Forme del conflitto ⥀ “Togliattə” di Mariano Correnti e “Liricologismo” di Marzia D’Amico
Due raccolte poetiche in dialogo tra loro: Togliattə di Mariano Correnti (Zacinto Edizioni, 2022) e Liricologismo (Zacinto Edizioni, 2023) di Marzia D’Amico
Ripartiamo, come già è successo, da uno spunto apparso in una delle puntate precedenti di Forme del conflitto. Nella lettura di Per far vivere altro cadiamo di Marco Carretta a firma di Matteo Cristiano, si cita la prefazione di Riccardo Frolloni al libro in questione, prefazione dove si legge che la poesia di Carretta è «una poesia civile, politica ma non ideologica». Cristiano concorda, poiché «manca la fase teorica, mancano i riferimenti all’organizzazione culturale, all’utopia, ai fini e ai mezzi. Ma non è ideologica che vuole essere questa poesia. Essa è perfettamente situata storicamente», e così via.
Strano destino, si potrebbe commentare, per una costellazione concettuale ampia come quella di ideologia – che si trova ad essere identificata, in queste letture, con teoria, organizzazione culturale, utopia, etc. – mentre le sarebbero estranee declinazioni più squisitamente politiche, o anche ciò che è perfettamente situato storicamente – introducendo, cioè, discrimini laddove non ci sono (c’è qualcosa di più ideologico del “perfetto situarsi storicamente”?), e sottintendendo che, forse, sarebbe meglio espungere l’ideologia dall’orizzonte del testo poetico, in quanto possibilità concreta di annichilimento per la parola poetica.
È una posizione nota – attiva almeno dagli anni Ottanta, se non da prima – e che nei decenni ha trovato un sostegno moltitudinario e assai disparato per qualità e registro, nonché per il grado di coinvolgimento nel dibattito teorico (comunque sempre implicato da ciò che si identifichi, anche provvisoriamente, come “ideologia”) e per la “potenza di fuoco” (metafora significativamente a disposizione anche di ciò che “ideologico” non è, o non vuol essere). D’altra parte, ci sono testi che continuano a porre la questione ideologica – talora rivendicandola, talora ricorrendo a un’ampia strumentazione (che arriva a lambire, ad esempio, i terreni dell’ironia e della post-ironia) – senza che questo arrivi a inficiarne la tenuta formale complessiva.
Sembra essere questo il caso di due recenti Manufatti poetici, per riprendere il nome della collana poetica di Zacinto Edizioni: Togliattə di Mariano Correnti (2022) e Liricologismo (2023) di Marzia D’Amico. Non siano i titoli a trarre in inganno – non è ideologico soltanto ciò che fa riferimento alla storia dei partiti o movimenti comunisti – anche se è poi, appunto, dal titolo del secondo libro e dal suo gioco con il -logismo che si vuole partire. Quest’ultimo, infatti, indica una serie di discorsività – ideologiche, ma non soltanto – con cui la scrittura “lirica” (anche qui, non soltanto!) di Marzia D’Amico si confronta. Nel primo testo, si parte ad esempio dall’eco-logismo, con un riferimento immediatamente esplicito (anche per l’uso di un lessico ormai trito e ritrito, nella comunicazione mediatica, ricollocato e rifunzionalizzato in ambito poetico da D’Amico):
«le acque di questa terra che / abbiamo consumato troppo» (p. 7). Nel quinto testo, il discorso diventa invece quello transfemminista, esplorato con sottigliezza nel suo confronto con un marxismo da molti decenni rigidamente patriarcale (in alcune sue istanze e occasioni, perlomeno): «noi abbiamo rimosso / la storia // ma poveri loro / che hanno perso / la cura» (p. 11).
