Dislocazione dell’estetica ⥀ Dalle frontiere al litorale

Ospitiamo oggi un intervento di Nino Contiliano sulla dislocazione dell’estetica dalle teorie critiche e dalle pratiche poetiche consolidate, a partire dal pensiero di Lacan e Badiou per arrivare alla poesia di Marco Giovenale e Giovanni Fontana

 

Anche se smilitante, la critica, dislocandosi rispetto alle teorie ormai stereotipate (affrancamento «dai modelli dello storicismo, del marxismo, della stilistica, del formalismo, dell’avanguardismo, dello strutturalismo, della semiologia, della filologia, della psicoanalisi»1), non smette di scavare nel sistema che indaga.

La critica fa affiorare infatti altre insorgenze. Attento prevalentemente alle parole delle scritture artistiche (in generale), ridimensionando il classico engagement degli artisti, dei letterati e dei poeti, il soggetto critico, infatti, non rimane inattivo e disimpegnato: esplora nuove invenzioni. Dalle sue indagini, non prive di supposizioni e verità ideo-logiche (non ideologistiche), emergono infatti nuovi modelli e schemi efficaci (un respiro necessita sempre dell’aria vitale che ne alimenta il funzionamento).

Diagonale/raro, il soggetto – scrive Alan Badiou – in una situazione evenemenziale (fuori dal sapere codificato), per il fatto che c’è di mezzo una procedura generica (e diagonale), attiva un’esplorazione febbrile degli effetti di un nuovo teorema. L’esplorazione febbrile degli effetti, per esempio, della «precipitazione cubista del duo Braque-Picasso nel 1912-1913 (effetto di un intervento retroattivo sull’evento Cézanne), l’attività di S. Paolo, o quella dei militanti di una Organizzazione Politica»2. Una esplorazione – ancora Badiou – che oltre a toccare il rapporto tra finito e in-finito della verità molteplice, rivisita il problema del soggetto nelle situazioni evenemenziali. Un soggetto che non è né una sostanza, né una coscienza, né un punto vuoto, né organizzazione di un senso dell’esperienza, né una invariante della presentazione, né un risultato, né una origine (e il suo enunciato è aleatorio) ma una configurazione: «una configurazione eccedente della situazione»3. Del resto, basterebbero i soli nomi di Marx (critica dell’economia politica, il marxismo e il comunismo) e Freud (critica dell’identità tra ragione e coscienza, la psicoanalisi e l’inconscio dove è la coscienza) per dire quanto basta sulla delocalizzazione del soggetto e delle verità. Entrambi, dopotutto, si dis-localizzano: l’uno dove non c’è il capitalismo; l’altro dove non c’è la coscienza (di altri, avanti).

 

