Franca Viola, la svergognata di Alcamo ⥀ Francisco Soriano
Argo celebra il giorno delle donne, ricordando la storia di Franca Viola, raccontata da Francisco Soriano.
Molte sono le femine c’hanno dura la testa,
e l’omo con parabole l’adimina e amonesta
Ci sono molte femmine che hanno la testa dura,
e l’uomo con le parole le domina e le persuade
Cielo D’Alcamo, Rosa fresca aulentissima
La storia di Franca Viola è esemplare nel suo orribile e deprecabile evolversi. Era il dicembre del 1965, da oggi sono passati solo 52 anni. Franca è una splendida diciassettenne di Alcamo, figlia di umili contadini di quella terra riarsa, faticosa da coltivare, nonostante il sole e il mare siano tra i più belli della Terra. La sua bellezza è indicibile, delicata e mediterranea.
Sono anni duri, di trasformazione sociale ed economica intensissimi, tempi comunque di progresso e speranza, non altrettanto per i diritti di eguaglianza di genere e umani. Lo sviluppo agrario in Sicilia sembra quasi volersi lasciare finalmente alle spalle lo sfruttamento feudale: nasce una piccola schiera di proprietari terrieri e possidenti che mutano in qualche modo l’aspetto di quelle terre e la vita della popolazione stessa.
Niente di nuovo sotto il sole: vigono le regole ferree della mafia e della violenza, della prepotenza e del maschilismo più efferato, la dimensione mafiosa che voleva presentarsi nella sua parallela opera tutrice dell’ordine e, addirittura, del buon costume, affrancandosi dalla sua vera natura delinquenziale e perversa.
Già a quindici anni, viene concesso il permesso a Franca di frequentare Filippo Melodia, nipote e delfino dell’omonima famiglia di mafiosi locali, benestante, arrogante, violento, un delinquente che presto viene incriminato per furto e appartenenza a banda mafiosa. Franca, prima, e il padre, poi, chiedono di rompere il fidanzamento, non accettano le sue frequentazioni e la vocazione di Filippo Melodia a delinquere. Pare che Melodia fosse andato in Germania, per un periodo limitato forse per sfuggire alle accuse ma, al suo rientro, viene prontamente arrestato e sconta una brevissima reclusione prima di uscire dal carcere. È da questo momento che per Franca Viola comincia un vero e proprio calvario che stravolge la sua vita grazie al coraggio e alla caparbietà di donna libera.
Cominciano gli avvertimenti e le minacce mafiose. Melodia rivuole la giovane, perché è “sua” e perché, in qualche modo, sa di poterla fare franca soprattutto perché in quegli anni, in Italia, la violenza su una donna “non è un reato sempre perseguibile”. Prima viene bruciata la casa di campagna della famiglia Viola, poi tagliato il vigneto, disperso il gregge delle pecore di proprietà e il padre di Franca, Bernardo Viola, minacciato con una pistola in un agguato: «chista è chidda che scaccerà la testa a vossia». Alla inflessibilità di Franca e di papà Bernardo, Melodia organizza una “spedizione” contro la famiglia. Si presentano il 26 dicembre del 1965 a casa Viola: la madre viene malmenata e Franca rapita insieme al fratellino Mariano di soli 8 anni che, coraggiosamente, si aggrappa ai vestiti della sorella, senza che nessuno riesca a staccarlo, tanto che viene trascinato con la forza dalla banda di delinquenti. Dopo qualche ora viene rilasciato mentre la povera Franca è tenuta prigioniera in una località segreta nelle campagne d’Alcamo.
L’orrore non finisce qui. Siamo solo agli inizi di una storia oscura. Prima che i carabinieri ponessero fine a quel sequestro grazie a un espediente concordato con i genitori di Franca, che finsero la riappacificazione riparatrice alla “fuitina” con un incontro con il Melodia, la giovane venne stuprata più volte al fine di gettarla finalmente, nello status di svergognata o disonorata, così insieme a lei tutta la famiglia Viola.
La pratica violenta dello stupro veniva perpetrata al fine di evitare e aggirare in seguito il delitto grazie a una norma penale che aveva dell’inverosimile e che consentiva una sanatoria attraverso il matrimonio: «Per i delitti preveduti dal capo primo e dall’articolo 530, il matrimonio, che l’autore del reato contragga con la persona offesa, estingue il reato, anche riguardo a coloro che sono concorsi nel reato medesimo; e, se vi è stata condanna, ne cessano l’esecuzione e gli effetti penali». È l’articolo 455 del codice penale di allora. La “svergognata” poteva, contraendo matrimonio con il suo carnefice, estinguere il reato, ampliando questa possibilità anche agli eventuali complici e dando legittimità legale allo stupro con il cosiddetto “matrimonio riparatore”. Un senso di vergogna si abbatte inesorabilmente su qualsiasi essere umano legga ancora oggi queste odiose pagine di storia del nostro Paese.