Una citazione, quest’ultima, che chiama in causa direttamente il manufatto di Correnti, ma che per il momento si osserverà nella dimensione autobiografica, o comunque esistenziale, evocata dal “noi”, una dimensione che si presta a inevitabile contraltare per altre discorsività, ritenute – almeno per il senso comune – “più ideologiche”. In questo senso, nel testo di D’Amico si va da appunti più o meni diaristici, pur trattati sempre con ironia e aperti a un continuo slittamento di registro e di livello (p. 21: «Ho deciso di restare / a letto / a piangere / fino a mercoledì / un amore»), a dichiarazioni di poetica (p. 7: «Non ho scritto che / appunti sul divenire», oppure p. 18: «Di dove te ne vai / bistrattata piaga / succhia-sangue a tradimento / falena imprecante / parola poetante»), fino a bordate di pathos para-testamentale (p. 9: «alzare il calice e dire all’adunata / a sorpresa: addio, non dite parola»).
Del resto, il rimpallo tra espressione lirica (o “post-lirica”, o “anti-lirica” che sia) della soggettività e frammenti discorsivi variamente vissuti ed esperiti o, d’altra parte, percepiti o rappresentati come esogeni, se non alienati, è, un andirivieni, e anzi un fort/da, piuttosto comune. E come ogni fort/da – tornando, per quanto possibile, all’origine freudiana (Al di là del principio di piacere, 1920) – lascia intravvedere la sottostante pulsione di morte. Nella plaquette di D’Amico – che pare avere come primo riferimento la leggerezza della seconda Giulia Niccolai, da lei studiata a lungo, insieme alle altre autrici, Amelia Rosselli e Patrizia Vicinelli, che sono state invece oggetto della sua prima monografia critica – ciò si traduce quasi sinteticamente nell’approdo all’assenza, in un testo dove la presenza del soggetto, dunque anche soggetto lirico, è esposto a una radicale, avanguardistica trasformazione («Il soggetto // non cambia che senza / oggetto senza verbo / senza declinazione», p. 23). Tuttavia, quello che forse più conta è l’arguzia neologistica che permette di sottrarsi, infine, al mortifero fort/da: «Perché / tutto possa assensarsi» (p. 23, poi parzialmente contraddetto da una chiusa che vorrebbe essere più esplicita, ma che ricorre, d’altra parte, al dover-essere: «c’è bisogno d’assenza»).
In questo stesso testo, si legge: «Il vero e il bello / ci entrano» (p. 23), e questa promessa di entrar-ci, e cioè che verità e bellezza possano entrare nel discorso con il loro bagaglio immaginifico, è mantenuta in alcuni picchi testuali meno ancorati al fort/da e più visionari, come ad esempio:
«Ho taciuto / maledizioni e / svestito bambole / ricoperte di svastiche. // Ho scelto l’unico / uomo vuoto / del mondo» (p. 14), o ancora «Come il bambino / spazzato via dal mare / come la donna in fondo / al pozzo come il bambino / che chiamò // il Papa / come la donna / che chiamava il mare…» (p. 16).
Togliattə, come si diceva, sembra già dal titolo interloquire con almeno una delle discorsività presenti nel testo di D’Amico, ossia quella transfemminista, facendo collidere l’evocazione del Migliore con le proposte “inclusive” (per usare una semplificazione, peraltro tipicamente liberal, del dibattito) che animano il dibattito sulla lingua italiana degli ultimi anni, ad esempio a partire dai saggi di Vera Gheno. La collisione si verifica nella costruzione stessa del testo, basato sulla giustapposizione e sul dialogo costante delle citazioni dagli scritti di Togliatti – per completezza, e grazie anche all’ausilio dell’autore: Lezioni sul fascismo (Editori Riuniti, 1970), Corso sugli avversari. Le lezioni sul fascismo (Einaudi, 2010), La politica nel pensiero e nell’azione. Scritti e discorsi 1917-1964 (Bompiani, 2014), Il rinnovamento democratico del paese (Castelvecchi, 2014) e La guerra di posizione in Italia. Epistolario 1944-1964 (Einaudi, 2014) – e di testi poetici, spesso accostabili alla definizione di “pseudo-sonetto” (che si manifesta anche nell’uso di accorgimenti formali dal gusto aulicizzante, come la dieresi nel verso «non hanno maï levato la voce», p. 15).