Un soggetto si configura

Ora, de-localizzarsi in questa configurazione del soggetto come procedura, volendo porsi la domanda sulla possibilità dell’estetica (in tempi in cui se ne dichiara il decesso per adesione all’eterno presente dell’oscena estetizzazione del neoliberismo capitalistico algoritmico – imperanti i flussi informatici e finanziari del debito infinito, il deep learning, i soft power, i profilamenti identitari robotizzati, l’alienante cancel culture – cultura della cancellazione –, il nuovo detersivo lava-cervelli, etc.), è un volersi approssimare al pensiero delle verità presso le ricerche eterodosse di figure come Jacques Lacan e Alan Badiou (due che hanno rovistato criticamente tra i lasciti del marxismo e del freudismo). Due figure che, pur da pieghe diverse, hanno parlato di estetica da luoghi che nessuna estetizzazione capitalistica di classe potrà mai saturare, se il divenire e il tempo della realtà, mescolati agli artifici della storia (arte, politica, scienza, sperimentazione, relazioni, presupposti, simbolismo, immaginazione, linguaggi…), continueranno il corso in-finito delle esplorazioni conoscitive, teoriche e pratiche. Jacques Lacan (XX secolo), nel rapporto tra l’ordine del reale, simbolico immaginario (siglato RSI), a latere del suo specifico freudismo, toccando il rapporto della verità dell’arte con il reale, ha lasciato di che pensare con le sue tre topiche (estetiche) sull’arte e un’indicazione per la poesia. Una riflessione, quest’ultima, centrata sugli haiku giapponesi (poesia lontana dal semantismo occidentale) e tale da non ignorarne la somiglianza formale con l’astrazione della scienza, lì dove l’insistito rapporto numerico e sillabico (regole proprie/singolari e immanenti alla procedura degli haiku) si coagula nell’enunciato dei versi 5/7/5. Non distante, l’Alan Badiou di Inestetica: non un’anti-estetica, una contro-estetica, una non-estetica, bensì un’estetica la cui verità è inerente – immanente e singolare – alla particolarità dell’arte come procedura di verità molteplice (irriducibile alla verità della scienza – sebbene come la matematica porti il linguaggio ai limiti dell’essere –, o della politica, o dell’eros). Per il filosofo francese, Badiou, quattro sono, infatti, le verità che, come condizioni di verità in divenire, rendono ancora possibile la riflessione teorico-filosofica sull’arte, sulla politica, sulla scienza e l’amore (l’essere non è Uno, è molteplice!). E qui la verità dell’arte non è subordinata alla trascendenza/esteriorità dei modelli idealisti o materialisti che siano (men che meno alla teoria di un partito guida: il caso del vecchio impegno dei comunisti ortodossi-staliniani). Non c’è la V-erità, infatti. Ci sono verità molteplici. Molteplicità da cui non sfugge la collettività relazionale degli individui eguali e liberi (l’umanità – scrive Marx, il Capitale – è «associazione di uomini liberi» e il comunismo, tra scienza e utopia, è un «movimento che abolisce lo stato di cose presente»). Uomini e donne cioè che non possono non interessarsi all’arte e alla poesia, se è vero che gli effetti del loro linguaggio, come quello della scienza, influenzano i sentimenti e i comportamenti sociali (Sigmund Freud – nell’interpretare i sogni del personaggio della Gradiva, la novella del 1903 di Wilhelm Jensen – scoprì che gli stessi deliri, come quelli della fantasia dei poeti, hanno delle ragioni). Motivi che, tra latente e manifesto, nevrotiche/isteriche o meno le spinte pulsionali, aiutano a spiegare i comportamenti individuali e sociali dei soggetti (reali siano le loro identità o frutto dell’invenzione dei poeti). Il poeta – scrive Freud – con le sue creazioni e i mezzi tecnico-estetici impiegati «ottiene in noi effetti emotivi […] come il superamento della (c.n.) nostra ripugnanza, la quale è certo in connessione con le barriere che si elevano fra ogni singolo Io e gli altri. […] il poeta […] ci seduce mediante il godimento puramente formale, e cioè estetico, che egli ci offre nella rappresentazione delle sue fantasie»4. Un comune godimento di piacere, di liberazione e di adesione a quanto dal poeta e dall’azione della sua opera ci permette di modificarci e di modificare lo stato delle cose che opprime (le barriere…).

 

Jacques Lacan

Crediamo che sia necessario e urgente ridare la parola alle verità (se rimosse, non per questo la memoria sociale e collettiva le ha cancellate!). Così ci si disloca, pascolando in altre alture. Del resto, tra i sentieri dell’articolazione, le parole della lingua, come il cammino delle capre, sono sentieri a incrocio pluri-biforcante. E le biforcazioni – insegna la teoria delle catastrofi di René Thom –, sebbene manchino la coerenza tra concetti e significato, e siano imprevedibili, tuttavia aprono la via a nuove e utili conoscenze (pur in contraddizione con le vecchie credenze d’armonia): permettono di descrivere topologicamente i fenomeni discontinui e divergenti come transizioni di fasi (per inciso, ma con passione e in brevità, la nostra transizione guarda a un mondo del comunismo anticapitalistico e dell’eguale-libertà!). Così, a far memoria, accanto alle diverse asimmetrie d’ordine, c’è anche quello che nel sistema «RSI» (Reale/Simbolico/Immaginario) Jacques Lacan (psicoanalista e filosofo) ha chiamato la dismisura della de-localizzazione del soggetto, il manque à être del linguaggio con l’essere del soggetto stesso che lo usa. Il linguaggio di cui il pensiero si serve per catturare la realtà non è mai esaustivo. La realtà gli si sottrae. La totalità dell’essere è irraggiungibile. La mancata fusione totale lascia vivo però il desiderio della lotta per il godimento (che si sposta in avanti): la realizzazione-pienezza del linguaggio del modello del sistema concettuale messo a lavoro è sempre messa in discussione e rivoluzione. Di de-localizzazione e ri-localizzazione del soggetto però non se ne parla senza connessioni tra i diversi ambiti della conoscenza, del sapere e della pratica (filosofia, estetica, politica, economia, poesia, etc.). Il sapere dell’economia politico-capitalistica-neoliberista contemporanea, ad esempio, grazie alla scienza algoritmica-combinatoria (automi asemantici) controlla il tele-lavoro e domina sia i flussi informativi e finanziari che le resistenze della forza-lavoro e il rivoluzionamento della de-localizzazione industriale cibernetica (mondo ormai in balia della logica dello scambio del valore informatizzato). Una essenziale mistura intricata di rivoluzione tecno-informatica-robotica i cui i processi neoliberisti (interni, transnazionali, globali) sono in continuo movimento: fanno rete web (Internet e social network) e profilano le identità individuali. Riconfermano cioè il potere di comando rinnovato, mentre il sapere ideologico dei media realizza gli individualismi più egoistici quanto cinici, mettendo in soffitta l’individualità sociale e la natura stessa sociale del lavoro e dei rapporti umani (il discordo del padrone, direbbe Jacques Lacan). Il Lacan artefice dell’analisi capace di mettere a nudo le funzioni di ciascuno segno deputato a veicolare la formazione dei comportamenti e i limiti in re. Il linguaggio rivelatore anche di aporie e verità non facilmente removibili, come l’irriducibilità del reale alla teoria simbolica del modello adottato, e che il filosofo e psicoanalista ha siglato con la triade «RSI» (Reale, Simbolico, Immaginario).

