Indice Inferno, Catalogo di Donne di Luisa Valeria Carpignano ⥀ Passaggi

La rubrica Passaggi dedica la sua pubblicazione di oggi a uno scritto di Luisa Valeria Carpignano. L’editoriale della rubrica può essere letto qui

Illustrazione di Sarah di Piero, La madre, 2023.

 


1. Passione

La Franca. Orgogliosa di appartenere al Catalogo di tutte le principale et piu honorate cortigiane di Venezia: lei è il prologo alla raccolta, ma anche alla Situazione: il Poeta è una puttana orgogliosa di fingere, e la P maiuscola se la guadagna perché almeno ci mette un po’ di calore. Prosegue: un dialogo col re sulla condizione femminile. Processo per stregoneria. Assoluzione e peste. Chiude con la facezia: nei tribunali e nella poesia conta più un segreto che una parola brillante.

La ballerina metallica di hoffmann che è anche la storia del soldatino. Ella diventa una ballerina con le gambe di ferro. Il soldatino impazzito la crocifigge e le taglia le braccia. Diventa una donna manichino. Le giovani, stufe della moda della lenta anoressia, la venerano come bellezza perfetta e vorrebbero essere come lei. È l’oggetto del desiderio sessuale maschile per eccellenza. Si veda Donna senza braccia seduta alla spinetta del Vermeer. (Si veda Vermeer, ma si alleghi foto vintage di Torso Umano fra freaks – bisogna appigliarsi a qualcosa che non sia metafora).

I trasvestimenti di Donna Elvira. Che Giovannino non fosse che innamorato sempre della stessa donna? Il diavolo, ovviamente. Che sveste un sembiante per sempre nuova allettante figura. Elvirata nuova sempre uguale e ritorna eternamente vecchia, il desiderio che si deforma, sopravvivere è un trionfo geloso, diabolico anfibio è l’amore che punisce. Si tratteggi il seduttore (quello fisso, non il diavolo) con la fiaba popolare di Giovannino senza paura, e a favore della cultura pop si trasfiguri in Don Dylan Dog, il Don Giovanni dei nonmorti.

Una vecchia francese stuprata in un cespuglio. È preda di disturbi della memoria, a volte si crede ancora bambina. La vicina di casa adolescente pensa che da bimba abbia subìto uno stupro, la vecchia; poi addirittura sia stata stuprata da vecchia. Balugina l’idea inconsistente di un trans pedofilo, se bisogna trovare un colpevole politicamente inadatto a tutti. La realtà? Per sottrazione logica, non rimane che la possibilità che da bambina abbia stuprato una vecchia (l’orrore che volevamo evitare). (E magari che la vicina di casa adolescente che compie le indagini non sia adolescente ma ecco sia la vecchissima sorella della stupratrice, ossia oggetto dello stupro, ma sarebbe ormai troppo improbabile a discapito dell’attenzione di chi legge, e in cattiva coscienza annunciamo semplicemente: sarà una favola di Stupore).

La madre degli sciocchi. Raffinando una teoria etologica, la madre, che chiameremo Omero, crede che più figli fa più ci sono le possibilità di creare un Sarkozy o una Carla Bruni, e che due del genere dovrebbero sposarsi. Non è però una teoria stupida in sé (“Non si deve essere contro l’unione di bellezza e potere, ma il popolo stolto, perverso e invidioso ci vede un simbolo di perversione… poveri figli miei!”, dirà Omero, la madre di tutti noi). Succede alla fine che due suoi figli diventano uno Potente e l’altra Modella Esistenzialista. Si innamorano e fanno incesto. Gli altri suoi figli tagliano la testa della Mannequin, e sono felici di indurre il Re a incattivirsi contro loro stessi, a furia di onanismo psichico e fattuale. Gli cuciono addosso i seni della donna e lo chiamano Tiresia. Anche se ormai sbraita completamente impazzito lo venerano. Il ventre residuo della madre è attaccato da figliolanza verminosa. O dai serpenti sacri. L’immagine del Laocoonte si fonde con quella di Hokusai della donna e la piovra.

Canto di Maria. È la poesia giovanile di una poetessa americana di origini oscure che fa innamorare di sé una cantante blues: la ragazzina bianca però è razzista e pur ricambiando l’amore della cantante in maniera molto sensuale, prova repulsione. La uccide offrendole un tortino di ricotta spolverato di cocaina pura. Muore povera e pazza nella periferia di New York, proponendosi come cantante blues: ma è stonata e il metro dei testi non coincide con le strofe del blues.

 

2. Illusionismo e sdegno

La reincarnazione di Hildegard. C’è una adolescente che sarebbe Hildegard reincarnata. Si sente di intelligenza superiore, e anziché combinare qualcosa di buono fa passeggiate vacue nello struscio cittadino e ragiona compiaciuta del proprio genio incompreso fra i viscidi commercianti di provincia. Il narratore è Dio che vuole redimerla per noia, in quanto il libero arbitrio è farmaco a una eterna solitaria perfezione. La ragazzina viene trasformata in aquila e catapultata in cielo fra le punte dei monti, ma Dio delira di purificazione, guarda troppo in alto, è un attimo che arriva Anoubis il cane e se la pappa. Comma 666, L’anima reincarnata, che si vuol purificar tra i monti, se non la si sbriga a rianimar, la si suol tosto reincanar.

Amletica. Una dark lady di nome .ophelia, con i coniglietti di metallo sulla punta dei seni. Vive in una discarica e legge Baudelaire. È una giustiziera in crisi poetica che vi ha trovato il suo eremo. Per vivere balla la slap-dance per i topi di un cartone animato.

