Il fantastico come diserzione ⥀ Su Ufo 78 di Wu Ming
Una riflessione su Ufo 78, l’ultimo romanzo dei Wu Ming, e sull’ormai più che ventennale esperienza di scrittura e pensiero del collettivo
Il testo che state leggendo non è una recensione di Ufo 78, l’ultimo romanzo di Wu Ming. Troverete numerose anticipazioni sulla trama, che potrebbero rovinarvi la lettura. E io questa responsabilità non me la voglio prendere. Chi vorrà continuare lo stesso è stato avvisato. Le mie sono riflessioni a partire da un romanzo, ma anche a partire da un’esperienza narrativa, mitologica e militante che ha più di venti anni. Sì, perché la galassia Wu Ming è un’esperienza di scrittura e di pensiero tra le più coerenti in Italia e ogni pubblicazione è un nuovo tassello di un discorso più vasto, che matura nel tempo. Ogni libro, ogni curatela, ogni performance, collaborazione, presentazione, è un punto di una rete neurale che accresce la propria capacità di osservare e pensare questa realtà che ci circonda.
Il tutto facendoci anche divertire.
Quanto leggerete non sarà tutto merito mio, perché questo scritto nasce da un’esperienza ben precisa: la presentazione di Ufo 78 fatta ad Atripalda (AV) il 24 febbraio 2023, presso L’Officina Lab, a cura del circolo Arci di Avellino. In quell’occasione, nelle vesti di presentatore, insieme a Daniela Sanseverino, ebbi modo di conversare con Wu Ming 1: le sue risposte, ora, guidano la mia scrittura, nella speranza di poter restituire agli assenti di quella serata almeno un minimo di quell’atmosfera, del piacere provato a parlare di Ufo 78.
Dal titolo si capisce che il romanzo è ambientato nel 1978. La trama si estende intorno a tre nuclei principali, legati a tre personaggi: lo scrittore Martin Zanka, l’antropologa Milena Cravero e la comunità di Thanur. L’atmosfera in cui i fatti avvengono è pregna del tema degli alieni: come si vedrà più avanti, l’ufo del titolo incarna una sorta di pulsione utopica, un desiderio di dislocazione, una fame di altrove, una voglia di altrimenti.
Il conflitto tra personaggi
I romanzi del collettivo, sin dai tempi di Q, sono ricchi di personaggi: eppure, fino a L’armata dei sonnambuli, è riconoscibile un preciso schema narrativo che regola lo scontro/incontro tra i vari attori della storia. Di fatto, essi possono essere posizionati su due fronti: da una parte c’è chi lotta per difendere gli interessi di una visione comunitarista della società, dall’altra, invece, c’è chi, in maniera egoistica, si batte per una visione elitista del mondo. Nel primo gruppo le azioni dei personaggi sono mosse da spinte che provengono dal basso, dai desideri e i bisogni della moltitudine: si tratta di affermare un sentire comune che non viene riconosciuto dal potere. Nel secondo, al contrario, i personaggi sono mossi dall’alto, assumendo il ruolo di «emissari del potere»1. È uno schema più complesso della divisione manichea tra buoni e cattivi: nessuno, nei romanzi dei Wu Ming, è esente da bassezze o meschinerie, e tuttavia appare chiara la differenza tra chi si muove nonostante la propria oscurità e chi, invece, è mosso proprio da essa.
Con la pubblicazione de L’invisibile ovunque, lo schema fin qui delineato matura e si trasforma in qualcosa di più complesso. Prima di tutto, i Wu Ming iniziano a dedicare molto meno spazio agli «emissari del potere»: non sono che figure secondarie, importanti ai fini della trama ma non così presenti tra le pagine, quasi come se dovessero sbrigarsi a recitare la loro parte. Credo che questa scelta abbia una sua precisa funzione: evitare ogni fascinazione del male. Ad esempio: ne L’armata dei sonnambuli compare quello che è sicuramente uno degli antagonisti più efficaci e affascinanti della produzione letteraria dei Wu Ming: il Cavaliere d’Yvers. Personaggio contraddittorio e dall’intelligenza crudele, è plausibile che qualche lettore (alzo la mano!), nonostante le sue nefandezze, possa restare come incantato dai suoi complotti e dalle sue elucubrazioni. In secondo luogo, la scelta di dedicare meno spazio agli emissari del potere significa traslare il conflitto dalla linea del fronte alle tende del campo base.