Per Lacan, come è noto (anni Cinquanta del XX secolo), il pensiero che era stato de-localizzato nell’estetica poetica del solo significante (la creazione artistica, come può avvenire nella produzione poetica, era nel primato del significante sonoro: «combinazione formale tra i significanti e la loro eccentricità rispetto al piano del significato»5). Negli anni Settanta dello stesso XX secolo, lo stesso Lacan invoca però un ritorno alla ragione e alle ragioni della teoria e della logica come ha indicato Freud, il padre della psicoanalisi come scienza. Un ritorno che, nonostante il dubbio e le ombre (forse grazie a loro), passa attraverso una filosofia che intreccia il cogito cartesiano stesso con ciò che non è né pensiero né linguaggio, l’essere-in-quanto-essere (pura indeterminatezza materiale; il vuoto d’essere generico con cui l’uno e l’altra hanno però uno stretto e strano rapporto di con-vivenza e, di volta in volta, di determinazione singolarizzata). Il cogito di Cartesio – dice Lacan – infatti è dove non pensa di essere come logos. Semplificando: l’essere del pensiero è de-localizzato dove non-è, l’inconscio. Il pensiero pensa dove non può né essere né essere-pensare (manque à être). E il linguaggio nei confronti di questo reale non ha che svolte fantasmatiche (diverso dalla scelta di Martin Heidegger che vede la lingua come la sola casa dell’essere). La razionalità scientifica rimane infatti ai margini (un luogo forcluso). Basterebbe pensare ai casi dell’isteria (qui il sapere dello psicoanalista è muto, non sa dire dell’identità del soggetto).