Ipazia. Divina filosofa e matematica di genio. Una smania empirica si impossessa di lei dopo l’episodio del ragazzo innamorato e del mestruo. Fa diffondere la voce che è diventata una sapiente maga, finché pone la data della dimostrazione magica: lì con una sostituzione grossolana sostituisce a se stessa una capra che effettivamente parla, ma è stupida come può esserlo una capra senza educazione. Quando vede che tutti l’ascoltano come una divinità, dubita del proprio senno e va a fare la capraia prima, poi con la sua abilità manageriale e il suo disincanto apre una setta dionisiaca.

Eloisa è una giovanissima ninfomane che ordina ai suoi di castrare Abelardo, perché non ha ceduto alle sue voglie durante le lezioni di filosofia contemporanea. Col mondo fa finta di essere una martire dell’amore e una virtuosa. Nel corso della sua vita, scrive le lettere proprie e di Abelardo. Sempre segretamente, aiuta lui ad avere una buona carriera scholastica. Lui le è riconoscente perché lui e le sue opere sono diventate più famose di prima, e per via del taglio netto ha molto più tempo per dedicarsi ad attività speculative.

 

3. Soluzioni

Lucia, la graziosa del Manzoni. Alternanza fra testo del Manzoni, e momento licenzioso in cui è stato scritto. Il testo è volubile, la scena dapontiana.

Le sopracciglia della Garbo. Capriccio filosofico après Barthes e i film holliwoodiani. Greta G. è un nome d’arte, le piace fumare sigari e recita anche come Groucho Marx (e come controfigura della G.G. vera, non per somiglianza fisica ma per pure ragioni di omonimia. Certo recitava soprattutto come se stessa, ma in quel caso non sappiamo rintracciarla perché le sopracciglia se era per assomigliare a sé stessa non se le sapeva scegliere, e quindi iconicamente irriconoscibile, e allora nei titoli di coda la accreditavano con altri nomi che non erano né G.G. né G.M. né altro che corrispondesse alla sua biografia, peraltro confusa).

La modella del Bernini. Storia di un uomo che vuole essere Dio per piacere alla donna di cui si è innamorato. Capisce che deve fondersi con lei per essere entrambi felici. Finisce con la scoperta del sesso per entrambi, ma prima bisognava che lei godesse almeno come statua.

Una paziente di Freud. Dottore, dottore: tutte le notti sogno che La castro. Favola breve. Deve essere più breve e concisa possibile.

I riccioli del Dürer. Si basa sulla teoria discutibile che solo una donna può dipingere così bene dei riccioli, ergo il secondo autoritratto quello famoso non l’ha fatto lui ma una donna certamente innamorata di lui. D’altronde lì è così bello che potrebbe anche essere una donna coi baffi. Sarebbe di nuovo un autoritratto, ma non si fanno ipotesi su chi fosse la pittrice, è solo un breve incanto per puro spirito di contraddizione.

Tina Modotti. Vorrebbe fotografare la propria nascita. In sudamerica, una stregona con delle erbe le farebbe rivivere quel momento? Questo lei chiede. Ma se ne va delusa. (“no”). Allora Tina Modotti costruisce una struttura di placenta e sangue e ci sta dentro nove mesi con una macchina fotografica che scatta foto quando le batte più forte il cuore. (In realtà è tutto un sogno provocatole dalla sudamericana, la Vecchia O Giovane Signora, che l’ha messa in un pozzo di sangue e di merda – niente placenta – con un tubo per l’aria e uno per il cibo – cioè in fondo la stessa cosa, ma almeno mangiava e cacava e nove giorni bastavano piuttosto che nove mesi perché il tempo lì dentro lo passi bene se sei convinto di essertici messo tu). Tina esce contenta, torna a Udine in Via Pracchiuso dove è nata e si taglia i capelli a zero. Il sangue e la merda però sono di una capra sacra.

Il però però non porta a ulteriori sviluppi dell’intreccio.

Canto di Maria. È una poesia giovanile di una poetessa europea enigmatica che fa innamorare di sé una cantante blues: la poetessa pur essendo progressista, prova repulsione per l’amore lesbico di una nera. La poetessa però sfrutta la situazione, la porta con sé in Europa e le fa imparare canto lirico, e canta in playback con lei sotto il palco. La cantante blues non dice nulla. Ma riesce a pubblicare a nome proprio le poesie dell’europea, dopo aver fatto scandalo per averle declamate nei circoli letterari delle città: essendo le poesie colte e geniali e lei una povera nera americana (affettare la voce come nei film di una volta, quando tutto dice che era meglio). Lei si impara prima a memoria le poesie, poi fa finta di comporle in modo estemporaneo. Fra le due si crea un tacito accordo. Anche la ragazza bianca si innamora della compagna ma non glielo dice.

Su Clara Wieck. Consta della copia anastatica di una lettera, e di tante banalità su donne e carriera nell’Ottocento che però purtroppo sono vere.

Una scrittrice. Shéhérazade ogni mattina veste riccamente le figlie Storia, Durata, e Istante. A sera simmetricamente le sveste degli abiti magnifici, e le mette a letto con grande tenerezza. Qualunque notte tu guardi nella stanza, non passa un’ora che trovi Shéhérazade curva sulle figlie, i corpi spacchettati e divorati. Alla mattina, da capo, alla sera: vestiti, lusso, svestiti, slegati, i corpi e il muso affamato, vestiti. La pensione di Shéhérazade è finalmente quando si sposa, dove il tempo pensa è clemente, e non sarò più ermafrodita, madre e cannibale.

 

 

 


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Sarah Di Piero, La madre, 2023.