Prosegue nell’edizione 2021 di Corto Dorico la sezione Salto in Lungo, dedicata alle opere prime di autori italiani capaci di esordire nel lungometraggio dopo l’esperienza nel mondo dei corti e del documentario
La sezione di Corto Dorico dedicata ai debutti italiani nel lungometraggio, Salto in Lungo, in questa edizione 2021 testimonia dell’ottimo stato di salute del cinema italiano attraverso sei esordi importanti, opere diversissime che, ciascuna a suo modo, articolano un discorso di ricerca attraverso originali strategie di genere, stile, approccio.
Allons enfants è una produzione francese, una storia ambientata nella Parigi degli attentati terroristici in cui Giovanni Aloi riflette sull’attualità occidentale che vive la guerra come fantasma evocato, possibilità prossima o remota, confronto con un nemico puramente ipotetico. Nella capitale attraversata da mille tensioni il regista immerge lo sguardo nella quotidianità di una pattuglia di sorveglianza che ne percorre le strade, sposando il punto di vista di un giovane fragile, detonatore umano di una bomba emotiva pronta a esplodere.

Gli fa eco Due, di una vecchia conoscenza del festival anconetano, Filippo Meneghetti (nel 2011 il suo L’intruso vinceva come miglior cortometraggio di impegno sociale), opera prima che ha trovato in Francia produttori convinti, premiata con un César e selezionata per competere all’Oscar come miglior film straniero: la storia d’amore clandestina tra Nina e Madeleine – due donne anziane che vivono apparentemente in due appartamenti contigui e che in realtà ne condividono uno – è un debutto di maturità sorprendente, un film che delega la narrazione ad atmosfere e ambientazione: un huis clos a tinte melodrammatiche, un thrilling sentimentale, tutto giocato sullo sguardo proiettato sullo spazio domestico, sul quotidiano percepito come minaccia.

Storia al femminile anche Piccolo corpo di Laura Samani che, recuperando una leggenda, si proietta nel passato (siamo nel nordest italiano ai primi del Novecento, e di quei luoghi antichi si parla la lingua) per raccontare, nelle forme di un road movie favolistico, la storia di un miracolo. Ritratto di vita arcaico, recupero di un patrimonio culturale di cui si va ad estinguere il ricordo, il film, nel mescolare il dogma cristiano con suggestioni magiche, impone una riflessione affilata sulla forza del femminino, sul potere della sua determinazione, prefigurando un discorso rivendicativo che si rivela tutto contemporaneo.

E la suggestione fantastica appartiene anche a Io sono Vera di Beniamino Catena, un film che conferma la geografia estesa (e il conseguente polilinguismo) del concorso di quest’anno, una storia di vite parallele che dalla Liguria rimbalza in Cile: una ragazzina scompare nello stesso momento in cui, dall’altra parte del globo, un uomo ritorna in vita. Azzardo fantascientifico (poco italiano, verrebbe da pensare), questo viaggio in un tempo totale – dove non ci sono barriere tra presente, passato e futuro –, nel suo percorso di genere lascia passare l’onda dell’emozione, le vibrazioni dell’umano, una sensibilità che conduce questo titolo felicemente inetichettabile nell’alveo di un cinema intimista e, a suo modo, spirituale.

Un’operazione sul genere è anche quella di Il legionario in cui Hleb Papou, con un occhio alla solidità spettacolare di un Sollima, racconta la storia di Daniel, giovane poliziotto del reparto mobile, figlio di immigrati, che si trova di fronte a un bivio: la scelta tra le ragioni familiari e la fedeltà al corpo di polizia. Un dramma action sulla realtà degli sgomberi degli edifici occupati (siamo a Roma), premiato a Locarno, che riesce anche a dipingere un ritratto d’ambiente, restituendone nitidamente complessità e contraddizioni.

E di attualità stretta, nel suo riportare caratteri e modus vivendi di una generazione, è anche Atlantide di Yuri Ancarani: nella laguna veneziana si dà conto dei giovani che vivono nel culto del barchino, trasformando i loro motoscafi lagunari in bolidi da competizione. Tour de force stilistico di impatto visivo travolgente. Al confine incertissimo tra fiction e documentario, il film mette al bando dialogistica e intrecci evidenti per esaltare il lavoro imperniato sul fulgore di un’immagine che intercetta, esaltandoli, linguaggi disparati: dalla fotografia al videoclip, dal fashion movie alla videoarte (dalla quale, peraltro, il regista proviene). Ulteriore dimostrazione della poliedricità di una proposta, quella dei giovani cineasti italiani, di cui Salto in Lungo è quest’anno, più che mai, fotografia credibile.

(A cura di Luca Pacilio, membro del comitato di selezione Salto in Lungo)
Il programma della rassegna Salto in Lungo è consultabile a questo link