Un’eco-logica del vivere e del morire ⥀ Su Avventure e disavventure di una casa gialla di Francesco Deotto
L’idea di ordine sociale nell’ultima raccolta di poesie di Francesco Deotto, Avventure e disavventure di una casa gialla (L’arcolaio, 2023): recensione di Gerardo Iandoli
Nella società contemporanea si sta diffondendo un pensiero di tipo eco-logico. Si tratta di un modo di essere molto simile a ciò che accade ai nostri sensi mentre guidiamo una moto: smettiamo di pensare a partire solo ed esclusivamente dal nostro corpo, ma ci spostiamo pensando a noi stessi e alla moto, oltre che ai restanti elementi del traffico. Diventiamo un corpo esteso, dove le nervature dell’epidermide si ramificano fino alla carrozzeria, alle ruote. Pensare eco-logicamente significa agire considerando l’ambiente come parte del proprio sé, di cui bisogna tenere conto per iniziare qualsivoglia movimento.
Avventure e disavventure di una casa gialla di Francesco Deotto, pubblicato da L’arcolaio nel 2023, è un libro di poesia che si inscrive pienamente in questa eco-logica. Lo stesso autore lo ribadisce in una nota posta alla fine dell’opera: «[Il libro] è la prima parte di un progetto che cerca di riflettere sul nostro rapporto coi luoghi che attraversiamo e abitiamo, e che ci abitano e attraversano» (p. 45). Avventure, in estrema sintesi, parla di palazzi, come reso esplicito dalla poesia che apre il libro:
Cinque grandi blocchi
accompagnati da delle discrete
(quanto confuse) formazioni
di piccoli blocchi.Cinque grandi blocchi
disomogenei praticamente
sotto ogni punto di vista.
Per forma, età, disposizione,
stato di conservazione,
aspettative di sopravvivenza
(e di rilancio), ambizioni,
appetibilità, eccetera (p. 11).
Il libro è suddiviso in quattro parti e nella prima, Inventario sommario dei blocchi maggiori, si descrivono i blocchi di palazzi presentati nella poesia appena citata. Nelle espressioni «aspettative di sopravvivenza» e «ambizioni», sin dalla prima poesia è possibile osservare uno degli artifici retorici più caratterizzanti della raccolta: in descrizioni piuttosto piane di edifici compaiono dei termini che rievocano la dimensione umana. Queste presenze, però, non danno vita ad accostamenti azzardati: sono parole che fanno intravedere l’umano, ma senza far scomparire il muro, come certe macchie di muffa in cui sembra di scorgere il volto di qualcuno. Sono espressioni pareidoliche. Altri esempi: il blocco più a sud è colpito da «traumi» (p. 12), il blocco laterale si distingue per la «discrezione» (p. 13), il terzo grande blocco è «privo di segni distintivi» (p. 14).
In questa prima sezione compare il «blocco panottico» (p. 15): questa semplice traccia preannuncia il discorso portato avanti nella seconda sezione, Ipotesi B, del bombardamento, in cui si fa accenno ad azioni militari e a strutture ospedaliere. Questo insieme di elementi rinvia alle riflessioni di Michel Foucault in Sorvegliare e punire (d’altronde, a un certo punto del testo, si cita in maniera diretta la «modernità disciplinare», p. 34). In questo testo la struttura del panopticon, teorizzata da Jeremy Bentham, viene elevata a metafora dell’intera struttura sociale moderna. Si tratta di una prigione in cui le celle vengono poste intorno a una vedetta di guardia: la struttura viene costruita in maniera tale da permettere alla polizia di osservare, senza essere vista, la vita dei detenuti. In sostanza, il panopticon incarna il principio della disciplina: l’individuo deve comportarsi secondo certe regole come se fosse costantemente sotto il giudizio della legge, cioè del potere. Oltre alla prigione, Foucault menziona altri edifici disciplinari, tra questi la caserma e l’ospedale. Al di là delle strutture analizzate, da Sorvegliare e punire emerge l’idea che gli edifici sono anche rappresentazioni di una certa idea di ordine sociale.
In Avventure accade lo stesso e in questo articolo si cercherà di mostrare quale struttura sociale sia racchiusa all’interno dei palazzi descritti. Essa inizia a delinearsi nella seconda sezione, in cui si fa un elenco di bombardamenti di ospedali durante le guerre mondiali: «È anzi ben possibile che presto si riesca a provare, in modo ancora più inconfutabile, l’ipotesi d’una sorta di prassi – piuttosto consolidata – conformemente alla quale, prima o tardi, le strutture di soccorso e quelle di distruzione debbano per forza incontrarsi» (p. 21). Da qui, il testo ipotizza una nuova pratica, definita «autobombardamento» (p. 23), per la quale i centri di cura sono «deliberatamente bombardati dal loro proprio governo, dai propri azionisti e amministratori» (p. 23).
