Il Grande Inquisitore e la didattica orientativa ⥀ L’importanza della memoria critica
A scuola, la didattica orientativa dovrebbe offrire la criticità di apprendere e la conseguente libertà di scelta senza manipolazioni
Nella memorabile leggenda tratta dall’opera di Dostoevskij, I fratelli Karamazov, il solerte inquisitore Gregorio, la radice del cui nome indica colui che veglia, si fa così tanto responsabile della vita dei credenti da soffocare nel pane la loro libertà di scelta, volendo anche riprocessare Cristo tornato nella città di Siviglia.
Non sembri strana questa metafora applicata alla situazione nella quale versa la didattica: i funzionari ministeriali sono talmente convinti di orientare con le loro briglie (cfr. Kant, Cos’è l’illuminismo) gli studenti che non si accorgono di quanto orientarsi è in primis discernimento, da attuarsi nel pensiero, da cui procede un’autentica praxis.
Sono talmente convinti della loro missione (meglio se si usa l’inglese mission) da dimenticare che le discipline hanno uno statuto metacognitivio e contribuiscono ad una testa ben fatta.
Dunque, si trasforma la conoscenza in capitale mobile, e la passione, il talento, l’acquisizione di capacità in competenze da funzionari, funzionari destinati a rispecchiare una visione del mondo che è quella del potere dominante, trasformando, quindi, la scuola in un’appendice del grande apparato.
La cosa sconfortante è che il Ministero e i suoi funzionari si atteggiano ad avanguardia educativa, inducendo il sospetto che quanto si sia fatto a scuola finora non sia autentico, dato che la didattica orientativa dovrebbe culminare in compiti autentici o di realtà.
Peccato che la radice di autentico (Heidegger docet) significa ciò che è proprio. Quindi si presuppone che la scuola finora non abbia adempiuto a ciò che è proprio, come se la cultura e la formazione non fossero reali. La cultura e la formazione, al contrario, sono eventi che accadono in un dialogo costante fra le discipline, fra chi insegna e chi apprende, e non oggetti da manipolare, magari per profitto.
Forse la memoria critica è sempre troppo scomoda e si dimentica anche che Seneca diceva: Non schola sed vita discimus. Ecco il paradosso: perché si dice ad uno studente «ti orientiamo noi»? Perché se osi servirti del tuo sapere, rischi di diventare critico e disturbare il manovratore.
Se al richiamo della scuola di avanguardia si risponde attenti, come in caserma, per la scuola asservita al mercato suona la fanfara, mentre per la cultura che si fonda su ciò che è proprio, suona il de profundis.

Paola Mancinelli
Paola Mancinelli è nata ad Osimo (An) il 28 giugno 1963, ha studiato Lingue e letterature straniere, specializzandosi in Interpretazione e traduzione e Teologia, e ha conseguito il dottorato di ricerca in Filosofia teoretica presso l’Università di Perugia orientando la sua ricerca al pensiero neoebraico e soprattutto al Nuovo pensiero di Franz Rosenzweig. Docente di Filosofia e storia presso il Liceo scientifico Galileo Galilei di Ancona, l’autrice continua a svolgere attività di ricerca specie negli ambiti del rapporto fra arte e filosofia, in particolare sulla portata filosofica del linguaggio poetico e in quello di un avvicinamento teoretico fra filosofia e teologia, senza trascurare l’ambito della didattica della filosofia e del suo rinnovamento, grazie a cui collabora con la sezione anconetana della Società filosofica italiana. Fra le sue pubblicazioni principali si ricordano: Cristianesimo senza sacrificio, Filosofia e teologia in René Girard, Cittadella Assisi 2001, Pensare altrove, Rivelazione e linguaggio in Franz Rosenweig, Quattroventi, Urbino 2006, Lo stupore del bello, Polistampa, Firenze 2008, Le ragioni del bene nel pensiero di H. Arendt, deComporre, Milano 2010, Grammatiche della Bellezza, Aracne, Roma 2018. Come poeta è menzionata nel sito Italiani Poetry, dove si trova anche la bibliografia delle sue raccolte poetiche già pubblicate.