Fantasticare lo sport ⥀ Ludovico Rossini e l’invenzione del fantacalcio 2.0
Seguiamo da vicino le vicende relative al giovane youtuber Ludovico Rossini, di origini ternane, che sta rivoluzionando il modo di vivere – e di comunicare – del fantacalcio nel 2021
Prima di Castelli di rabbia, Oceano mare e compagnia – dunque ben prima che il sentore di mainstream e il carrozzone holdeniano facessero storcere il naso a non pochi tra classicisti, modernisti e contemporaneisti (cui costa tuttora fatica riconoscere quanto il flow di alcuni scrittori sia, né più né meno di certe botte di fortuna, dote congenita e difficilmente spiegabile) –, il trentenne Baricco consegnava alle stampe Il genio in fuga (per i tipi de Il melangolo nel 1988; per Einaudi tra 1996 e 2007). Il volumetto, che riuniva due saggi – èditi in origine tra ’86 e ’87 – dedicati ad opera e fortuna di Gioachino Rossini, costituì di fatto la prima pubblica attestazione del talento del Torinese che i più – per un vizio della contaminazione tra formati – faticano a scindere dal volto di Tim Roth.
Di un altro Rossini, di un altro trentenne e di un’altra fuga – quella dalla nicchia cui al momento è confinato (ma ancora per poco) – ci troviamo qui a rendere conto: in virtù, ancora, di una componente di brillantezza che non si può non riconoscere. Il giochino del nomen omen può essere anche più sfizioso: a elevare il fantacalcio, gioco dei giochi d’Italia, a mash-up tra specchio di una società e dimensione meta-ludica (per giunta in rete), non poteva che essere un Ludovico (volgari paretimologie, a meno che non si scelga di insistere sulla classica e scomodare la Pastorale o Per Elisa).
Ternano, youtuber e prima ancora video-maker (etichette, le ultime due, del tutto funzionali alla più piena contestualizzazione, ma alla disperata ricerca di sinonimi), Ludovico Rossini ha ridefinito i parametri del fantacalcio proprio nel momento in cui questo, ormai ventisettenne, iniziava a farsi grandicello. Ne ha ribadito il valore identitario, non senza metterne in risalto una certa dignità scientifica: gioco di calcolo, ragionamento e pianificazione; palestra psicologica; ludopatia ammessa in quanto sana. Ha fissato un terminus post quem, e indietro non si torna; ha formalizzato un invito a prendere atto – anche alla luce dei sei milioni di appassionati ad oggi censiti – della centralità che il gioco in questione riveste, allo stato attuale, in termini semi-sociologici.
Se il pallone – da solo – non basta più da tempo (e la questione della Superlega è in questo senso eloquente), la spasmodica necessità del 2.0 non poteva non condurre, anche qui, a un’evoluzione. Più tollerabile delle scommesse (e delle scommesse virtuali) e meno lesivo di videogame da console o di tipo manageriale, il fantacalcio è stato trasferito su un altro livello, tanto da indurre gli addetti ai lavori all’adozione di un inedito sguardo a tutto tondo. Non si vuole con questo scomodare il mondo di Galeano, Hornby, Brera e Soriano – istituzionalmente (e con buone ragioni) sulla bocca di tutti –, perché altro è il medium e differenti sono le pretese a monte; tuttavia, a lobotomizzazione ormai avvenuta (anche perché, sulla scia di quanto ha più volte sostenuto Luca Pisapia, non è mai esistito un sistema calcistico slegato dal capitale), è successo che il fanta-gioco d’Italia incarnasse uno spirito nazionale e non più solo nazional-popolare.
«Ludovico Rossini ha ridefinito i parametri del fantacalcio.
Ne ha ribadito il valore identitario, non senza metterne in risalto
una certa dignità scientifica»
Vero è che il freddo piano della constatazione ci impone di partire da due dati: (1) il monopolio del web come mezzo esclusivo di diffusione di materiali; (2) il definitivo predominio di contenuti video (ma ora, perlomeno, fatti bene). Il cuore della faccenda continua però a pulsare nella rappresentatività del gioco, tanto intergenerazionale e unificante da sortire effetti non troppo lontani dalla cultural memory di Jan Assmann e Pierre Nora. Alcuni esempi per capirsi: se il rigore alle stelle del sempre caro Baggio o la traversa di Di Biagio sono traumi collettivi, essendo assurti ad emblemi di un popolo di sconfitti e sorridenti, il fantacalcio ha operato su un piano non troppo dissimile in senso di memoria comunitaria e non per forza soltanto settoriale. L’errore dal dischetto di Muriel e la conseguente parata di Consigli, come pure la scarpata di Dzeko e i riflessi di Audero, sono portatori di significati che vanno al di là di Sassuolo-Atalanta, Sampdoria-Roma o dell’attaccamento a squadre del cuore che – come la mamma – non si possono cambiare. Il gioco di bonus e malus, di somma-punti e passaggi vincenti che fruttano un +1, ha dotato i propri seguaci di un’ottica alternativa in cui il fanta-tifo distorce il tifo tradizionale e in gran segreto lo supera, in cui il fanta-sport a tratti soppianta lo sport vero e proprio. Si interviene e si agisce sulla rielaborazione del ricordo, inteso come attribuzione di senso ad una realtà storica non esclusivamente individuale. Ancora: Alessio Scarpi salvò la vita a Grassadonia con la respirazione bocca-a-bocca, ma (soprattutto) prese un rarissimo 10 in pagella. Verosimile, a questo punto, che siamo alla frutta: ma c’è modo e modo di dirlo. Soprattutto di questo la community è debitrice a Rossini, che troppo spesso è ridotto – da fan e colleghi – a semplici e vuote lusinghe rivolte alla «qualità» (?) del suo canale. Poi, certo, di auto-promozione un po’ si tratta.
