A cosa servono i libri di Davide Nota ⥀ Passaggi

Come anticipato la scorsa settimana, riprende la rubrica Passaggi, che dedica le sue pubblicazioni alla prosa breve. Oggi ospitiamo Davide Nota con A cosa servono i libri e Il fiore che voleva essere colto. L’editoriale della rubrica può essere letto qui

Illustrazione in copertina di Silvia Mengoni, Senza titolo, 2022.

 


A cosa servono i libri

Ho sempre amato perdermi, nei libri di poesia, nei luoghi incomprensibili scoperti per caso, camminando al contrario o aprendo a sorte il margine dei meandri incantati. Ogni pagina ha la durata di un giorno, di una rotazione cranica attorno allʼasse cerebrale, mentre la verità si esprime in un lampo, in uno sguardo immediato come un segnale di intesa. Ci sono altri fattori che intercorrono poi, altre lingue straniere che non riconosceremo. Noi diverremo in certi istanti delle cattedrali, dei grattacieli animati da formiche cerimoniose come dei menhir formicolanti di germi e batteri. Pietre felpate da cellule viola. Ossa azionate da pensieri organici. Occorre farsi scala, lampadario, piazzale antistante e persino ascensore. Essere lʼinterfaccia di un sistema microbico. Parlare al proprio corpo come farebbe un dio. (Non è detto, infatti, che ogni dio sappia di esserlo, di avere un corpo galattico composto da sistemi stellari e neutroni; o un pianeta chiamato Terra da alcuni dei suoi abitanti etc.; dialogare con un mitocondrio è tuttora piuttosto difficile; questo perché anche un dio ha bisogno di concentrazione). Dimentico la trama, apro il libro come un oggetto misterico, un mazzo di tarocchi, non parla, apro di nuovo, non parla, apro di nuovo e infine appare il segno, il sogno, cioè, il seme, la parola, no? Così si leggono i romanzi. Dopo si prende la parola come una biglia e la si porta al parco, sul muretto rosso invaso dal sole. Si tratta di un parchetto semplice, un parco italiano con due altalene e una linea di pini comuni, più qualche panchina in fondo dove a sera siedono i ragazzi e nel meriggio le bambinaie. Allora la biglia si esprime raggiante, come il prisma di cui parlava Guido Cavalcanti, cioè lʼocchio di Beatrice (o di Giovanna, è lo stesso) quando deposta la sapienza emerge lʼesperienza della visione. I libri servono a questo, non bisogna leggerli ma averne cura e poi, un giorno, aprirli a caso. Proprio mentre pensavo a queste parole, mentre le appuntavo cioè, mentre le scrivevo a mano su un taccuino bianco immerso nella meditazione del muretto assolato, qualcosa ebbe inizio che assomigliava a una storia.

 

Il fiore che voleva essere colto

Colse un fiore perché era un fiore che voleva essere colto. Eppure la sua piccola volontà gli sembrava così chiara. Era una piccola volontà dʼamore, come quella del fiore che egli voleva cogliere, a sua volta colto da una volontà maggiore. Lui se ne accorse quando decise di cadere, in quanto cadde cadendo per elargire profezie floreali in forma di polline sul prato ondivago che lo aveva convocato per disordinarsi. Così, pensò, dovesse andarmi male in forma umana, il fiore che io stesso sono avrà anche lui tentato la sua avventura. Ma non esisteva nessun fiore in quanto era il prato che si esprimeva in mille allucinazioni, travestendosi di volta in volta in coccinella, in fungo, in verme, in mago e persino nel mio dirimpettaio (il signor Bianchini, che fa lʼavvocato ad Osimo). Il fiore e il ragazzo si guardarono tra le radici dellʼalbero con diffidenza. Ma tutto questo durò un istante, un semplice istante che si espresse senza coscienza nel corpo dellʼuomo, o meglio dire del prato che credeva di essere un uomo, cogliendo se stesso per volontà di metamorfosi, dunque si rialzò trattenendo di quella sensazione solo lʼombra di un oggetto non identificabile, un fiore che infesta il corpo umano come un fungo il cranio di una cavalletta e dal suo interno lo sgretola come un germoglio il seme. Il suo gomito sbucciato in effetti prese a sanguinare mentre stringeva ancora in mano il fiore.

 


Chi volesse proporre prose brevi e illustrazioni per la rubrica, può inviarle a questo indirizzo email:

 

Davide Nota
Silvia Mengoni, Senza titolo, 2022.

Davide Nota
Davide Nota

Davide Nota è nato nel 1981 a Cassano d'Adda, in provincia di Milano, ma è cresciuto ad Ascoli Piceno, nel sud delle Marche. Ha abitato in diverse città e ha svolto molti lavori. Ha esordito a ventiquattro anni pubblicando alcuni capitoli di poesia oggi raccolti in Rovi (Argolibri, 2022), nel 2015 ha svolto alcuni esperimenti di videoarte installativa con il duo Ermes Daliv mentre nel 2019 ha pubblicato per Luca Sossella Editore il romanzo sperimentale Lilith. Un mosaico che ha avuto anche alcune traduzioni teatrali a cura del Collettivo ØNAR. Ha pubblicato appunti di pensiero estetico e politico su diversi giornali tra cui L'Unità e Huffington Post prima di addentrarsi nella grande solitudine. Con la calma dei giusti lavora a nuove prose.

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