Il linguaggio artistico (come suggeriscono i suoi tre schemi estetici o topiche («estetica del vuoto», «estetica anamorfica», «estetica della lettera») non ha miglior fortuna. Sebbene il valore dell’arte e della poesia non perdano di funzione e valore, l’incontro del soggetto con l’essere (il reale) rimane adombrato, mai è pieno. Scrive Massimo Recalcati: nella prima estetica lacaniana, l’arte è in rapporto col vuoto o con l’oggetto perduto – paradigma è l’opera degli oggetti desublimati (il Das Ding, la cosa) dell’artista Giorgio Morandi; nella seconda (la «funzione quadro») si rapporta al dettaglio catturato della figura anamorfica (il teschio – il perturbante – nell’opera di Hans Holbein, Gli ambasciatori); nella terza, la funzione della lettera artistica è asemantica. Una singolarità della contingenza che siamo sempre stati. Esemplare il caso di Antoni Tàpies, il pittore che riduce il suo stesso opera-nome alla lettera T, una croce. Il soggetto che, marcato dall’azione dell’Altro – scrive Recalcati –, non è più significato dal linguaggio e dai suoi nomi. L’azione del soggetto non è altro che disarticolare e ridurre l’io dell’artista a un fantasma immaginario (sembra il personaggio della Gradiva interpretato da S. Freud). È il soggetto che nello stesso campo simbolico individua il traumatico dell’elemento «irriducibile al simbolico, la marca fondamentale (asemantica) che istituisce il soggetto e il suo destino»6. È come se la scrittura del poema soggettivo fosse un effetto di contrazione/riduzione dell’azione dell’amplificazione come avviene nella poesia-haiku giapponese (Jaques Lacan, Lituraterra). Un componimento poetico, lo haiku, che (nato in Giappone nel XVII secolo) sembra contare soprattutto sul concetto di numero (segno di per sé asemantico) – tre versi per complessive diciassette more, secondo lo schema 5/7/5. Una contrazione formale che niente ha a che vedere con il contenuto o il significato, come è proprio ai linguaggi della scienza e della logica formale. Ma il Lacan di Lituraterra (fine degli anni Sessanta del Novecento) è anche il pensatore che nella comprensione degli enunciati – insieme con teorici della letteratura, logici, matematici e scrittori d’avanguardia – si occupò del rapporto e della distinzione che legano (tra loro) la lettera, il significante e la scrittura. E ciò, crediamo, in vista della complessità dei processi e delle alterazioni che investono la significazione (in generale) delle lingue e delle scritture. Del resto, come ha scritto Cristina Fanelli il neologismo Lituraterra, nella sua composizione sillabica concentrata, agglutina quattro termini: la parola letteratura (dal francese littérature); la parola latina litura (cancellatura, spalmatura, rammendo, raschiatura); la parola terre (terra di litorale); la parola letter (riferimento alla Lettera rubata di Edgar Allan Poe) e la parola litter (rispettivamente lettera e rifiuto). L’amalgama, è chiaro, è un’operazione procedurale che mostra – ancora Cristina Fanelli – come i termini di due sostanze diverse (insieme di mare e di spiaggia: terra di litorale) possono entrare in rapporto simbiotico dando luogo a un differenziale semantico senza annullare gli stessi elementi materiali che entrano in rapporto (avanti un’analogia per elementi diversi).

 

Incontri

Un’operazione di dis-localizzazione (l’asemanticità) che nella produzione della scrittura artistico-poetica contemporanea – come teorizzato da Marco Giovenale e scritto da Gilda Policastro in appendice al suo libro (L’ultima poesia, 2021) – potrebbe prendere il nome di Asemic writing. Una «forma di scrittura svincolata dal segno come significante, al confine tra l’opera astratta dell’arte contemporanea e le scritture rupestri e i graffiti. L’apertura di senso si deve all’interazione tra l’artista e il fruitore, in un gioco di attribuzione che non prevede codici prestabiliti o significati obbligatori»7. Del resto, per corrispondenza, gli algoritmi e i flussi di potere de neoliberismo dell’immateriale automatizzato (soft power e deep learning) non possono sperare di meglio. Per un altro esempio di de-localizzazione estetica dai codici e dalle procedure poetiche ossificati piace ricordare (pur brevemente) anche l’estetica della poesia di Giovanni Fontana, il poliartista dell’Epigenetica. Tra gli esponenti contemporanei più accreditati della poesia sonora, la sua sperimentazione è fortemente intermediale: mediante procedure performative particolari, sviluppa infatti nuovi intrecci tra immagine, azione, suono, testo. Nella sua produzione (poiein) un significato particolare acquista la dimensione acustica attraverso le «tecniche di spazializzazione del suono, l’ambiente sonoro e quello geometrico per (c.n.) reciproche influenze, proprio in quanto territorio d’azione. Voce, corpo, gesto sono posti al centro dell’opera e dell’azione poetica […] innescando una serie di processi interattivi caratterizzati dall’uso dell’elettronica»8. Per Fontana, attento al pensiero di Maurice Merleau-Ponty (la corporeità) e di Luigi Pareyson (la formatività), il corpo, «innervato di significati come l’opera d’arte […] e la voce (c.n.), come corpo dinamico, […] non possono essere disgiunti se la voce, in poesia (c.n.), ha il potere di innescare istantaneamente nel momento performativo le vampe melopeiche, logopeiche e fanopeiche […], in-forma, con-forma, configura la poesia nello spazio-tempo. […] Il poliartista ne è, dunque, l’artefice e l’attante. Grazie al suo gesto, alla sua energia, alla sua continua pressione, l’organismo poetico subisce processi successivi di riorganizzazione secondo itinerari pluridirezionali ed è sottoposto a una progressiva modellazione plastica, tanto che, rispetto alla struttura “genotipica” della partitura, si può parlare, per le fasi evolutive spazio-temporali, di poesia epigenetica»9.