L’operazione non è pionieristica in senso assoluto. Come è ovvio, l’universo dei fantasy sports era già stato in qualche modo celebrato; ancora più ovvio che i primi a farlo, per forza di eventi, siano stati gli Stati Uniti, capostipiti e propagatori del fenomeno, nonché patria di alcuni tra i portali più longevi (per esempio hoops, ora sports.ws) e famosi: spiccano la piattaforma di ESPN e diversi vangeli della statistica. In America hanno dedicato al meta-ludico addirittura apposite serie TV, come la rivedibile – nel senso di non riuscitissima – The League ; anche allora, l’intento verteva sul dipingere il gioco quale sottofondo dell’esistenza, tra occasioni di aggregazione, spunti di immedesimazione e pretesti per far emergere rancore o integrità (e «non è solo fantacalcio» è lo slogan di Rossini).
Non che l’Italia, nel mutuare la logica per cui nulla vieta creare un fanta su qualunque cosa, abbia sfigurato: lo prova il recentissimo exploit di un fanta-Sanremo tutto marchigiano. Ma per il calcio, e per un certo livello di complessità del meta-pallone, bisognava aspettare la Gazza. E se, progressivamente, il regolamento si è evoluto attraverso varianti di ogni genere, la periodizzazione dei passaggi mediatici è presto fatta: I) l’arrivo del fantacalcio in televisione, con lo show RAI condotto dalla Clerici e, in parallelo, le edizioni estive di annuari preparatori; II) l’approdo in rete, con trasferimento in blocco sui forum; III) l’epopea di fantagazzetta, che del marchio fantacalcio ha comprato i diritti; IV) Youtube e Twitch.
Limitandosi al quarto punto, sia concessa la menzione (con inchino) di tre degni diffusori del verbo, encomiabili per passione ed onestà intellettuale. Carmelo Russo, a.k.a. CarmySpecial: è al fronte già da qualche anno, da poco ha superato una fase-Jürgen Klopp e si è guadagnato (vedremo come) l’appellativo di «fantapapà»; è studioso, giudizioso e proprio per questo patisce i momenti in cui i supporters non ricambiano i suoi sforzi. Solo Malinovoskyi ne fa vacillare la razionalità, per il resto è un professionista con valigetta. Lorenzo Cantarini, a.k.a il Canta dei Canta-consigli: pirata e menestrello della Marca bassa, parla velocissimo dal secondo divano più famoso del web. Non riesce a non citare Czyborra, si presta a pubbliche umiliazioni quando sbaglia i pronostici e una volta ha fatto la carbonara – con la compagna – come tributo agli iscritti al canale. Pare non abbia usato il pecorino, ma sa leggere nell’animo di Bremer del Torino. I cosiddetti «ragazzi di Fantaworld»: trio siciliano che si è distinto per impegno, costanza e buone maniere (uno dei tre giovani, ma non diremo quale, meriterebbe più spazio). Pregevole, in particolare, la serie di lezioni illustrative sul mantra. Per il resto, molta della comunicazione attorno al gioco si è concentrata su sveltine («chi schiero?»); il sottobosco, dalla sua, è fatto di poche parole e di molti file excel (sulla questione delle nicchie, anche se in riferimento a Dungeons & Dragons, si veda qua). Qui Rossini si è inserito e ha riscosso il genere, oltrepassando l’intento parodico (ovvero: «Che tipo di fantallenatore sei?») e impostando la questione su altre basi: più precisamente, sul parlarne per parlare di altro. La casistica di cui sopra ci accorre – di nuovo – in aiuto. In prima battuta, quel rigorino di Dzeko è ad un tempo momento di svolta per il fantallenatore che ha schierato Audero – e che ci avrà visto giusto, nell’illusoria fruizione dell’intuito come facoltà divinatoria o predittiva – e piccolo dramma personale di chi – per non saper resistere a un salto nel vuoto figlio, in ogni caso, dello stesso magnetico impulso tutto probabilistico – ha investito sul bosniaco senza ottenerne nulla in cambio. Non solo. Va messo in preventivo, sembra suggerire Rossini, che si finisca per rimuginare su cosa si stesse facendo nel momento in cui Dzeko ha sbagliato quel rigore (dal dove o con chi si fosse; dalle ultime parole profetiche ai pensieri più intimi), su quale periodo della vita fosse in atto (per esempio: «Eravamo appena andati a stare nella casa nuova») o sulle indicazioni che dall’evento si ricavano (per esempio: «Sono un amante del rischio, ma il rischio non sempre paga»; «sono uno che si fa prendere troppo: quella volta tenni il muso per tre giorni»). Può, in altre parole, prendere corpo una scansione del tempo in cui, alle grandi kermesse olimpiche o mondiali, si antepongano – tra sé e sé – le proprie vicende in ambito fantasportivo.
