Dogman | di Matteo Garrone | recensione di Enrico Carli
Regia: Matteo Garrone
Genere: drammatico
Durata: 120 min.
Cast: Marcello Fonte, Edoardo Pesce, Nunzia Schiano, Adamo Dionisi
Paese: Italia, Francia
Anno: 2018
Nei film di Garrone lo spazio abitato è importante quanto i corpi e i volti che vi si muovono dentro. Dopo il degrado architettonico delle Vele di Scampia (Gomorra), qui siamo a Pinetamare, in provincia di Caserta, un villaggio abusivo fatiscente, fangoso e sabbioso come la vita di Marcello, che lavora, traffica e vive nel quartiere sorto a metà degli anni sessanta. Piccolo e innocuo, egli arrotonda l’attività di tolettatura per cani spacciando cocaina. Il delinquente cocainomane Simone è il bullo del quartiere, un gigante dal naso rotto che vessa le attività e soprattutto Marcello, che ogni tanto gli fa da palo in qualche piccola rapina.
Ispirandosi alla vicenda realmente accaduta del Canaro della Magliana, Garrone scrive (con Ugo Chiti e Massimo Gaudioso) e dirige questa storia di piccola criminalità e squallore che coinvolge per tensione morale e partecipazione emotiva. Marcello ama la piccola figlia e i cani, compresi i più aggressivi, si fa ben volere dagli altri commercianti del posto e non tradisce il temibile Simone nelle diverse occasioni che gli si presentano per liberarsi di lui. Conosce e rispetta le regole della strada, l’omertà e il sacrificio pur di non infamare, anche perché, per estensione, la “legge del silenzio” significa riserbo assoluto determinato da complicità e insieme dal timore di una vendetta.
Questo fatalismo di fondo impernia tutto il film di ineluttabilità e tragedia, così come dicono di Simone “prima o poi qualcuno l’ammazza”, il punto della questione è quando, è chi, e soprattutto se è possibile aspettare che qualcuno lo faccia al posto tuo. La pericolosità del picchiatore interpretato da Edoardo Pesce è direttamente proporzionale alla sua stazza, quel che si dice un “armadio”, un uomo talmente enorme, soprattutto rispetto al piccolo Marcello (interpretazione che è valsa a Marcello Fonte la Palma d’Oro a Cannes), da uscire dall’inquadratura e rientraci all’improvviso, con la sua potenza devastante da toro che carica. I corpi come razza e destino in un ambiente desolato e abbruttente, col quale è difficile venire a patti e che si dà per scontato e da scontare. Gli occhi di Simone non si vedono quasi mai, coperti come sono dal cipiglio e dal naso ingombrante, ma non è il suo sguardo a incutere timore, ma il modo in cui abita lo spazio, come sbuffa e respira, freme e sniffa.
Il dolce e triste aspetto di Marcello (come è stato detto simile per certi versi a Buster Keaton), è invece oltre che nel corpo dentro gli occhi grandi, che grondano timore, coraggio, paura e lealtà. Nella sua voce da cartone animato, nei suoi gesti così affettuosi nei confronti della figlia e degli amati cani. Uno scontro impossibile tra Davide e Golia, un piccolo uomo contro un gigante, così come il tassidermista nano de L’imbalsamatore e il giovane e bello da cui è attratto, il corpo è una prigione, una condizione e una soluzione.
La ferocia delle bestie rivela la violenza degli istinti – qui i cani sono per tutto il tempo spettatori delle umane vicende – la decadenza di Pinetamare come tutto è fragile, riconoscibile (pareti in cartongesso, chiodi arrugginiti a vista), come tutto appartiene al passato e ne fissa il fallimento, un’arena-circo all’aperto senza più spettatori umani, nessuno a cui mostrare la testa di Golia; nessuno che chieda scusa, quando occorre fermare la rabbia e la paura.
Le conclusioni della vicenda del Canaro della Magliana e quella del film sono diverse, anche se simili in maniera sapientemente allegorica – eppure Garrone compie un ulteriore, sottile scarto: con le debite proporzioni, in pochi avrebbero potuto fare ciò che fece Er Canaro con simile efferatezza; più empaticamente condivisibile è l’atteggiamento di Marcello, un Dogman che richiama, in maniera certo grottesca, un antieroe solitario e sofferente stanco di essere preso a calci dal cattivo di turno.

Enrico Carli
Enrico Carli vive a Senigallia (AN). Ha pubblicato un romanzo breve, "L’uomo in mare" (Ventura Edizioni). Suoi racconti sono apparsi nelle raccolte "3x9 - Tre scrittori per nove racconti" (Grinzing); "Taccuino di viaggio nelle terre del duca" (Weekend&Viaggi); "Pagine Nuove" (Cattedrale); "Tremaggio" (Ventura Edizioni); "Tutti i gusti" (Ventura Edizioni). A gennaio 2020 uscirà il suo romanzo "Tupilak o come si diventa sciamani". Scrive di cinema su Argonline.it