 

Breve conclusione approssimata

Nel caso – quello che qui preme – il differenziale delle mutazioni è quello dovuto alla posizione dei prefissi, o di altre varianti (formali, o formalizzate) che modificano la com-posizione delle parti di un tutto nelle identificazioni della parol-azione di un’est-etica-politica s-militante (il militante che devia l’azione vecchio tipo), o di de-localizzazione/dis-localizzazione (l’insieme del fare artistico/letterario nel contesto dell’accadere spazio-temporale straniante). Un nuovo paradigma. Appoggiandoci alle indicazioni (in generale) delle opzioni di Badiou/Lacan – scelte che non forcludono la dimensione politica della metamorfosi –, il riferimento è al paradigma lacaniano dell’erosione, del passaggio e dell’exit dalle frontiere per abitare il litorale (per inciso, è il Lacan conoscitore dei processi storici della lingua e della scrittura giapponese, ovvero – come scrive Cristina Fanelli – della doppia pronuncia fonetica. La pronuncia del carattere importata dalla Cina, e la pronuncia giapponese che indica il significato del carattere). Il Lacan che, nel distinguere tra loro la lettera, il significante e la scrittura, ridefinendo al contempo ciascuno di essi, pone delle linee di de-marcazione. La prima de-marcazione è quella che traccia tra la lettera e il significante, perché tra queste due dimensioni – spiega Lacan – non c’è frontiera, bensì litorale. «Qual è la differenza? La frontiera, separando due territori, simbolizza che sono medesimi per chi li varca […], è una linea di divisione posta convenzionalmente su uno “stesso” territorio che (c.n.) separa simbolicamente un’estensione di terra fatta, però, della stessa materia. La linea del litorale funziona in ben altro modo, perché (c.n.) il litorale ha la caratteristica di porre un dominio come facente tutto intero frontiera per un altro, e questo solo per il fatto che essi non hanno assolutamente nulla in comune, neppure una relazione reciproca […], come succede ad esempio tra il mare e la spiaggia. La lettera è litorale? […] o è il “letterale” da rintracciare nel litorale? […] il bordo del buco nel sapere […] La chiave per intendere questo passo è la nozione topologica di “bordo” come zona di rovesciamento tra due territori disuguali (ad esempio, dentro e fuori) che non sono in opposizione tra loro, ma che piuttosto sono in continuità tra loro grazie ad un lembo che immette un territorio nell’altro. Dunque, non una relazione di opposizione, ma di continuità tra superfici diverse e separate»10. Ma, analogicamente, per chi scrive (come nel caso del calcolo infinitesimale) può essere anche la chiave per conoscere e agire nell’ottica delle preposizioni, dei prefissi o di altre varianti che testualizzano di un’altra presa di posizione sulle nuove significazioni. Innescando un differenziale, prospettano infatti un’evoluzione processuale topologica dei rapporti che toccano l’intreccio dell’insieme est-etico-politico come un divenire simbiotico del wu wei cinese che milita e s-milita (agire-non-agire).

 


 

dislocazione
Giacomo Cuttone, Kyiv in schegge, acrilico su tela, 50×70 cm.

 


Note

1 S. Lanuzza, Critico militante solo a favore della letteratura, in Senza storia. ’900 e contemporanei della letteratura italiana, Oédipus, Salerno 2021, p. 32.

2 A. Badiou, L’essere e l’evento, traduzione di Giovanni Scibilia, il melangolo, Genova 1995, p. 331.

3 Ivi, p. 392.

4 S. Freud, Il poeta e la fantasia, in Saggi sull’arte, la letteratura e il linguaggio, Bollati Boringhieri, Torino 2013 (ristampa), pp. 58-59.

5 J. Lacan, Le Séminaire. Livre V. Les formations de l’inconscient, Seuil, Paris 2000, p. 56 (Nota tratta da «Aut Aut», n. 326/aprile-maggio 2005).

6 M. Recalcati, Excursus: il paradigma della croce di Antoni Tàpies, in «Aut Aut», n. 326/aprile-maggio 2005, p. 155.

7 G. Policastro, Appendice-glossario ragionato delle procedure sperimentali (1960-2020), in L’Ultima Poesia. Scritture anomale e mutazioni dal secondo Novecento a oggi, Mimesis, Milano 2021, p. 175.

8 G. Fontana, Epigenetic Poetry, Fondazione Bonotto-Danilo Montanari Editore, Ravenna 2020, p. 6.

9 Id., La poesia epigenetica: Urtext in espansione. Manifesto su testi, voci e luoghi dell’azione poetica.

10 C. Fanelli, Lituraterre. La lingua e la scrittura giapponese.