Questo appare chiaro da Proletkult in poi: prima di questo romanzo, i Wu Ming avevano ambientato i loro testi durante epoche di rivolte, se non proprio di rivoluzioni. Nel romanzo del 2018, invece, la rivoluzione, quella di ottobre, è finita ed è stata vinta: i personaggi vivono in un’epoca di relativa stabilità, dieci anni dopo il grande evento. Per questo, i Wu Ming possono dedicare più spazio a un altro tipo di conflitto: quello interno alle visioni progressiste, nelle quali possono proliferare spinte egocentrico-egoistiche capaci di andare a pervertire quella che, almeno inizialmente, sembra una buona causa. Bisogna ricordare, però, che questo tipo di riflessioni non sono mai mancate nei testi del collettivo, già dai tempi di Q: per questo, da mettere in evidenza non è l’apparire di questo “scontro interno”, ma lo spazio maggiore che i Wu Ming hanno deciso di dedicargli.
Il nuovo nemico sono i dispositivi
Il termine «dispositivo» l’ha usato Wu Ming 1, quella sera di febbraio. Con esso si intendono tutti i meccanismi di potere che inducono gli individui a costruire la propria soggettività in un certo modo2. Su questo argomento, la linea narrativa di Cravero è particolarmente interessante: la donna è una ricercatrice universitaria che sta conducendo uno studio sugli ufologi. Frequenta gli incontri del GRUCAT (Gruppo ricercatori ufologi e clipeologi associati Torino): si tratta di un’associazione di razionalisti che, in maniera analitica, studiano i casi di avvistamento di ufo per discernere i racconti frutto di mitomani o di errori percettivi da quelli che potrebbero avere un fondo di verità. Durante le sue ricerche, Milena incontra Jimmy Fruzzetti, il quale le mostra un’altra via per avvicinarsi agli ufo, quella dell’ufofilo:
Quelli [gli ufologi] hanno in testa il Logos. Sono logocentrici, vogliono sottomettere gli Ufo al Verbo, alla Ragione, al Senso […]. Vogliono per forza identificare il non-identificato […]. Ufofilia è «l’amicizia per gli oggetti non identificati» […]. Significa rifiutare i pregiudizi e la smania di riconoscere e classificare. Ti sarai accorta che gli ufologi si dividono in due grandi correnti: razionalisti e paranoici. I tuoi amici del Grucat sono razionalisti, tutti statistiche e metodo scientifico. Ogni volta che un tizio vede una luce, loro si precipitano, interrogano, incasellano, vagliano e scartano ipotesi. Solo quando l’avvistamento non trova una spiegazione razionale concedono che il fenomeno possa essere di origine extraterrestre […]. Poi ci sono i paranoici […]. Loro in apparenza fanno il contrario: quando c’è una luce in cielo concludono subito che è un’astronave o un razzo alieno. C’è chi è convinto che gli extraterrestri visitino il nostro pianeta da millenni, anzi, che si siano stabiliti qui e si nascondano in mezzo a noi, con intenzioni maligne o benigne a seconda delle versioni. In ogni caso il Potere […] lo sa benissimo, lo sa da molto tempo, ma ci lascia all’oscuro, gli Stati hanno informazioni riservatissime, che custodiscono in laboratori segretissimi […]. Gli ufologi sono nemici degli oggetti non identificati. Il loro scopo è identificarli e quindi privarli del diritto all’indeterminatezza. Noi ufofili, invece, quell’indeterminatezza la rispettiamo, non pretendiamo di stabilire di preciso cosa siano e da dove vengano, se dalla nostra mente o da un’altra galassia, se siano miraggi o pareidolie, archetipi o realtà (pp. 89-91).
