Il lungo viaggio di Angelo Guglielmi ⥀ Un ricordo
Un ricordo di Angelo Guglielmi e una recensione del suo ultimo libro, Un lungo viaggio (Aragno, 2021), scomparso oggi 11 luglio
Angelo Guglielmi è stato un agitatore culturale con il colletto bianco. Critico letterario militante, dirigente Rai, politico: la sua biografia è nota, come la sua ampia bibliografia. Noi del collettivo Argo lo abbiamo conosciuto quando fu nominato assessore alla cultura del Comune di Bologna, nel 2004. Con il suo aiuto mettemmo in scena, nel 2007, lo spettacolo multimediale Laborinto al Teatro delle Moline, ispirato ad Argo vol. XII, e il gioco interattivo Caccia al tesoro a piazza Verdi, nel 2008, ispirato ad Argo vol. XIV. Lo chiamammo a presiedere la Giuria del nostro festival di cinema Corto Dorico 2007 e a partecipare, con Enrico Ghezzi, alle celebrazioni per i 25 anni di Blob e i 50+1 del Gruppo 63, al nostro festival di poesia La Punta della Lingua 2014. Così siamo diventati compagni di viaggio.
Non racconteremo, però, aneddoti su questi e altri incontri che si sono succeduti dal 2004 fino a pochi giorni fa. Lo saluteremo parlando del suo ultimo libro, pubblicato da Aragno nel 2021, Un lungo viaggio. In particolare, ci concentreremo sulle pagine dedicate alla televisione.
La poetica televisiva di Angelo Guglielmi, che da neoavanguardista ha criticato il «romanzo ben fatto» e ha composto palinsesti televisivi, è condensata nel saggio Cinema, televisione, cinema: quando fu direttore di Rai Tre, dal 1987 al 1994, Guglielmi decise di eliminare dalla programmazione il cinema, ridotto nel palinsesto alla domenica in seconda serata e all’estate, il teatro e gli altri linguaggi che non erano quello della tv. La «tv della realtà», come ribattezzò la sua idea di televisione, nacque così, puntando sulla presa diretta. Ne sono testimonianza i programmi Telefono giallo, Chi l’ha visto?, Un giorno in pretura. In Cinema, televisione, cinema Guglielmi, però, non si limita a esporre le sue idee e raccontare la storia dal suo punto di vista. Riporta anche le critiche che gli furono mosse da chi lo accusava di avere rincorso la tv commerciale di Silvio Berlusconi con programmi come Avanzi, Tunnel e, in generale, quel tipo di tv che favorì, secondo i suoi detrattori, la vittoria del Centro-Destra nel 1994. Che fossero solo maschi a intervenire in quel dibattito non sorprende, anzi aiuta a capire perché fu così aggressivo. Per togliersi dall’angolo Guglielmi si inventò – o prese a prestito, non ci è dato saperlo – una distinzione tra sinistra politica, culturalmente di destra (a suo dire), rappresentata da chi criticava la sua televisione, e sinistra culturale, attenta al nuovo, all’apertura di crepe per l’insorgenza della contestazione, al disordinamento, rappresentata da chi condivideva con lui il suo spirito avanguardistico.
Con il senno di poi, la tv di Guglielmi si è dimostrata in conflitto con la linea politica di Silvio Berlusconi, almeno in parte, se si considerano due dei personaggi televisivi inseriti nel cosiddetto «editto bulgaro», pronunciato dall’allora Presidente del Consiglio, il 18 aprile 2002, in una conferenza stampa a Sofia: «L’uso che Biagi… come si chiama quell’altro? Santoro… ma l’altro? Luttazzi, hanno fatto della televisione pubblica, pagata coi soldi di tutti, è un uso criminoso. E io credo che sia un preciso dovere da parte della nuova dirigenza di non permettere più che questo avvenga». Ebbene, Michele Santoro divenne celebre con il programma Samarcanda, che andò in onda nel palinsesto della Rai Tre di Guglielmi dal 1987 al 1992. Luttazzi iniziò a essere conosciuto dal grande pubblico quando all’inizio degli anni Novanta affiancò Gloria De Antoni e Oreste De Fornari, i conduttori del programma di Rai Tre Magazine 3, altra trasmissione nata durante la direzione di Guglielmi.
Se, dal punto di vista linguistico, l’operazione del neoavanguardista in ambito televisivo continuerà a essere studiata a lungo, dal punto di vista politico bisognerebbe interrogarsi sul suo ruolo di intellettuale organico, fra ottima tattica e strategia problematica. Ci sarà modo di farlo. Ora è il momento di confrontarsi con il vuoto che lascia la sua morte, oggi, in questo preciso momento: per lui il viaggio è finito, il dialogo potrà continuare solo da parte nostra, le sue vive risposte mancheranno fino a quando non troveremo il modo di suscitarle di nuovo. Succederà? Il futuro è il regno delle possibilità, avrebbe risposto Guido Guglielmi, suo fratello.

Valerio Cuccaroni
Dottore di ricerca in Italianistica all’Università di Bologna e Paris IV Sorbonne, Valerio Cuccaroni è docente di lettere e giornalista. Collabora con «Le Monde Diplomatique - il manifesto», «Poesia», «Il Resto del Carlino» e «Prisma. Economia società lavoro». È tra i fondatori di «Argo». Ha curato i volumi “La parola che cura. Laboratori di scrittura in contesti di disagio” (ed. Mediateca delle Marche, 2007), “L’Italia a pezzi. Antologia dei poeti italiani in dialetto e altre lingue minoritarie tra Novecento e Duemila” (con M. Cohen, G. Nava, R. Renzi, C. Sinicco, ed. Gwynplaine, coll. Argo, 2014) e Guido Guglielmi, “Critica del nonostante” (ed. Pendragon, 2016). Ha pubblicato il libro “L’arcatana. Viaggio nelle Marche creative under 35” e tradotto “Che cos’è il Terzo Stato?” di Emmanuel Joseph Sieyès, entrambi per le edizioni Gwynplaine. Dopo anni di esperimenti e collaborazioni a volumi collettivi, ha pubblicato il suo primo libro di poesie, “Lucida tela” (ed. Transeuropa, 2022). È direttore artistico del poesia festival “La Punta della Lingua”, organizzato da Nie Wiem aps, casa editrice di Argo e impresa creativa senza scopo di lucro, di cui è tra i fondatori, insieme a Natalia Paci e Flavio Raccichini.
(Foto di Dino Ignani)