Dunque, una legge dello Stato avrebbe permesso di “riparare” questo odioso delitto, la violenza sessuale, che un reato è gravissimo, alla stregua di un omicidio o una qualsiasi violenza privata, se la vittima avesse accettato di lavare l’infamia subita proprio sposando l’aguzzino. Non si riesce a immaginare e accettare quante persone abbiano purtroppo dovuto subire silenti questa condizione che di giuridico non ha nulla e di etico solo la “vergogna dell’inumano”. L’articolo 544 del Codice Penale sanciva che la violenza sessuale fosse soltanto un reato contro la morale e non contro la persona. Melodia e i dodici che avevano concorso al sequestro, alla violenza, alle lesioni e allo stupro della donna avrebbero potuto beneficiare di questa legge.
Franca Viola deve essere ricordata in ogni scuola o contesto istituzionale di questo Paese perché grazie al suo coraggio e alla sua statura morale ha consentito l’abrogazione di una legge del codice penale, odiosa e antistorica, prodotto di una società alimentata da verticismo e intolleranza soprattutto contro i diversi, le donne e i più deboli. Una donna unica, perché tante prima di lei subirono questo efferato crimine passibile di “riparazione”, ma solo Franca Viola ebbe il coraggio di denunciare e mandare al processo i suoi aguzzini ottenendo giustizia e fronteggiando minacce e soprusi dalla mafia locale insieme all’uomo che la sposò e da cui ha avuto tre figli, vivendo senza nascondersi da sempre, fino ad oggi, nella cittadina di Alcamo.
Franca è la “svergognata” che ha gettato nella vergogna Melodia, processato, condannato e successivamente ucciso per un regolamento di conti tra mafiosi vicino Modena, a colpi di lupara, nel 1978. Combattere contro le intimidazioni in una terra dove si uccide davvero è cosa da donne e uomini di altissimo spessore che molto spesso hanno pagato a caro prezzo con la propria vita il loro coraggio e la loro fastidiosa onestà.
Franca Viola fu così forte che fronteggiò non solo i gruppi criminali ma sfidò un’intera cultura, annientò l’omertà, vinse contro uno Stato usurpatore, si stagliò come figura etica contro ogni modello immorale da cui scaturiva solo infelicità, certo derivata dall’oppressione subita. Ancora una volta assistiamo al silenzio e cediamo a un male che sembra incredibilmente colpire la moltitudine delle persone di questa Italia e che risiede, purtroppo, nella mancanza di memoria e nell’occultamento di conquiste tanto elevate quanto dolorose.
In quei mesi del 1965, il caso diventò di dominio nazionale sviluppando, finalmente, una dialettica molto accesa sulla questione del matrimonio riparatore e del codice penale italiano. Inoltre, vi fu un dibattito sui costumi italiani, sulle questioni sociali, sulla mafia e sui diritti di eguaglianza di genere, sul coraggio di una donna coraggiosa e sul divario tra Nord e Sud in questioni che riguardavano non solo l’economia ma la qualità e il vissuto quotidiano. Una vera e propria polemica che sfociò, come doveva essere, anche in interrogazioni parlamentari e battaglie femministe sull’uguaglianza di genere.
Il processo si evolse come era, forse, prevedibile o meglio, augurabile. Il mafioso Melodia cercò di fabbricare castelli di fango screditando la povera Franca, a suo dire “ragazza di facili costumi”, tanto che per ottenerla dovette sequestrarla, malmenarla e stuprarla più volte. Addirittura parlò incredibilmente di una “consenziente fuga d’amore”. I giornali nazionali si interessarono particolarmente a questo processo, lo stesso Indro Montanelli partecipò alle udienze così scrivendo sul Corriere: «La posta in gioco è grossa e va al di là del caso e dei protagonisti.
Franca Viola e suo padre non hanno detto no soltanto a Filippo Melodia. Hanno detto no a un sistema di rapporti basato sulla sopraffazione del maschio sulla femmina … hanno detto no a tutti tabu e feticci che fanno da pilastro a queste arcaiche società». Era l’Italia che aveva in eredità il “Codice Rocco” nella sua previsione di violenza sessuale come delitto contro la moralità pubblica e non contro la persona. In definitiva, l’articolo 544 estingueva il reato di chi lo aveva commesso contraendo il matrimonio e, cosa ancora più grave, anche riguardo a coloro che avevano concorso alla commissione del delitto.
