Forme del conflitto ⥀ “Il mare a Pietralata” di Claudio Orlandi

Continua la rubrica Forme del conflitto, a cura di Lorenzo Mari, che questa volta si occupa di approfondire la raccolta poetica Il mare a Pietralata di Claudio Orlandi (Tic, 2021)

 

Cos’è cantabile e cosa no? Se non trovate la risposta nella poesia – diceva quello – chiedete ai cantautori. (Chiedetelo davvero, però: non date il Nobel per la Letteratura a Bob Dylan, per poi ritirarvi nella polemica tutta italiana su Piero Ciampi o Fabrizio De André…) Fra i cantautori, ad esempio, c’è stato il Manuale del cantautore di Flavio Giurato, e poi ci sono le canzoni buone come (quelle di) PANE. Uno dei protagonisti di quest’ultima esperienza è Claudio Orlandi: dopo la collaborazione con Fabio Orecchini per Dismissione (Luca Sossella, 2014) e gli omaggi musicali ad altri autori e autrici del secondo Novecento – qui, tra i tanti esempi, un’esecuzione live dedicata a un testo di Giuliano Mesa – nel 2021 Orlandi ha pubblicato Il mare a Pietralata per le edizioni Tic, rinnovando così il dibattito/querelle appena evocato, e approfondendolo (il libro, infatti, è diviso in due macrosezioni, una dedicata alle poesie di Orlandi, dal titolo “Il mare a Pietralata”, e l’altra ai testi del progetto PANE, dal titolo “Canzoni”).

Una risposta icastica e già definitiva agli interrogativi appena esposti si legge già a pagina 63, nel testo intitolato Ardentemente, con la proposta di una peculiare combinazione di musica e politica: «Nulla può cambiare il mondo quanto l’udito. / La capacità di selezionare la corretta particella di suono da ascoltare». Non si tratta, tuttavia, di una combinazione necessariamente armonica, né forzatamente easy listening, come indica, a suo modo, la citazione contenuta nel sottotitolo di Poesia visiva del mare e dell’orribile trapasso, ossia (Musica in lontananza, seconda traccia di A Rainbow in Curved Air di Terry Riley) (p. 26), con riferimento a uno dei capisaldi del minimalismo rock, uscito nel 1969. Al di là poi del piano strettamente intertestuale, La mia scrittura è un sasso, scrive ancora Orlandi, chiarendo all’interno dello stesso testo come la ricerca di compattezza o di asciuttezza (però mai di vera e propria petrosità, purtroppo) non significhi sacrificare il ritmo, che al limite si può fare lento, ancheggiante, quasi goffo, come quello della «chiatta dei navigli», delle «cisterne dei carghi africani» (p. 13), ma non si disperde mai.

L’inciampo della poesia-come-sasso, tra l’altro, era già presente nel testo che funge da introibo: «Non lasciar niente di scritto, nessun appunto, nessun foglio. / Ogni poesia contiene in sé la gemma dell’irripetibile, dell’incomunicabile» (p. 11), mostrando un certo grado di elaborazione teorica della naïveté, nel secondo verso, che fa da contraltare all’iconoclastia quasi piromane del primo. Due tensioni che, creando un costante assillo della forma («Quando mi chiesero di morire / io mi rifiutai. / Ero assillato dalla forma. // L’aria sgozza uno spillo», p. 23), si ripresentano di continuo nel libro, aprendo sia derive più sentimentalistiche («Quanto amore nel mio cuore / Quanto amore / per te», p. 30) che sfidano il monito, già di Saba, sulle “rime più difficili del mondo”, sia a un costante interesse per certe scritture colte del secondo Novecento e contemporanee (non a tutte, e del resto: «I giochi di parole non sempre formano una poesia», p. 61).

Per Rossella e Carlo si intitola, ad esempio, un testo (p. 51) dedicato in egual misura a Carlo Bordini e Rossella Or, per la quale Orlandi ha peraltro pubblicato un contributo appassionato – e poco più che solitario, purtroppo – su Le Parole e Le Cose, nel 2018.

In quel testo fa capolino a più riprese la qualità dell’amicizia fra i tre, ulteriormente segnalata con l’aggiunta del corsivo in questa citazione:

«Rossella voleva molto bene a Carlo e disse senza troppi giri di parole che la sua poesia era la più importante a Roma dopo quella di Pasolini e Dario Bellezza. Non fece altri nomi. Amavo la capacità che aveva Carlo di gestire questi giudizi, queste ovazioni riguardo la sua poesia. Non rimaneva indifferente, si percepiva che ne era soddisfatto, ma riusciva con piccoli movimenti del viso – in particolare gli occhi e gli angoli della bocca – a far tutti partecipi di questo risultato, come una pianta fiorita che per sua natura emana un profumo percepito da tutti, senza pesare su persona alcuna, ma rendendo tutti allegri e soddisfatti. Ad accompagnare la serata, Rossella aveva acceso una radio a volume basso, e poco distante un piccolo registratore anch’esso tenuto a volume basso. Quindi c’erano due musiche differenti, ma non era un effetto disturbante. Si compiacevano, e davano al tutto un senso di fluidità e di instabilità».

