Il manipolo di sconosciuti. Prose di Luke Ballordo
C’è niente da chiarire sul fatto compiuto da un manipolo di sconosciuti. Due a destra, due a sinistra, due davanti, due dietro, uno tra sinistra e davanti, uno tra davanti e destra, uno altro tra destra e dietro e un altro ancora tra dietro e sinistra. Tutti e dodici, o pressappoco, che accompagnavano i miei passi alla distanza di due metri circa. Erano allarmati da una certa tensione. E per circa 15 secondi nell’anno 2013 è avvenuta questa scena poco più avanti di piazza Diaz, lungo viale della Vittoria. È a seguito di queste cose che è stato molto spontaneo per me fare d’un fio d’erba un fascio. D’altronde non ci vuole un genio per capire che, essendo tutti casi a sé, c’è qualcosa di me che li fa preoccupare.
Sai quanto ci ho pensato? a cercare di capire il perché di certe cose. L’unica risposta che mi dò tutte le volte è che la mia troppa libertà nel quotidiano è evidentemente inopportuna. Ad esempio, ci impiego 1 minuto meno del solito a lavare i piatti e questo è un affronto per loro, benché io non sappia come essi lo deducono. Oppure mi muovo dalla piastrella A alla piastrella C e nel farlo sono più rapido del solito (idem). Oppure faccio un sorriso in più del dovuto ed essi ovviamente si sconvolgono. Ah, e per inciso, il dovuto è la fase attuale in cui non mi rompe il c**** quasi nessuno.
Telepatia su larga scala? Non l’ho richiesto io dalla vita.
Il fatto è che sommando tutti i fatti avvenuti per strada, o comunque fuori casa, nella società so di non essere nessuno per un 99% quasi volatile ma quell’1% emblematico è come radioattivo nella mia testa e catalizza il 99.
Io vorrei tanto asportare chirurgicamente quell’1% e sostituirlo col principio di un’agiatezza con sconosciuti e non.
Io direi no a questi qui, sempre sconosciuti, che stanno in agguato e per un loro schiribizzo, riflesso del mio lieve mutare, mi importunano una tantum, chissà che non mi fanno i riti vodoo (inoltre). Io direi no, direi di farci uscire allo scoperto io e loro, direi di parlarci a quattr’occhi così finalmente posso incominciare a vivere la mia vita, invece del presupporre dietro l’angolo l’ennesimo mordi e fuggi. Che poi mi ci faccio male – psicologicamente intendo. Ma a quel punto sarebbe il colpo di grazia del mio anonimato per me o quello che è insomma. È che certi atteggiamenti altrui sono così subdoli e velati. E a volte invadenti, ma chi sono io per meritare questo?
Sommate, tutte queste cose mi intasano la testa. Sembrano una perdita di tempo ma, dati tutti questi segnali allarmati, messi insieme formano un’unica frase. Cioè: «Luke non ti muovere, perché non sei né dei nostri né sei poco poco qualcuno, sei futile, eh!», sempre in chiave subdola.
Il fattore subdolo mi è sinceramente spesso più reale della realtà stessa.
Tirando le somme stimo di aver ricevuto tra Ancona dintorni e Francia sui 500 ilarici occhi infilzati a danno della correlazione tra il mio ruolo e la percezione che ho sul senso comune, 2000 gesti intimidatori di cui 1400 inibitori, 10/12 spintoni gratuiti a me indirizzati (atomo più atomo meno) nell’arco di 6/7 giorni, 1 accenno di linciaggio e 500 tonnellate di tensione da tagliare col coltello. Qualcuno la doveva pur bonificare che se non la somatizzavo a questo livello sarei di sicuro finito da qualche parte a pettinare 100 volte le bambole di adesso. Ciò sempre e tutto in chiave subdola che di anno in anno ha logorato la mia prospettiva di normalità, aggiungendosi ai miei altri problemi. Per cui non sarà il caso – no? – per coloro che mi sbattono in faccia il loro incolore, di tramutare esuberanza e ficcanaseria, altezzosità nel fare almeno il doppio l’orticello loro? Anche se fingendo molti direbbero: «eh, che accidenti vuole questo mo’?». Capito il senso? Poi che la mia prospettiva sia errata ci credo pure, ma io solo questa c’ho. Da dove la prendo un’altra?
Nota a margine
Luke Ballordo (nome d’arte) è un uomo che vive nell’anonimato per non finire etichettato come “paziente psichiatrico”. Fa parte di un gruppo nato all’interno della nostra organizzazione Nie Wiem dopo la pubblicazione del libro di poesie di Sarah Di Piero Reparto da qui. Il gruppo, composto da pazienti, familiari, operatori e volontari, ha lo scopo di combattere lo stigma psichiatrico, creare spazi di socialità per chi soffre di disagio psichico e diffondere le buone pratiche del movimento basagliano Le parole ritrovate.
Valerio Cuccaroni
Dottore di ricerca in Italianistica all’Università di Bologna e Paris IV Sorbonne, Valerio Cuccaroni è docente di lettere e giornalista. Collabora con «Le Monde Diplomatique - il manifesto», «Poesia», «Il Resto del Carlino» e «Prisma. Economia società lavoro». È tra i fondatori di «Argo». Ha curato i volumi “La parola che cura. Laboratori di scrittura in contesti di disagio” (ed. Mediateca delle Marche, 2007), “L’Italia a pezzi. Antologia dei poeti italiani in dialetto e altre lingue minoritarie tra Novecento e Duemila” (con M. Cohen, G. Nava, R. Renzi, C. Sinicco, ed. Gwynplaine, coll. Argo, 2014) e Guido Guglielmi, “Critica del nonostante” (ed. Pendragon, 2016). Ha pubblicato il libro “L’arcatana. Viaggio nelle Marche creative under 35” e tradotto “Che cos’è il Terzo Stato?” di Emmanuel Joseph Sieyès, entrambi per le edizioni Gwynplaine. Dopo anni di esperimenti e collaborazioni a volumi collettivi, ha pubblicato il suo primo libro di poesie, “Lucida tela” (ed. Transeuropa, 2022). È direttore artistico del poesia festival “La Punta della Lingua”, organizzato da Nie Wiem aps, casa editrice di Argo e impresa creativa senza scopo di lucro, di cui è tra i fondatori, insieme a Natalia Paci e Flavio Raccichini.
(Foto di Dino Ignani)
[…] da una nota di Gabriele Gallina. Altre prose di Luke Ballordo sono già state pubblicate qui e […]
[…] la serie inaugurata con le prose schizomorfe di Luke Ballordo (qui la n. 1 e qui la n. 2), presentiamo le Confessioni di una figlia del secolo di […]