Una vera e propria sanatoria nei confronti di tutti i carnefici, addirittura sottolineando che nel caso vi fosse stata una condanna ne «cessano l’esecuzione e gli effetti penali». Desta stupore, vergogna e rabbia questa preoccupazione di tutelare la stabilità del modello sociale dominato dal maschio anche se in condizioni chiaramente delittuose. Lo Stato dunque, estingueva il delitto, riparava l’onore della giovane frutto di violenza e prevaricazione e certificava che il corpo di una donna non era di sua proprietà non disponendo, inoltre, di alcune libertà sessuali. Ristabilita la generica “moralità pubblica” lavando i sepolcri già da troppi secoli imbiancati, lo Stato istituzionalizzava violenza e metodo mafioso nei confronti delle donne. Il Pubblico Ministero, al rifiuto di contrarre matrimonio da parte di Franca Viola, chiese verosimilmente 22 anni di reclusione per Filippo Melodia. Tra i capi di imputazione, gravissimi, c’era il ratto a scopo di libidine, violenza privata, stupro e minacce: in tutto erano ben diaciassette reati. Purtroppo, Filippo Melodia ebbe solo 11 anni di reclusione con lo sconto di pena, uscendo dal carcere nel 1976 ed essere di lì a poco assassinato in un agguato in Emilia Romagna.
Lo stupore non finisce soprattutto quando, dalla cronaca del processo si leggono le motivazioni e i ragionamenti della difesa per la giustificazione dello stupro. Secondo gli avvocati difensori dell’aguzzino Melodia, il procedimento penale era nient’altro che “un processo d’amore”. Addirittura, si cercano nelle differenze sociali e culturali tra l’Italia del Nord e quella del Sud una nota giustificatrice: «Si occupino degli amici del nord, degli amori di Sofia Loren e non vengano qui a fare i Don Chisciotte. La Sicilia si difende da sé con i suoi monumenti, con i suoi eroi, noi siamo gente arsa dalla salsedine».
Comincia in questo modo la retorica del sole, della cultura intensa e profonda della Sicilia, ma non certo quella dei mafiosi, della gente che “è arsa dalla salsedine”. Si cercano schemi, stilemi di vita, costumi, regole consolidate e mai scritte, tali da poter giustificare l’intolleranza verso le opinioni dei giornalisti, della cultura dell’eguaglianza, delle battaglie di genere e di altro ancora da cui deve essere immune la Sicilia e il Sud dell’Italia. L’originale invito da parte della difesa del Melodia a occuparsi della cronaca rosa del mondo del cinema come diversivo all’attenzione su temi della sfera intima che implichino invece un cambiamento di rotta culturale profondo, è lampante in questo tentativo di distogliere dal tema vero della questione ammettendo, infine, in modo aberrante e mafioso che sembra inutile fare i don Chisciotte nella battaglia per Franca Viola in Sicilia.
La difesa nega a Franca Viola il ruolo che merita e che si è guadagnato rischiando la propria vita. Per loro, la legge è paradossalmente una garanzia e una scappatoia per una non meglio identificata onorabilità: «l’articolo 544 è una disposizione che favorisce la donna, le dà modo di rimediare al danno subito», si sottolinea sul Corriere. «Abolite pure l’articolo 544, non avrete migliorato la situazione. Anzi il ratto non avviene dove i giovani sono liberi di frequentarsi, sono liberi di decidere la propria sorte. Qui esiste il dispotismo tradizionale dei genitori, esiste la costrizione sociale per una volta che un ragazzo e una ragazza siano visti insieme subito la gente li dichiara fidanzati, la ragazza è compromessa, il matrimonio pare inevitabile Tutti devono muoversi con cautela. Il ratto rende possibile a una coppia di sottrarsi al dispotismo dei familiari. È giusto l’articolo 544 che prevede si estingua il reato. Altrimenti si avrebbe doppio danno: lui in galera e lei senza la possibilità di riscattarsi. Prima di modificare l’articolo 544 bisogna modificare i costumi».
Non solo Indro Montanelli, ma anche Silvano Villani così riporta sulle pagine del Corriere raccontando l’arringa difensiva di uno degli avvocati difensori: «Filippo avrà anche rapito Franca, però è quasi sicuro che Franca ci stava. Anzi è probabile che abbia avuto rapporti ben prima. Se Franca ha poi buttato il candido velo da sposa, se ha rifiutato di sposarlo… peggio per lei: che colpa ha Filippo?» Ancora una volta, non si può rimanere che colpiti da doloroso stupore: la differenza antropologica, sociale e culturale dell’Italia del Sud, sarebbe questione spendibile per giustificare violenza e sopraffazione mafiosa, attribuendo a queste condizioni criminose la legittimità di un diritto quasi innato e naturale in queste zone a perpetrarle.