Anche Milena assume un atteggiamento logocentrico: osserva le riunioni in disparte, ergendo una sorta di muro tra lei e gli ufologi, sottolineando, a volte anche con una compiaciuta ironia, la distanza e la differenza tra lei, l’accademica, e la “tribù” oggetto del suo studio. L’incontro con Jimmy, però, cambia radicalmente il suo approccio: non solo perché lo frequenta come amante, ma anche perché decide di partecipare a un incontro degli ufofili non come osservatrice esterna, ma come partecipante attiva, assumendo delle sostanze allucinogene per poter vivere anche lei le visioni del gruppo (p. 421). Qui vengono in mente le pagine di un autore caro ai Wu Ming, Furio Jesi3. Nel saggio Conoscibilità della festa, presente nel volume Il tempo della festa (Nottetempo, 2013), Jesi riflette sul rapporto tra l’antropologo e i suoi oggetti di studio: lo studioso, se partecipa a una festa di un popolo molto lontano, non potrà far altro che osservare gli elementi esteriori: i passi di danza, i costumi indossati, gli oggetti maneggiati, le parole dette. Tuttavia, egli non può effettivamente partecipare alla visione della festa: chi è dentro ai canti e ai balli vede il proprio mito come una realtà e concepisce il mondo attraverso di esso. L’evoluzione di Milena mette in evidenza tutto ciò: l’unico modo per conoscere davvero l’altro non è studiarlo in maniera distaccata, ma fare l’amore con lui. Non lo si può conoscere rimarcando le differenze, ma intessendo una relazione, anche stretta, nonostante queste differenze.
Milena era stata condizionata dal dispositivo del freddo razionalismo. Il suo esempio rende evidente un aspetto: i dispositivi non sono per forza dei congegni manipolatori sadici, ma un insieme di atteggiamenti che possono precluderci determinate esperienze. Non è necessario sempre romperli, ma a volte è utile disinnescarli o metterli in stand by: Milena non rinuncia al suo logocentrismo, continua a essere un’accademica, ma l’incontro con Jimmy le ha permesso di scoprire un altro modo di ragionare, che non è inferiore né superiore al logos. Semplicemente, apre ad altri tipi di visioni.
Aprire il campo visivo
Tuttavia, esistono dispositivi decisamente tossici. Su questo punto è importante una scena del romanzo: l’annullamento del convegno degli ufologi Ufo 78 a Roma. Lo scrittore Martin Zanka, che avrebbe dovuto coordinare l’evento, come tutti gli ospiti e i partecipanti, viene travolto dalla notizia del rapimento di Aldo Moro e dalle sue conseguenze: Roma viene «stretta in uno stato d’assedio» (p. 102). Lo stato di emergenza impone un determinato dispositivo discorsivo, che viene rappresentato attraverso le riflessioni dell’antropologa:
L’obbligo di schierarsi soffocava Milena: o con «noi» – lo Stato e la legge, la «brava gente», le persone democratiche e civili – o con «loro» – i terroristi, i criminali, i farneticanti assassini. Con buona pace di chiunque stesse nel mezzo, o meglio, di lato: assemblee autonome di lavoratori, collettivi di studenti, comitati di quartiere, circoli femministi, case occupate, comuni autogestite, radio libere…
Il ricatto delle Br e quello dello Stato, avrebbe titolato «Lotta Continua» il giorno dopo […]. Quella del sequestro Moro fu la prima di tante alternative infernali, per dirla con Isabelle Stengers e Philippe Pignarre. O appoggi lo status quo, chi ci governa e la visione del mondo che esprime, o sarà la rovina tua, dei tuoi cari, di tutti quanti (p. 114).
Anche Ufo 78, come gli altri romanzi dei Wu Ming, è ambientato in un periodo di crisi e di tumulti sociali: qui, però, al collettivo non interessa sceneggiare il conflitto, ma descrivere le modalità di rappresentazione dello stesso. In una dichiarazione di guerra, il linguaggio che si usa per poter definire gli schieramenti, i fronti e gli obiettivi, già impone una certa direzione allo svolgimento delle battaglie. Inoltre, è un modo per delimitare l’esistente: ci siamo solo noi e loro, il resto non è ontologicamente contemplato. E si resta schiacciati, prim’ancora di ogni battaglia, tra i colori delle casacche avversarie.
