Kazoo tric trac di Francesco Mattioni ⥀ Passaggi
La rubrica Passaggi, dedicata alla sperimentazione nell’ambito della prosa breve, presenta oggi una prosa di Francesco Mattioni, Kazoo tric trac. L’editoriale della rubrica si trova qui
Illustrazione in copertina di Valentina Vallorani, Zabatric, 2021.
Che sia stato messo lì a bella posta appare del tutto improbabile. Ma chi può escluderlo?
In quel crocicchio di vicoli ciechi non c’è nessuno. A parte lui. Messo proprio lì, perché poi?
Non c’è nulla lungo quel selciato irto di cocci dove tutto sembra già passato per arrivare non si sa dove. A parte lui. Che pare piantato lì in mezzo o spuntato chissà quando senza mai essersi mosso.
Per lo più manca la luce, lì, e non si vede quasi nulla. Difficile quindi essere precisi. Per fortuna i vicoli, troppo stretti per chiunque, sembrano un ciuffo di aculei d’istrice divelto per un incidente avvenuto altrove. Oppure lo scontro deve essere avvenuto proprio lì, in quel punto imprecisato, ma in un altro momento. Quando?
Deve ancora avvenire?
Lì, ora, in ombra, è rotolato solo questo sfaglio di solchi. Reliquia trafitta tra gli altri ciarpami che in cocuzzoli eremiti accumulano irregolari deserti.
Grazie a questa inclinazione sbieca e solitaria dei vicoli il vento lo suona un po’ come un kazoo e un po’ come un tric trac. Se l’acustica non mente dovrebbe avere delle lamine flessibili come le piume addormentate dell’uitzilopochtli che traballano verdi a sud e un perno fossile inamovibile come il DNA degli eventi. Il raschio arrugginito di una ruota tutta spigoli come il ghigno sdentato di un manichino di ragno zincato azionato da una croce arenata sulla costa della prima clessidra e il fruscio fantasma dell’ultimo petalo che non cade dal mandorlo in autunno. Lo zefiro, tra quelle cartilagini, è una cantilena zen che rimbalza sulla parete bianca di fronte e come una gorgone a ritroso disfa impercettibile la biacca delle ere. Nel brulichio lento e livido dei suoi rumori si crepa anche la polvere. L’estremo raggio che per sbaglio giunge dal futuro è vuoto. Qualcosa si schiude?
Nulla danza. A parte lui.
Nelle orbite di pietra del suo triskelis si accende uno schermo. Fuggono all’improvviso figure coralline sulla parete opaca. Fantasmi frusciano in un abbacinamento nitido all’oscuro. La memoria di tutte le cose. A parte lui.
Che è everscape o l’orizzonte del tempo. Kami keitai o un genius loci che gioca le maschere delle specie. Un dio di spine bianconere o la forma che si fa umana attimo illuso ad attimo desiderando la nostalgia dell’effimero. O solo un cellulare che impara a lallare. Senza senhal. Segno specchio del segno. O forse è solo, nel vento, un kazoo tric trac.
Chi volesse proporre prose brevi per la rubrica, può inviarle a questo indirizzo email: RubricaPassaggi@argonline.it


Francesco Mattioni
Sono nato nel 1974 a Jesi e vivo in Ancona con mia moglie, i miei due figli e il cane Snoopy.
Ho conseguito il dottorato in Letterature comparate all’Università di Bologna sulla geografia del racconto in Calvino, Pynchon e Perec.
Sono docente di italiano, storia e sostegno in un istituto tecnico di grafica e comunicazione.
I miei racconti sono stati pubblicati nella raccolta Le due tigri: dal romanzo salgariano al dualismo tra Oriente e Occidente (2004), in Buio (2019), in TINA. Storie della Grande Estinzione (2020), in Fascisti da Yuggoth (2021), nei blog La Grande Estinzione (https://lagrandestinzione.wordpress.com/), Tools for After (https://www.toolsforafter.com/), Altitudini (http://www.altitudini.it/), Argo (https://www.argonline.it/), sulla rivista Tendon Magazine della Johns Hopkins University (https://hopkinsmedicalhumanities.org/tendon-magazine/).
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