Corpo a corpo di Silvia Rosa ⥀ Passaggi

La rubrica Passaggi pubblica oggi la prosa breve Corpo a corpo di Silvia Rosa, accompagnata da un’illustrazione di Sarah Di Piero. L’editoriale della rubrica può essere letto qui

Illustrazione in copertina di Sarah Di Piero, Nel nome, 2023.

 


 

Per questo terrore che mi assale all’improvviso, ti scrivo, amato mio nemico, per chiederti il permesso di smettere la nostra guerra ballerina. Vorrei lasciarti libero di essere, e soprattutto fidarmi del tuo ingegno, ma ancora se ti scruto attentamente immagino sottopelle una vita sconosciuta, aliena, e mi chiedo fino a che punto tu sia mio, e quanto invece sfugga al mio controllo. Non ti comprendo quando mi dici spina al fianco qualcosa nella tua lingua misteriosa e arcana, come di pane impastato nella notte che sfama il mondo intero, la morsa che mi tieni stretta sulle tempie, quel muoversi radente ogni parola delle tue cellule, che cosa cresci nel tuo caldo involucro? Ho paura da sempre che tu possa tradirmi, e non vengo a patti con il nostro stare insieme. C’era una volta una bambina bella con le ginocchia sbucciate d’erba, io mi sentivo forte, mi riflettevo dentro la tua immagine, mi sembrava di poter correre contro il vento e i miei capelli filavano le stelle di seta nera, tu lo sai che li conservo ancora in una ciocca e se li sfioro sento i brividi dei miei cinque anni benedetti, come non fossi stata io a possederli un giorno. Quando il male non ha voce, quando una carezza è piuttosto un graffio fino al cuore, allora succede che nel sangue si forma un mulinello di paura, che gira e gira per tutte le città e le stazioni dei pensieri, da cima a fondo, come in quel cartone animato che non mi piaceva niente, dove ogni piccola parte del corpo interno aveva vita propria e raccontava il perché e il per come del suo agire, si animava di ragioni, esplorando il corpo umano per ogni cosa pareva esserci una spiegazione. Tranne che per quel dolore mascherato di piacere. Succede anche che il malessere sia appreso come una poesia a memoria, e che plasmando le radici in cui si affonda per anni e anni dia i suoi frutti amari, e ogni parola creda di tornare a casa dentro a quell’angoscia, che per guarire bisogna starci con i piedi dentro, fissarla dritto senza dirsi tante storie. Mio corpo che sei mutato come luna falce e poi piena luce intermittente, che mi attraversi tutta, accoglimi, volevo scriverti questo, ma mentre arrivano di corsa i ricordi di quanto ero io a spararti contro, vorrei scusarmi, per quel che serve, di continuare a definirti stretto tra i paletti di un giardino a vista, tutta perfezione, tutta regola, e poi a volte di gettarti via nello sfregio rapido di orme nere fango, a cui concedo il passo per punirti di ogni desiderio che mi piega, quello di esistere prima di ogni tutto. Scomparire dico io, e tu gridi più forte, allora, mi fai sentire il peso del tuo esserci, mi àncori alla terra e più mi ostino a odiarti e più tu mi sorprendi. Vengo dunque in pace, in questa nuova veste senza più corsetto e lacci ruvidi, voglio trovare un luogo tra me e te che sia lo stesso identico sentire, la mia voce senza più i tuoi impotenti sintomi, la precisione la vulnerabilità che tu mi sveli, quando la smetto d’imbavagliarti con un grumo secco di passato, il rigurgito di quelle mani che hanno violato la tua essenza. Ho ripetuto tante volte che sarà per sempre, sempre inginocchiata a quello scempio d’innocenza, sterile non più vergine bambina sacra, ma non c’è nulla che non cambi, tu mi insegni, e io ti ascolto, finalmente.

 

 

 


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Silvia Rosa
Sarah Di Piero, Nel nome, 2023.