I Wu Ming mettono in evidenza un altro aspetto: i due fronti non sono espressione della volontà di una moltitudine. Si tratta, invece, dello scontro tra due élite: da una parte gli apparati dello Stato, dall’altra quella che si definisce un’avanguardia rivoluzionaria. In entrambi i casi, i fronti difendono gli interessi o le visioni di una comunità di pochi eletti, ignorando le esigenze del popolo, rappresentato dall’elenco di associazioni nominate nella citazione.
Se non si dà nome allo schieramento della moltitudine, allora già si inizia a disinnescare la sua forza esplosiva, capace di generare mondi alternativi da quelli dei due fronti.
È su questo punto che Ufo 78 si differenzia rispetto a quell’enorme mole di romanzi che, negli anni Duemila, in Italia, si è occupata di rappresentare gli anni Settanta. Nella maggior parte di questi testi, per certi versi, è riconoscibile il mito del Grande Vecchio4: esistono delle figure, o addirittura soltanto una, che guidano nell’oscurità, come dei burattinai, il corso degli eventi della Storia d’Italia. In tutte queste narrazioni, la Storia si muove solo grazie all’intervento di uomini straordinari, mentre il resto, la gente comune, non è nient’altro che materia da plasmare, carne da macello da incantare per i propri scopi. Ufo 78, al contrario, si inscrive nel solco tracciato da L’orda d’oro di Nanni Balestrini e Primo Moroni, un testo che ha cercato di mostrare cosa ci fosse oltre la guerra tra Stato e Terrorismo, nel decennio che va dal 1968 al 1977. Il testo, apparso alla fine degli anni Ottanta, si è posto l’obiettivo di raccontare quegli anni non attraverso l’immagine del piombo, bensì quella dell’oro: la moltitudine, composta da studenti e operai, ha promosso una rivoluzione culturale e civile che ha cambiato profondamente la società italiana, rendendo quell’epoca luminosa, preziosa, brillante. Altro che opacità e sangue. I Wu Ming nel loro romanzo gettano sullo sfondo la guerra tra Stato e BR, mettendo in primo piano la creatività della moltitudine. Ridefinendo i ruoli dei protagonisti e delle comparse nella storia italiana, il collettivo compie un atto politico: mentre le élite disseminavano morte, c’erano forze vitalistiche in atto che allargavano il campo visuale. Guardavano verso altri mondi, diversi da quelli propugnati dai soldati dei due fronti.
«Questo non è un romanzo storico»
Il tema degli alieni è una metafora del desiderio di un Altrove. C’è sempre un mondo più vasto al di là dei confini del campo di battaglia. In una guerra c’è sempre una terza via, oltre la vittoria e la sconfitta: fuggire. Anzi, disertare5. Nell’immagine della fuga c’è sempre qualcosa di pavido e meschino, se non proprio di egoistico: me ne vado, ora sono fatti vostri! Il disertore invece no, è qualcuno che ha avuto il coraggio di prendere una decisione: non ci sto alle vostre regole, scelgo di vivere in un altro modo!
C’è un desiderio di altrove. Altrove rispetto alle dicotomie, allo scontro tra Stato e Br, allo spettacolo degli schieramenti obbligatori, ai controlli soffocanti. Provo a ragionare come fate voi ufofili: se l’Ufo è il non identificato, è così sorprendente che tu ne veda uno proprio quando tutto preme per identificarti, per sapere chi sei e da che parte stai? […] Utopia, semplificando, vuol dire altrove. Un altrove assoluto, un luogo che non c’è. Ma cercare un luogo che non c’è, significa non accontentarsi dell’esistente. E non è la stessa spinta per cui leggiamo la fantascienza? (p. 407).
Durante la presentazione, Wu Ming 1, a un certo punto ha affermato in maniera piuttosto decisa: «Questo non è un romanzo storico». Non è una frase da poco, per chi appartiene a un collettivo di scrittori che ha fondato la sua intera produzione letteraria su racconti che hanno a che fare, in maniera stringente, con la storia. Cerchiamo di capire il senso di questa affermazione, allora.
