Identità de-costruite ⥀ Costruzione e percezione dell’identità nei film Memento e Titane

A partire dai film Memento (Christopher Nolan, 2000) e Titane (Julia Ducournau, 2021), vediamo come l’identità viene de-costruita, o meglio demolita, perché attraverso il ritorno alla forma mentis originaria sia possibile raggiungere uno status finale

 

Il processo di costruzione identitaria non è cosa facile, soprattutto risente di innumerevoli fattori esterni che concorrono nell’atto. Chi siamo veramente? Quanto siamo capaci di rimanere fedeli al nostro modo di essere percepiti? La memoria detiene un posto di particolare rilevanza nel determinarci come agenti, specie in relazione a cosa siamo stati e a quanto siamo in grado di ricordare. Questa concezione diffusa sembra alterarsi nel celebre Memento di Christopher Nolan, film del 2000, in cui il protagonista Leonard si muove trasversalmente non avendo più la capacità di accedere ai vecchi ricordi. In questo caso, la negata possibilità di accesso al ricordo rende il personaggio vulnerabile e lo spinge a ricorrere a metodi alternativi per tenere traccia di cosa fare, come post-it e tatuaggi sul corpo. A essere minacciata non è forse l’identità stessa di Leonard quanto la sua percezione di sé, condizione che lo porta a una ricerca ossessiva dell’assassino di sua moglie anche dopo averlo trovato.

 

Titane

 

La costruzione di noi stessi in genere non segue un pattern lineare, ma si muove quasi sempre per ricordi, che come puntini collegati tra loro creano un mosaico composto da una serie di tasselli equiparabili, in cui ciascuno occupa il suo spazio con rilievo. Anche in Titane1 (2021), una produzione di Julia Ducournau, non assistiamo a una costruzione rettilinea dell’identità nel corso della storia, quanto a una trasformazione trasfigurante in grado di oltrepassare quasi ogni limite, incluso quello umano. Alexia si presenta come una sensuale ballerina di car-show nelle scene di apertura, ma nel seguito della narrazione incarnerà altri personaggi fino ad arrivare sulla soglia del non-umano. Queste trasfigurazioni ripetute e continue sollevano un vortice dal quale è normale chiedersi quale sia la vera identità del personaggio principale.

Posto che ne esista una unica, la domanda apre una serie di questioni, primo fra tutti la messa in discussione del postulato che sia possibile parlare di identità come di un’entità monolitica. Più realisticamente, l’identità è un insieme di elementi interrelati tali per cui risulta possibile ricondurli a un solo macro-gruppo. Tuttavia, non è immune al cambiamento, il quale talvolta si esaspera fino alla trasfigurazione. Da qui il paradosso di Teseo: l’entità resta la stessa oppure le somiglia?

Di norma, la prima manifestazione identitaria è il corpo con tutte le sue implicazioni, che contraddistingue ognuno di noi e che Pierre Bourdieu definiva habitus. Resta vero, però, che l’identità non si risolve nella categorizzazione del corpo ma include anche la percezione, la quale media fra corporeità e tutto quanto sito al di fuori, diventando l’unico mezzo attraverso cui la realtà stessa esiste, «poiché l’esistenza di un’idea consiste nell’essere percepita»2. Oggi, nella postmodernità, sempre più abbiamo perso i confini identitari e con essi anche le identità sono divenute fluide e mutevoli, «liquide»3, per dirla con le parole di Zygmunt Bauman, come si vede appunto nel personaggio di Alexia.

 

Titane

 

Dai ripetuti atti sessuali con automobili, ritenuto dai più un omaggio a Crash di David Cronenberg, si generano nuove forme di esistenza capaci di abbattere limiti e dualismi canonici, in una ripetitività ciclica e totalizzante. La regista fa esplicitamente riferimento alla tradizione cristiana e richiama per Alexia nello stesso tempo le figure di Gesù e Maria; tuttavia, l’accento è posto non tanto sull’aspetto strettamente religioso e risulta invece più centrato sul versante della trasformazione.

Throughout the film, what I have built up is [Alexia] going from Jesus to Mary to Jesus to Mary and to Jesus again […]. At the end, for me, she becomes both. It’s almost like Jesus-Mary giving birth to Jesus-Mary […]. I don’t perceive [the Biblical references] as being religious […] I do like to chase the sacred… but this sacred is the sacred of humanity. It’s more about all the possibilities of humanity, in terms of transformation4.

Questa idea di metamorfosi è centrale in tutta la narrazione, passando in un primo momento attraverso un cambiamento fisico con interventi diretti sul corpo e proseguendo con il culmine di una nuova personalità. La scena finale sembra lasciare una possibilità aperta sulle prospettive future, come fosse stato raggiunto un iter di espiazione da parte di Alexia che finalmente, libera da ogni colpa e vincolo, riesce a dare alla luce un nuovo essere umano purificato e privo di quel peccato originale. In un certo senso, la protagonista può apparirci come una martire, che ha dovuto sacrificare sé stessa attraverso il dolore esperito dalla sua stessa corporeità per arrivare a uno stato di quiete, nonché a un nuovo inizio nel segno di una speranza universale grazie all’amore puro che solo la nascita può simboleggiare.

Love is capable of making you see someone for who they are, no matter what social constructs you could have put on them, no matter what representation or expectations you had for them5.

La gestualità, la musica e perfino i silenzi rendono visibile questo percorso più delle parole stesse. L’amore di Alexia si può sentire, è tangibile durante tutto il film, insieme alla sua sofferenza: il peso del non detto supera l’enfasi di quanto viene effettivamente espresso a parole. Le modifiche continue sul suo stesso corpo – dal naso rotto contro il lavabo di un bagno pubblico ai capelli rasi compulsivamente – sono per Alexia parte del cammino per diventare chi è davvero. La potenza evocativa è tale da sconfinare dapprima nell’universo maschile nei panni di un ragazzo (Adrien) e poi in quelli di uno pseudo cyborg, in cui l’ossessione per le placche di titanio si fonde al suo essere costitutivamente umana.

Ducournau ha giocato inoltre con sapienza sul nome stesso nel titolo, Titane, realizzando una duplice significazione: da un lato sta a segnalare il femminile francese di «titano», dall’altro indica il titanio, materiale centrale nell’opera e catartico nella costruzione della figura di Alexia/Adrien. È possibile parlare della stessa persona, allora? Probabilmente non del tutto, possiamo concepirle come due facce della stessa medaglia e vedere la nascita finale come un inno all’amore e al tempo stesso un indice di rinnovata speranza nel futuro venturo dell’umanità.

Il ruolo dell’identità resta evidentemente centrale, dato che solo attraverso la conoscenza della propria specificità diviene possibile relazionarci con l’esterno e ricordare cosa siamo stati attraverso l’uso della memoria, in vista delle forme in cui potremmo andare a riconfigurarci nel futuro.

 


Note

1 Vietato ai minori di 16 anni in Francia e di 18 in Italia, la Motion Picture Association negli Stati Uniti ne ha proibito la visione ai minori di 17 anni non accompagnati per scene di violenza, nudità, sessualità e materiale inquietante.

2 George Berkeley, Trattato sui principi della conoscenza umana, Laterza, Roma 1984.

3 Zygmunt Bauman, Modernità liquida, Laterza, Roma 2002.

4 Julia Ducournau explains the crippling love beneath her beautiful dark twisted fantasy “Titane”, CNN, 2021.

5 Ivi.