nel bianco il coniglio, che corre portandosi appresso la persistente illusione del tempo, con l’orologio gigante nel taschino. Attraverseremo la strada; varcheremo il confine balcanico. Lisi e scordati di noi, saremo dei rulli meccanici, di quelli che alimentano musica nelle feste di paese, in giro per il mondo; chiodati, saremo l’astrazione che diventa corpo; mentre ciò che vorrà mostrarsi si mostrerà, sopra la superficie degli occhi, nel silenzio del golfo, nella testa spugnosa, tra la brezza marina e le piccole barche in rada.
La città si farà strada attorno ai buchi di mistero, dentro le luci colorate dei semafori e dei bar sul lungomare; giù fino all’ultimo quartiere, dove è il fronte del porto, dove un mondo finisce e ricomincia. Prenderemo la strada costiera, di terra e di mare, di storia e di guerra, di sguardi forgiati dal mare, di glorie passate e nascoste agli uomini, di narrazioni, di naufragi, di piano scordati che suonano da soli, di case e di ruderi in pietra, di note ed assoli, di macchine per fiati, di fiere.

 

 

 


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Massimo Avella
Immagine di Francesca Alessandrini.