È comunque la vicinanza con Carlo Bordini a increspare di continuo, e in modo più evidente, Il mare a Pietralata, con l’emersione di lemmi, occorrenze e versi chiaramente bordiniani, ma sempre visceralmente autentici, e mai epigonici – sostanza di una conversazione che finisce per informare tutto il libro di Orlandi, come si può notare nella poesia che gli conferisce il titolo: «Pronto Claudio come stai? / Tutto bene Carlo, tu? / Bene grazie, sto bene, dove sei? / Sono al mare! / Al mare? / Sì al mare qui a Pietralata, hanno messo un mare qui vicino casa. / Ma veramente? / Sì un mare con tutto quello che c’è al mare. / Ma un mare con l’acqua?» (p. 66) e così di seguito, fino al mutuo «sì» finale.

Un sì mutuo che è anche un sì alla vita (in senso filosofico, e non banalmente morale), dalla qualità dirompente, in una poesia peraltro datata “marzo 2020”, ossia circa otto mesi prima dalla morte di Bordini. Dirompente anche, e soprattutto, in una poesia che risale a quei tempi – non solo per Bordini – terminali.

È qui – e non soltanto nelle posizioni che si possono assumere in senso più o meno libertario rispetto alla gestione politica dell’emergenza sanitaria, e nemmeno soltanto nella rappresentazione di una «Roma sociale, periferica e letteraria» ravvisata da Nino Iacovella con la citazione di Bordini (ma anche con quelle, altrettanto opportune, di Pasolini e di Victor Cavallo) – che risiede la qualità politica, poetica e musicale del mare a Pietralata, un mare che ne sfonda i più verosimili cieli e consente di dire: «A Pietralata leggeremo la fine del mondo e la sua rinascita» (p. 68).

 

 

La mia scrittura è un sasso

Terra di terra, peso su peso
Far fluire l’acqua
ma è liquame torbido e fitto
Caviglia su caviglia
Polso su polso

Anziani si muovono poggiandosi su stampelle rudimentali
Così le mie parole avanzano lentamente, aratri legnosi.
Lascerò le forme belle ai nuotatori sublimi dalle spalle larghe
i muscoli allungati.
A me la chiatta dei navigli, le cisterne dei carghi africani.

Il mio tempo è il tempo di ora
le mie sillabe le forme del giornalaio
pesanti misure senza grazia
il tronco di un bosco abruzzese.

 

 

Tu non sai come andrà a finire
eppure ti ho visto chiudere gli occhi
strizzare le sopracciglia
mangiarti le nocche delle mani
Ogni rumore hai addomesticato
ogni smorfia racchiude in sé i gemiti di molte persone
portami la candela
non far cadere la cera
raccogli il calore e serbalo per le notti più fredde
Tu non sai il tempo che ci vuole
eppure ti ho visto sdraiato a prendere il sole
sereno come gli ulivi di Puglia
attendere dolci primizie d’acqua
Sarebbe arrivato il mondo
con il cappello in mano
avrebbe parlato altre lingue

poi hai iniziato a delirare
Osip vuole il suo pezzo di pane
i compagni di stanza glielo hanno rubato
Povero Osip, morirà dissanguato
Ma io ti invoco
Io ti invoco!
E le tue parole per me
saranno il più dolce dei sacramenti.

14 marzo 2008

 

 

Per Rossella e Carlo

Rossella non dirmi che siamo andati via
indicami piuttosto una parola
un centimetro di voce che ci faccia sognare.
Carlo ti prego aiutami a scrivere qualcosa che abbia ancora un senso.
Trovare l’utile nell’inutile
a dipingere quadri di foglie d’alloro.
Mentre un giovane Beckett ci osservava serissimo, dal corridoio
con i suoi occhi fuori dal tempo.

 


Forme del conflitto sono già state rintracciate in:

Noi di Alessandro Broggi

Sogni e risvegli di Fabrizio Bajec

Il divieto di accorgersi di Elisa Donzelli (documento apparso su Le Parole e Le Cose)

Movimento e stasi di Massimo Palma

Anatema di Rosaria Lo Russo

 

**L’immagine di copertina è un’elaborazione grafica di Maurizio Polsinelli


Lorenzo Mari
Lorenzo Mari

Lorenzo Mari vive e lavora a Bologna. Ha pubblicato alcuni libri di poesia, tra i quali gli ultimi sono Querencia (Oèdipus, 2019) e la plaquette Tarsia/Coro (Zacinto, 2021). In prosa, ha pubblicato il racconto Via Mascarella alta e bassa (autoproduzioni Modo Infoshop, 2019) e ha ottenuto il XXXV Premio Teramo Giovani - Giacomo Debenedetti per il racconto Un percorso sicuro.
Traduce dallo spagnolo (Agustín García Calvo, Sonetti teologici, L'Arcolaio, 2019; César Vallejo, Trilce, Argolibri 2021) e dall'inglese (David Keenan, Memorial Device, Double Nickels, 2020, insieme a Matteo Camporesi).
Ha curato l'edizione italiana di ZURITA. Quattro poemi del poeta cileno Raúl Zurita (Valigie Rosse, 2020), nella traduzione di Alberto Masala.
Collabora con varie riviste online (Pulp Libri, Fata Morgana Web e Jacobin Italia).

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