Enrico Carli, “L’uomo in mare”, Ventura, 2015 (recensione di Lorenzo Franceschini)
Venerdì 26 giugno, all’ora del tramonto, presso il molo di Ponente di Senigallia, è stato presentato il racconto lungo L’uomo in mare, del narratore e drammaturgo Enrico Carli, uscito per i tipi di Ventura, novità editoriale marchigiana che in pochi mesi ha dato alle stampe racconti, versi e qualche saggio: volumi interessanti e di pregevole fattura.
I lettori che, come chi scrive queste righe, non amino particolarmente il giallo, il noir, o tutto ciò che abbia a che vedere con misteri connessi ad omicidi o a cose simili, non apprezzeranno certo l’incipit di questo libro: «Il corpo galleggia a faccia in giù». Il corpo, infatti, è quello di un uomo, un uomo, ancora una volta morto in circostanze ignote. Ancora una volta, per scrivere un libro ci vuole un mistero che interessi il lettore e lo tenga adeso alla pagina fino alla fine, come se la letteratura in sé non avesse più quella forza di attrarre, di affascinare il suo pubblico, accompagnandolo in quel rapito ed inesauribile dialogo tra testo e vita in cui consiste la frequentazione di testi letterari.
Di primo acchito sembrerebbe così. Ma ci sbagliamo. Il “detective” di questo libro, colui il quale cercherà di sciogliere il mistero addensato intorno al cadavere, si chiama Lorenzo, ha trentacinque anni, vive con la ex fidanzata e non ha alcun lavoro; è un lettore forte, e si accorge del copro dell’ucciso perché si trova casualmente a leggere vicino al luogo del ritrovamento, e qualcuno, distogliendolo dalle pagine, gli ha indicato dove guardare. I suoi primi sospetti si concentrano intorno a un’avvenente turista tedesca, sostanzialmente perché, giovanissima, gli ricorda la spregiudicata Lolita di Nabokov. Un protagonista come questo non è certo il più adatto per risolvere un caso di omicidio. Presto, infatti, si può notare che il plot giallistico, in questo libro, non è che un pretesto; le parti meno interessanti del racconto sono proprio quelle che riconducono al delitto ed al tentativo di risolvere il mistero ad esso legato. L’autore sembra concentrarsi piuttosto su ben altre questioni. In primo luogo, la passione per la giovane.
Leggendo questo racconto è possibile che ritornino in mente alcuni versi di un’antica poesia di Mario Luzi, Canto notturno per le ragazze fiorentine: «noi non amiamo che quella vanità che ci addolora,/ vi porta di ora in ora leggere/ come un lume ch non si può tenere/ ma solo morirne». La giovane turista tratteggiata da Carli, questa Jeunne-Fille eterea e insensibile, è un simbolo capace di accendere un immaginario vivido nel lettore. Lei è più vicina alla bestia che all’uomo, perché mossa da una forza necessaria e irresistibile, è una creatura capace di attrarre, ma che, come una ninfa, non può essere mai del tutto raggiunta.
Il secondo dei due eserghi che aprono il volume è decisamente chiarificatore circa le intenzioni dell’autore: con le parole di Milan Kundera, Carli si chiede se siano davvero «le grandi azioni drammatiche» quelle più utili a comprendere la natura umana, e se esse non siano invece «una barriera che dissimula la vita qual è veramente». Questo esergo spiega bene il valore narratologico che l’omicidio, questa grande azione drammatica, ha nell’economia del libro: pressoché nullo. Carli fa un giallo, sí, ma quasi per negarlo, per smontarlo dall’interno. Per lui il giallo è, come riportano le sue pagine, «un onesto intrattenimento», che «fornisce ciò che promette: l’indagine e il movente» (p. 12). In questa prospettiva, però, L’uomo in mare non sarebbe propriamente un giallo, perché non fornisce alcun movente e non racconta nessuna indagine.
Non vi è nessuna agnizione finale, e il lieve e liso intreccio del racconto cade, alla fine del libro, mostrandosi un sottile velo sotto il quale si scopre la vita. L’unico riconoscimento finale è quello della vera natura del libro stesso, del suo profondo e onesto riconoscersi come un’indagine leggera e spietata sulla irrevocabile insignificanza del nostro essere qui.
Dal punto di vista stilistico, la prosa di Carli è controllata, piana, si concede a momenti di lirismo solo di rado, ma proprio questa misura permette al testo di crescere d’intensità nei momenti opportuni. L’autore sa passare dalla prima alla terza persona in modo quasi impercettibile, accorciando ed allungando con sapienza la distanza tra il lettore e la vicenda narrata. Nelle pagine de L’uomo in mare è riconoscibile a tratti anche l’influenza del linguaggio cinematografico: Carli è un autore profondamente intriso di letteratura, ma capace di gestire differenti linguaggi, riconducendoli ad una unità stilistica forte e ben riconoscibile.
Lorenzo Franceschini