«Tuttavia, a lobotomizzazione ormai avvenuta,
è successo che il fanta-gioco d’Italia incarnasse
uno spirito nazionale e non più solo nazional-popolare»
L’immediato post-Ludovico è sfociato in una corsa ad accaparrarselo, senza contare gli scimmiottamenti più o meno espliciti. Il galateo del feat. ha portato alle collaborazioni presso gli stessi CarmySpecial e Fantaworld. Poi, in sequenza, al sodalizio romanista con Schickposting e all’investitura ufficiale ad opera di SOS-Fanta, abbecedario quotidiano del fantacalcista attento. Più che farne un mero discorso di visualizzazioni, occorrerà concentrarsi su cosa abbia reso il contributo di Rossini tanto appetibile a partire dall’autunno del 2020.
In primis, senza dubbio, una serie di stilemi. I tormentoni sono stati calibrati: c’è il monito per tutti («cinque sostituzioni, ricordo, cinque sostituzioni!»), fondamentale per un fanta in versione pandemica, ma meno sottile del mantra sul mantra «[al fantacalcio mantra,] quando non sai che fare, non fare un cazzo». Ci sono nessi esplicativi ricorrenti, dal «mi spiego peggio» (almeno in Alessandro Bergonzoni – Anghingò) all’uso dell’avverbio «nettamente» (in momenti di particolare pathos chiarificatore); ci sono le neo-formazioni (il «fantapapà» è creazione rossiniana, come l’impiego della perifrasi «le giovani marmotte del bonus» per indicare i sostenitori del canale). I topoi arricchiscono il racconto di felpa con cappuccio, tisana serale, poster, cyclette e Michele Rech sul comodino. Non mancano rimandi a BoJack, così come montaggi in cui si parla di precedenti versioni di sé come un Ted Mosby o un Marshall Eriksen dell’epoca d’oro. E se qualcosa si concede in autocompiacimento (facile esempio nell’etichetta «il più forte giocatore di fantacalcio con cui abbia mai…»; più interessanti, perché inaspettate, le memorie del ventenne ribelle che fumava di nascosto e al liceo era odiato dai professori, dunque oggi segue Diego Bianchi – non si dimentichi, a questo proposito, Kansas City 1927), ciò è ampiamente controbilanciato e concesso dall’uso che Rossini ha fatto del canale per nobilitare il gioco una volta e per sempre. Se non, si dirà, per politicizzarlo. Scelta politica è stata esprimersi sul rispetto delle norme di sicurezza anti-covid (non risulta che lo stesso abbiano fatto i colleghi, anche più esposti, che molto avrebbero potuto ricordando ai milioni di frequentatori di aste settembrine quanto esse fossero un rischio); altrettanto politica è stata la condivisione di un campionato con due ragazze (non basta dedicare un singolo live a due chiacchiere con la tale youtuber), con tanto di richiami analogici al mondo del poker, passata ormai l’era in cui tutti avevano la bocca piena di Dario Minieri e Negreanu, foldavano quando non uscivano a mangiare una pizza e tribettavano come must esistenziale. Qualcosa di simile, in fatto di impostazione creativa del fanta, anche nell’esortazione a rendere più fantasiosi i nomi di leghe e squadre: l’elefante nella stanza non è solo questione di tagliare le nuvole col naso.
In un colpo Ludovico ha polverizzato, concretizzandole, le velleità di chi in Santa Maradona si rivedeva in Libero De Rienzo, seguiva i format di Coppola sui ventenni, ma scritti da ex-giovani, e andava matto per il Pif de Il Testimone. Senza, però, concessioni a nostalgia e romanticismo stucchevole. Con lo scopo di raccontare nobiltà e debolezze di un popolo di fantallenatori, ha fatto loro presente quanto un gioco possa farsi veicolo di identità e favorire prese di coscienza ben più profonde di un dubbio sul 4-4-2 con modificatore: quanto, e con Rossini lo ripetiamo, non sia solo fantacalcio.

Alessandro Fabi
Sono nato a Urbino nel 1985, ho studiato Lettere Classiche a Bologna e ho conseguito il Dottorato a Pisa, trascorrendo alcuni periodi di ricerca tra Londra e Basilea. Attualmente insegno al liceo e convivo con Francesca. Vorrei poter votare Oliviero Diliberto, conoscere Sebastiano Timpanaro e rinascere Don Gately.