In Utile per iscopo? (Guaraldi, 2014), Wu Ming 2 ha affermato che il collettivo, nella fase preparatoria dei romanzi, non si focalizza sulla ricostruzione degli eventi, ma «sui sentieri linguistici e segnici che percorriamo per arrivare a determinati eventi» (p. 23). L’intento è quello di mettere in crisi le credenze sorte intorno a certi eventi storici, non raccontando una verità ancora più vera, ma facendo osservare quegli eventi da un altro punto di vista. In New Italian Epic parlavano di «sguardo obliquo».
Le tracce del passato non sono evidenti di per sé: vanno interpretate. Ogni traccia è un nucleo che irradia una serie di possibili: l’insieme delle varie tracce permette di comprendere quali possibili siano più plausibili e quali meno. Il lavoro dello storico è un’opera di raffinazione, che piano piano conduce a una narrazione più probabile rispetto alle altre. Tuttavia, le scelte compiute dallo storico dipendono da ragioni ideologiche: i fatti vengono sempre proposti sotto la lente di una certa visione del mondo.
Come ha mostrato Edward Carr in Sei lezioni sulla storia, lo storico più onesto non è quello che cerca di raccontare i fatti prescindendo da ogni forma di ideologia, ma quello che è consapevole dei propri schemi mentali e pregiudizi, e li dichiara apertamente nell’introduzione alla propria opera. Il romanzo storico, invece, si muove tra tutti i possibili irradiati dai documenti, per poter attivare percorsi inediti: gli intenti possono essere ludici (creare un intreccio bislacco e per questo più curioso) o critici, per puntare il dito contro le fallacie delle interpretazioni canoniche sul passato. I Wu Ming hanno cercato di muoversi in entrambe le direzioni. Ma che sia una monografia o un romanzo storico, il punto di partenza è lo stesso: il documento. Ogni raggio di possibile, e ogni intreccio tra possibili è condizionato da quel nucleo pesante che è la traccia del passato. I possibili non sono infiniti.
La letteratura fantastica no, quella non ha limiti: lei può prescindere non solo dai documenti o dai dati fattuali, ma anche dalle leggi fisiche. Il fantastico può rappresentare il vero, il probabile, il possibile, ma anche l’impossibile.
Ma l’impossibile, visto da una prospettiva storica, può essere semplicemente qualcosa che, ad oggi, non è ancora possibile. Ma forse lo sarà in futuro, chissà.
La storia lo ha mostrato: l’impossibile viaggio sulla Luna, oggetto di molti racconti fantastici del passato, è diventato realtà per l’essere umano del Novecento. Da L’armata dei sonnambuli in poi, i Wu Ming hanno inserito nei loro romanzi storici strutture narrative e temi dei generi fantastici. L’intento sembra essere quello di ripristinare l’idea che l’esistente possa essere ancora cambiato e non solo subìto.
Il fantastico anticapitalista
Spartiacque nella produzione letteraria dei Wu Ming è L’armata dei sonnambuli, che può essere considerato l’ultimo dei loro romanzi storici e l’inizio dei loro nuovi romanzi. L’horror è il primo tra i generi fantastici a fondersi col romanzo storico. Perché questa scelta? Mi viene in mente il famoso opuscolo di Mark Fisher, pubblicato in Italia nel 2018 (Nero), ma uscito per la prima volta in inglese nel 2009: Realismo capitalista. L’idea – e la paura – che appare in questo agile testo è la seguente: il capitalismo pretende di inglobare ogni aspetto della realtà. Il capitalismo è la realtà. Oltre, non esiste niente. Tutto ciò che è possibile è definito dal capitalismo. L’orrore de L’armata serve a rappresentare proprio questo: esseri umani che vengono costretti a seguire un’unica strada, un’unica forma di possibile. Per i Wu Ming, l’orrore è la scarnificazione del fascio dei possibili. Da Proletkult in poi, invece, la storia abbraccia la fantascienza. Quest’ultima introduce l’impossibile o, come si è detto prima, il non ancora possibile. Per i Wu Ming, la fantascienza è il detonatore dei possibili.