È verosimile immaginare lo scandalo che queste teorie abbiano suscitato nell’Italia civile di quegli anni. Melodia viene condannato solo a 11 anni di reclusione dopo 7 ore di camera di consiglio, come afferma il giornalista Villani, perché forse sono state prese in considerazione «le usanze del luogo in cui i fatti avvennero», sottolineando le differenze culturali tra il nord e il sud. Fu lo stesso Pubblico Ministero che disse:«per la donna italiana, spesso il matrimonio è l’unica sistemazione possibile», anche se «non la sola». Fortunatamente, il processo non produsse solo uno spaccato di un’Italia medievale e arcaica, quasi rurale quanto arretrata, ma la possibilità di affrancarsi grazie a gesti altrettanto esemplari quanto pieni di coraggio.
La condanna di Melodia non fu esemplare, ma abbastanza blanda considerando anche gli sconti di pena. Certo è che, probabilmente, da allora altre ragazze ebbero la forza di dissociarsi da uno schema, rifiutare la “riparazione” e affrontare le questioni della libertà sessuale e della autodeterminazione delle proprie scelte nella vita come una condizione possibile anche in ambienti disagiati in cui la struttura portante in termini valoriali è la violenza. Infatti, ancora il giornalista Villani precisava con forza dalle colonne del quotidiano: «di esemplare resta il comportamento della ragazza non il verdetto», aggiungendo che «ancora bisognerà fare affidamento su altre fanciulle coraggiose come Franca Viola che sulla severità della legge, per sperare che certi comportamenti scompaiano».
La svergognata d’Alcamo si sposò tre anni dopo questo drammatico e, fortunatamente, felice epilogo: il 4 dicembre del 1968, con un uomo di nome Giuseppe Ruisi che non fece caso alle minacce di Melodia e degli affiliati della mafia a lui riconducibili, tantomeno alla presunta vergogna dello stupro subito dalla donna. «Non ho mai avuto paura, non ho mai camminato voltandomi indietro a guardarmi le spalle. È una grazia vera, perché se non hai paura di morire muori una volta sola», ci tenne a dire Franca. Fu il Presidente della Repubblica Saragat e il Primo Ministro Leone che allora fecero sentire la presenza delle istituzioni, inviando i loro auguri. Addirittura, la coppia fu ricevuta in Vaticano da Paolo VI, in udienza privata. Il Ministro dei Trasporti, Scalfaro regalò un biglietto ferroviario valido per tutta l’Italia per un mese.
Le vendette non arrivarono e le famiglie dei condannati, questa volta, si rassegnarono loro alla vergogna di quanto commesso. Non tutti però furono dalla parte di Franca: pare che l’arciprete di Alcamo avesse previsto che Franca rimanesse “zitella”, dopo tutto “quel baccano”. Interessanti, anche i servizi giornalistici della RAI dove vengono interpellati i cittadini sul caso di Franca Viola che lasciavano trasparire lo spaccato sociale della Sicilia di quegli anni.
Una storia “esemplare” che fu la traccia per un film nel 1970, in cui la protagonista fu una quattordicenne Ornella Muti per la regia di Damiano Damiani, “La Moglie più Bella”. Nelle varie interviste rilasciate da Franca Viola in questi ultimi anni, lei afferma che spesso vede i complici del suo aguzzino, proprio ad Alcamo dove ha sempre vissuto se non per una parentesi iniziale dopo il processo in cui fu costretta ad allontanarsi non lontano, per qualche mese nella cittadina di Monreale: «Li incontro ogni tanto. Preferisco evitarli, ma se non riesco li saluto e loro mi salutano, quasi sempre abbassano gli occhi. Magari anche loro sono stati ingannati, magari quello lì gli aveva detto quello che poi ha detto al processo, che io ero d’accordo a sposarlo ma mio padre no».
Di incredibile, rimane il legame con il padre, così forte e intenso che la stessa Franca Viola ne parla con dolore in una recentissima intervista: «il 26 dicembre è il giorno del mio rapimento e il giorno della morte di mio padre. Mio padre è morto 18 anni dopo il mio rapimento, lo stesso giorno alla stessa ora. È stato in coma tre giorni, io pensavo: vuoi vedere che aspetta la stessa ora. E infatti: è morto alle nove del mattino, l’ora in cui entrarono a casa a prendermi. Ha aspettato, voleva dirmi: vai avanti».