In funzione di questa architettura formale, ci si aspetterebbe quindi una tensione dialettica di impatto immediato, nel testo di Correnti, tra le varie declinazioni della sinistra contemporanea – posto che ciò si voglia e si possa concretamente porre, senza poi ricadere nelle accezioni più deleterie, già ricordate, dell’ideologia – ma non è soltanto né principalmente questo quel che accade leggendo (e, soprattutto, rileggendo) Togliattə.
Nello specifico, i brani estratti dalle opere di Togliatti consentono riflessioni che includono, ma risultano anche molto più ampie dell’ormai nota, e forse stereotipata, contrapposizione tra marxismo culturale e marxismo economicista, coinvolgendo anche: il problema della cultura nazionale; il ruolo dei corpi intermedi; la questione dell’avanzamento capitalista come regresso delle libertà individuali e sindacali; la pianificazione economica; il rapporto tra masse e fascismo; l’antifascismo costituzionale e l’antifascismo operaio, etc. Come si può intuire da questo rapido elenco, si tratta di tematiche che vanno al di là dell’opera, nonché dell’operato, del Migliore, acquisendo una fisionomia più articolata e complessa nel corso del secondo Novecento, e arrivando fino a oggi; la relazione dialettica con i testi poetici, inoltre, garantisce ulteriori sviluppi, grazie a frequenti deviazioni e aperture, a carattere, in primo luogo, linguistico-formale.
È in poesia, infatti, e non nelle citazioni togliattiane, che compare «l’odierno massacro degli algerini / e della società nel suo complesso» (p. 11), ricordando così una tematica geopolitica all’ordine del giorno all’epoca di Togliatti, ma che per sineddoche acquisisce subito la fisionomia di quella condizione coloniale/postcoloniale/neocoloniale del mondo che conosciamo ancora oggi. A seguire, la pianificazione economica identificata nell’ormai remoto “piano settennale” togliattiano rivela, nei versi, la possibilità ironica di una partenogenesi: «alla fine è il piano che genera il piano» (p. 15).
È poi il “lavoro culturale – più che il conflitto intellettualizzato tra marxismo culturale e marxismo economicista – ad essere chiamato in causa, parzialmente sottraendosi alla sua invisibilità contemporanea (invisibilità spesso ideologica!): «si dice che il lavoro culturale / scompare nelle nebbie del passato / Il Garosci ha però rielaborato / la seconda questione sulla quale // una cultura socialista è tale…» (p. 21). E così via.
Le tensioni sono anche di segno diametralmente opposto: se le frequenti slogature sintattiche, i lapsus, le tautologie disseminate nei testi poetici eliminano ogni possibilità di zdanovismo («Sono di Zdanov alcuni discorsi / Ma l’avrà pensato e scritto davvero», p. 37). e consentono le già citate deviazioni e aperture da un discorso in prima battuta ideologico, vi si aggiungono poi ritorni di fiamma di quella che, all’epoca di Togliatti e poi per lungo tempo, è stata identificata come “ideologia” tout court, come in questo passaggio, ad esempio: «la politica estera sovietica / è di fornire una guida ideologica» (p. 37).
In questa dialettica, che è anche intreccio di tesi e antitesi nella loro formalizzazione ora come citazione ora come poesia, non mancano possibilità di sintesi, come quella che unisce l’eco-lalia della sperimentazione poetica con l’eco-nomia, nel segno dell’eco delle parole di Togliatti ma anche dell’oikos come spazio che può essere nuovamente abitato: «nel chiudersi nella torre d’avorio / dirigente delle attività eco- / nomiche per quanto riguarda i loro // nell’animo dei popoli la eco / le istituzioni sovietiche sono / sia stata la fatica della storia» (p. 9).
È appunto questo spazio, in prima battuta linguistico, che evita la sovrapposizione tra una chiara – per quanto articolata o, per altri versi, lacunosa, adesione ideologica – e ogni rischio di zdanovismo. Ed è sempre in questo spazio che abita l’ironia con la quale si chiude il libro, con alcuni versi che fingono una retrocessione ideologica verso il discorso patriarcale del comunismo novecentesco, nel suo ormai noto scontro con il marxismo culturale, per aprire una porticina verso uno studio di questa storia, e dei suoi testi, che porti a nuovi sviluppi: «Ma il popolo si trova, prima di tutto, in casa, / dove sono le donne che danno l’impronta / della vita familiare / Forse le donne non sapevano chi era Carlo Marx / Vi invito quindi a studiare» (p. 40).