È come se l’attenta esplorazione del reale, anche se da diverse angolazioni, abbia condotto i Wu Ming in un vicolo cieco: per certi versi, questo è stato detto, seppur parlando di altro, da Wu Ming 1, nel suo poderoso saggio La Q di Qomplotto (Alegre, 2021). In esso è possibile leggere una critica al debunking: smontare le narrazioni altrui, soprattutto quelle mistificanti, può essere un’operazione in cui, nell’ossessione di disinfettare e pulire, si distrugge tutto, lasciando soltanto un fastidioso odore di alcool. Spesso, le cosiddette bufale vengono alimentate da un desiderio di meraviglia, cioè da un sentimento umano che, nella società attuale, viene troppo spesso frustrato. O perché si è sempre costretti a un certo rigore razionalista, o perché, semplicemente, si è circondati da ansia, precariato e squallore. Da violenza sistemica, psicologica e fisica. Debunkare, allora, può significare gettare con l’acqua sporca delle falsità il bambino del senso di meraviglia.
Proseguire nella direzione del romanzo storico avrebbe significato, a parer mio, compiere lo stesso errore di Realismo capitalista di Fisher: ritrovarsi con in mano sempre le macerie del capitalismo. Smontare, disinnescare, prendere a martellate il discorso del potere è fondamentale, ma produce un gran numero di scorie e rifiuti. Sì, si è cercato di riciclarli, questi rifiuti, ma è davvero possibile uscire dagli spazi del capitale se si continuano a usare solo i suoi resti? Può il riciclo postmoderno davvero decontaminare i frammenti di un mondo tossico? Il fantastico è anticapitalista perché può prescindere dal dentro. Il fantastico può smetterla di riciclare, e portare nuovi frutti. Dire all’uomo del Medioevo che ora può mangiare anche il pomodoro.
L’ufo, l’oggetto non identificato, è il non contaminato dal dentro. L’ufologo cerca di portarlo di qua, mentre l’ufofilo tenta lui di andare di là.
Note
1 Traggo questa espressione da Wu Ming 1, Un viaggio che non promettiamo breve, Einaudi, 2016.
2 Il concetto di «dispositivo» prende vita nella filosofia di Michel Foucault. Tuttavia, esso viene riconosciuto, chiarito e sistematizzato da Gilles Deleuze («Qu’est-ce qu’un dispositif?», in Id., Deux régimes de fous, Minuit, 2003) e, successivamente, da Giorgio Agamben (Che cos’è un dispositivo?, Nottetempo, 2006).
3 Per gli amici e le amiche filologi: è in New Italian Epic che i Wu Ming mostrano quanto per loro sia stata importante la lettura di questo autore.
4 Questa espressione si è diffusa soprattutto grazie al testo di Gianni Barbacetto che si intitola, per l’appunto, Il grande vecchio.
5 Uso questo termine pensando a Impero di Michael Hardt e Toni Negri. Riassumendo fino all’estremo, in quel testo si affermava che il sistema capitalistico intendeva occupare l’intero spazio del possibile, eliminando qualsiasi idea del fuori. Disertare, allora, significa impegnarsi nell’allontanarsi da tale sistema, al fine di mostrare che, nonostante tutto, esiste sempre un fuori. Ma, disertare, lo uso anche pensando al Secondo racconto presente ne L’invisibile ovunque.
* Di Ufo 78, dal punto di vista della riflessione sulle teorie del complotto condotta nel libro, ha parlato su Argo anche Andrea Germani nell’articolo Paranoia, cospirazione, fede ⥀ Riflessioni sparse sul penultimo (e sull’ultimo) libro del collettivo Wu Ming, consultabile qui

Gerardo Iandoli
La mia biografia: Gerardo Iandoli (Avellino, 1990) si è laureato a Bologna e dottorato all'Università di Aix-Marseille, entrambe le volte in Italianistica. Si occupa di teoria letteraria e rappresentazioni della violenza nella letteratura, nel fumetto e nelle serialità televisiva italiana degli anni Duemila. Scrive per la rubrica UniversoPoesia di Strisciarossa. Ha pubblicato un libro di poesie, Arrevuoto (Oèdipus 2019).