Franca ricorda quei giorni bui in cui il padre andò a prenderla dopo essere stata sequestrata e violentata: «venne a prendermi con la barba lunga di una settimana: non potevo radermi se non c’eri tu, mi disse. Cosa vuoi fare, Franca. Non voglio sposarlo. Va bene: tu metti una mano io ne metto cento. Questa frase mi disse. Basta che tu sia felice, non mi interessa altro. Mi riportò a casa e la fatica grande l’ha fatta lui, non io. È stato lui a sopportare che nessuno lo salutasse più, che gli amici suoi sparissero. La vergogna, il disonore. Lui a testa alta. Voleva solo il bene per me».
Il marito di Franca dimostrò coraggio e un senso etico altissimi: rimase in attesa della giovane ferita nel corpo e nello spirito che riuscì a cambiare la storia di un’Italia arcaica con i suoi codici assurdi. Lui stesso, non temette le ritorsioni di Melodia e dichiarò con forza che «avrebbe preferito vivere 10 anni con lei che un’intera vita con un’altra», giurandole per sempre amore. Dal loro matrimonio nasceranno tre figli. Infine, l’8 marzo del 2014, il Presidente della Repubblica Napolitano ha insignito Franca Viola al Quirinale, con l’onorificenza di Grande Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana, con questa motivazione: «Per il coraggioso gesto di rifiuto del matrimonio riparatore che ha segnato una tappa fondamentale nella storia dell’emancipazione delle donne nel nostro Paese».
Bisognerà aspettare, tuttavia, da quel dicembre del 1965 quasi 16 anni affinché, l’odiosa norma del “matrimonio riparatore”, venisse spazzata via insieme al “delitto d’onore”. È chiaro che rimane per l’Italia e non solo per la Sicilia, il lungo percorso di civiltà che vede le donne al centro di battaglie per l’eguaglianza di genere e per i diritti umani negati: dalla legge 442, del 5 agosto 1981, al referendum sul divorzio nel 1974, alla riforma del diritto di famiglia nel 1975 e, infine, il referendum sull’aborto. Incredibilmente, tuttavia, sarà solo il 1996 l’anno in cui lo stupro sarà considerato non più un reato “contro la morale” bensì “contro la persona”.
Di Franca Viola, basta oggi ricordare le sue splendide e realistiche parole: «non fu un gesto coraggioso. Ho fatto solo quello che mi sentivo di fare, come farebbe oggi una qualsiasi ragazza: ho ascoltato il mio cuore, il resto è venuto da sé. Oggi consiglio ai giovani di seguire i loro sentimenti; non è difficile. Io l’ho fatto in una Sicilia molto diversa; loro possono farlo guardando semplicemente nei loro cuori».

Francisco Soriano
Francisco Soriano nasce a Caracas nel 1965. Attualmente, vive a Ravenna e svolge la sua attività di docente.
È stato insegnante e dirigente scolastico per diversi anni nella Scuola Italiana di Teheran, “Pietro della Valle”, occupandosi di inclusione e didattica dell’italiano a stranieri. Ha pubblicato numerosi saggi storici e raccolte di poesie tradotte in persiano: “Dove il Sogno diventa Pietra”, “Vita e Morte di Mirza Reza Kermani”, “Nuova antologia poetica di Zahiroddoleh”, “Dalla Terra al Cielo. Tusi e la setta degli Assassini di Alamut”. Ha coordinato laboratori di poesia e traduzioni in lingua persiana e ha organizzato mostre di pittori e fotografi contemporanei di livello internazionale, serate dedicate alla poesia italiana e persiana con attrici e attori protagonisti del cinema internazionale. Attualmente scrive articoli di letteratura e si occupa di problematiche concernenti diritti umani e di genere per la Rivista “Argo”. Le sue ultime pubblicazioni sono: “Fra Metope e Calicanti”, edita dalla Casa Editrice “Lieto Colle”, nel 2013; “La Morte Violenta di Isabella Morra”, edita da “Stampa Alternativa”, nel 2017; “Haiku Ravegnani”, edita da “Eretica Edizioni”, nel 2018; “Noe Ito. Vita e morte di un’anarchica giapponese”, edita da “Mimesis Edizioni”, nel 2018.
Grazie al suo amore per il Medioriente, oltre a essere vissuto per molti anni in Iran, ha visitato il Libano, la Giordania, la Siria, l’Armenia, l’Azeirbajan e la Turchia.
Uno degli articoli più ” ben scritto” che abbia letto, dire bello è riduttivo. Trascrivo il nome dell’autore per approfondirne la conoscenza.