Non c’è ideologia, insomma, in senso deteriore, ogni volta che si apre uno squarcio verso l’ideologia come visione del mondo – praticata, quando è possibile, e nei testi di D’Amico e di Correnti lo è – attraverso una via di fuga poetica.
⥀
(da M. D’Amico, Liricologismo)
Per ogni cosa causata
effettata è la stessa
dal centro, per ogni
soggetto un oggetto
in assenza di verbo.
La novità risiede
nella coazione a ripetere:
qualcosa di vero
tra il bello e il non
veramente poi così.
Il vero e il bello
ci entrano. Il soggetto
non cambia che senza
oggetto senza verbo
senza declinazione. Perché
tutto possa assensarsi
c’è bisogno d’assenza
⥀
Jesù ti dico chiaro
non abbiamo nulla da dirci
delle tue rabbie
atmosferiche
che impettiscono
i soliti
di sempre
Jesù colomba bianca
dei laghi salati
dei mari allagati
dei morti di freddo
del fango putrido
dell’aria che manca
come le parole
per pensare il tempo
di un soffio
di essere utili
⥀
(da M. Correnti, Togliattə)
#4
il mondo è un mondo di lupi feroci
parecchie volte i livelli attuali
fra le decisioni fondamentali
circa due volte nei prossimi dieci
non hanno maï levato la voce
i loro indirizzi generali
corso degli avvenimenti reali
non è altro che opera di pace
passavamo per Vienna e abbiamo
letto
di nuovi episodi messi in luce
ripetizione di cose già dette
la chiarezza in queste cose non nuoce
il piano genera il piano cioè pone
che subisca questa trasformazione
⥀
#7
si dice che il lavoro culturale
scompare nelle nebbie del passato
Il Garosci ha però rielaborato
la seconda questione sulla quale
una cultura socialista è tale:
se il diavolo sia un esser condannato
è un angelo che si è ribellato
soltanto ancora in misura parziale
Il dibattito aperto dal Papini
l’abolizione di qualsiasi imposta
diritto di atteggiarvi a paladini
liberi e popoli ancora soggetti
quando i popoli sovietici dovettero
muoversi nella direzione opposta
Forme del conflitto sono già state rintracciate in:
Sogni e risvegli di Fabrizio Bajec
Il divieto di accorgersi di Elisa Donzelli (documento apparso su Le Parole e Le Cose)
Movimento e stasi di Massimo Palma
Il mare a Pietralata di Claudio Orlandi
Nella spirale (Stagioni di una catastrofe) di Gianluca D’Andrea
Pietra da taglio di Anna Franceschini e Lacrime di Babirussa di Riccardo Innocenti
Waves di Vincenzo Bagnoli e Eleanor di Alessandra Cava
Per far vivere altro cadiamo di Marco Carretta (scritto di Matteo Cristiano)

Lorenzo Mari
Lorenzo Mari vive e lavora a Bologna. Ha pubblicato alcuni libri di poesia, tra i quali gli ultimi sono Querencia (Oèdipus, 2019) e la plaquette Tarsia/Coro (Zacinto, 2021). In prosa, ha pubblicato il racconto Via Mascarella alta e bassa (autoproduzioni Modo Infoshop, 2019) e ha ottenuto il XXXV Premio Teramo Giovani - Giacomo Debenedetti per il racconto Un percorso sicuro.
Traduce dallo spagnolo (Agustín García Calvo, Sonetti teologici, L'Arcolaio, 2019; César Vallejo, Trilce, Argolibri 2021) e dall'inglese (David Keenan, Memorial Device, Double Nickels, 2020, insieme a Matteo Camporesi).
Ha curato l'edizione italiana di ZURITA. Quattro poemi del poeta cileno Raúl Zurita (Valigie Rosse, 2020), nella traduzione di Alberto Masala.
Collabora con varie riviste online (Pulp Libri, Fata Morgana Web e Jacobin Italia).