Apparentemente, sembra la descrizione di un piano assurdo. Eppure, è nella terza sezione che è possibile ravvisare la logica dell’autobombardamento. In Ipotesi P, delle palazzine, si descrivono degli edifici che accolgono due differenti tipologie di famiglie. La prima è la famiglia dei «soliti privilegiati», che vivono in «blocchi storici e monumentali,/ quelli che richiedono maggior cura/ e sollecitudine, tanto nell’ordinaria/ che nella straordinaria manutenzione» (p. 32). La seconda, invece, «è la famiglia dei blocchi/ d’ultima, d’ultimissima/ e di penultima generazione»: «Si tratta di blocchi che, in realtà,/ devono ancora essere costruiti, ma per i quali/ tutto (o quasi) sembra pronto» (p. 33).
Il confronto tra la seconda e la terza sezione permette al lettore di abbandonare certi luoghi comuni: nella contrapposizione tra aerei da guerra e ospedali è fin troppo facile attribuire un ruolo positivo ai secondi contro quello negativo dei primi. Da una parte c’è chi ferisce e uccide, dall’altra chi cura e salva. Eppure, nella terza sezione, l’atto del curare acquista un senso più sinistro: infatti, esso può avere come effetto collaterale quello di tenere in vita vecchie strutture di “privilegio”, sprecando energie e risorse che potrebbero servire per far nascere qualcosa di nuovo. A conferma di questa interpretazione, c’è un passaggio della seconda sezione:
[…] ricordiamo anche quella sorta di simpatia quasi innata con cui una percentuale non trascurabile di ex pazienti (specie tra i degenti di più lungo corso e specie nel caso di quanti sono stati oggetto d’una forma di ricovero forzato) sembra guardare alla nostra ipotesi [l’autobombardamento] (p. 27).
La cura non sempre ha un valore positivo: a volte, come insegna il già citato Foucault, può essere un modo per imporre una certa norma ai corpi, spesso contro la loro stessa volontà. Oppure, peggio ancora, un modo per prolungare l’agonia, come se la vita avesse un valore di per sé, senza dover tenere conto anche della sua qualità.
Nell’ultima sezione, Ipotesi H, del nuovo ospedale, si riflette sulle strategie da seguire per la costruzione di una nuova struttura di cura. Se ne elencano due: la variante della «razionalizzazione» e quella «propedeutica» (p. 40). La prima segue un approccio di tipo sistemico, in cui il nuovo ospedale viene pensato a partire dalle strutture già esistenti: tuttavia, il nuovo viene progettato con l’obiettivo di far chiudere le vecchie strutture, nella prospettiva di avere un unico ospedale più efficiente. La seconda strategia, al contrario, costruisce il nuovo già nella prospettiva dell’autobombardamento: si tratterebbe, quindi, di «organizzare, senza perdere tempo, un circolo, più o meno virtuoso, di demolizioni e ricostruzioni» (p. 41).
Nel finale della sezione, e quindi del libro, si affaccia una terza strategia:
[…] come se fosse possibile un mutamento radicale del mondo e della società, un mutamento tale da metterne in questione le forme di produzione e di consumo, la gestione dei beni comuni, delle istituzioni pubbliche e private, l’apertura a un ripensamento profondo del modo di rapportarsi tra umani, e col pianeta, tra viventi, con le generazioni future e passate, col mondo minerale, e pure con sé stessi… (p. 42).
Ora è possibile comprendere quale idea di ordine sociale è stata rappresentata in Avventure. Inizialmente, il rapporto tra bombardieri e ospedali appare come un contrasto netto, tra chi uccide e chi cura. Con l’ipotesi dell’autobombardamento, invece, si mostra come essi siano due facce della stessa medaglia: tutti appartengono a un sistema che ha bisogno di distruggersi e rigenerarsi, in un eterno consumo di se stesso che, però, in fin dei conti, non cambia nulla, lasciando che il mondo venga sempre “progettato” a partire dalle medesime categorie. Detto altrimenti: nell’immagine dei bombardieri e degli ospedali si può intravedere, a grandi linee, l’eterna lotta tra Bene e Male. L’ipotesi dell’autobombardamento, invece, mette in luce che non può esistere il Bene senza il Male e viceversa. Quindi, il problema non sta solo ed esclusivamente nel concetto di Male, ma nella struttura stessa che contrappone Bene e Male. Non si tratta, allora, di superare la violenza in favore della cura, ma di andare oltre questi concetti e la relazione/contrapposizione che si instaura tra di essi. Il finale invita il lettore a liberarsi di tutte le categorie, non solo di quelle negative: soltanto così si potrà davvero costruire un nuovo edificio, un nuovo ordine sociale.
Gerardo Iandoli
La mia biografia: Gerardo Iandoli (Avellino, 1990) si è laureato a Bologna e dottorato all'Università di Aix-Marseille, entrambe le volte in Italianistica. Si occupa di teoria letteraria e rappresentazioni della violenza nella letteratura, nel fumetto e nelle serialità televisiva italiana degli anni Duemila. Scrive per la rubrica UniversoPoesia di Strisciarossa. Ha pubblicato un libro di poesie, Arrevuoto (Oèdipus 2019).