La sposa violata del deserto | Francisco Soriano

Quanto l’ennesimo episodio di sistematica cancellazione della memoria abbia suscitato dolore, è difficile da raccontare. La distruzione di Palmira, per assurdo, ci impone di riflettere su alcune “misteriose” forze centrifughe della Storia che riportano gli esseri umani in una sorta di “Nuova preistoria”, così lucidamente profetizzata da Pasolini nei suoi chiarissimi ragionamenti sul futuro del secolo votato alla inesorabile modernità. Quando, in un lontano Natale trascorso in Medioriente, attraversai il deserto siriaco sino a raggiungere la “Sposa del Deserto”, centro carovaniero, cerniera e transito dei “due mondi”, fui subito assalito da una di quelle sindromi che colpiscono i viaggiatori (senza scampo), sorpresi da paesaggi o soggetti artistici assolutamente meravigliosi nella loro sfuggente e irraggiungibile bellezza.

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Che la Siria fosse stata terra anche di folgorazioni mistiche risulta comprensibile, soprattutto alla stregua delle armonie paesaggistiche, non senza discontinuità climatiche rilevanti, in un territorio tutto sommato poco esteso. Sono i territori incantati e del non-dove, che i cantori mediorientali e persiani, in prima fila, ci hanno trasmesso con il loro enorme contributo letterario e filosofico. Ciò che costerna, è che in “ambienti” così delicati dove si percepisce anche l’incantesimo dei miti antichi, si possa violare e stuprare e cancellare ogni traccia di vestigia nel suo significato antico di “impronta”. La riflessione più amara e drammatica, è che nella violazione di Palmira il significato negazionista assuma una rilevanza più totale e allarmante.

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Questa città era il fulcro di incontri non solo commerciali, ma culturalmente transnazionali, così che nelle sue strade si potevano sentire lingue diversissime e numerose. Una città-snodo tra Occidente e Oriente, in una improbabile prospettiva di pace e prosperità, naufragata certo dalla diffidenza storica ed espansionistica delle due maggiori civiltà dirimpettaie. Ma questa è un’altra storia rispetto allo scientifico genocidio dei messaggi culturali che civiltà della stessa origine fanno emergere oggi e che tentano di occultare. È quello che ha perpetrato il terrorismo islamico che non tollera il “blasfemo” e progressista esempio di una regina, Zenobia, icona di un potere e di una intelligenza tutta al femminile. Questi individui, protagonisti e capi di orde di incolti, molto si differenziano rispetto ai combattenti delle invasioni barbariche del passato: barbari in Europa e mongoli in Persia, avevano infatti subito il fascino e la civiltà dei territori conquistati, Roma e la Persia. Per gli odierni barbari, l’importante è annichilire e trascinare se stessi e gli altri in una sorta di antistorico oscurantismo, fatto di teste mozzate e integralismo nichilista. Zenobia si spinse oltre nella sua ambizione anti-romana e nel suo stile culturale orientale e persianofilo, tanto da essere sconfitta e condotta a Roma da quei nemici che la mostrarono al pubblico acclamante, ingioiellata e dignitosissima nell’aspetto per poi trattenerla in una residenza lussuosa e confortevole nei pressi della capitale dell’Impero. I romani non toccarono l’antica Palmira che fu solo in seguito saccheggiata: ne fecero le spese il filosofo Cassio Longino e il sofista Callinico, tra molti altri funzionari e uomini di cultura della corte palmirese, sacrificati sull’altare del predominio dell’Impero d’Occidente anche in un campo che non fosse strettamente militare.

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Dunque, a questo punto, sembra quasi inutile la triste enumerazione dei templi e delle opere andate distrutte, con i loro significati simbolici, dai templi di Bel, Nabu e Baalshamin, alle tombe uniche al mondo nella loro architettura verticale, in particolare quella di Elahbel, lo spettacolare Tetrapilo, i vari colonnati, il castello di Qalaat Fakhr ad-Din ibn Maan e il teatro, praticamente intonso fino a oggi, con la sua orchestra, cavea e scena, dove sono state filmate scene di raccapricciante ferocia e inumanità esaltanti decapitazioni collettive di uomini filogovernativi. Il ricordo più solenne però, bisogna dedicarlo a Khaled Assad, il direttore del Museo archeologico di Palmira, persona colta e mite, che aveva nascosto in casa propria sculture e opere uniche dell’antico Regno palmirese. Khaled Assad si era rifiutato di confessare ai terroristi dove si trovassero le opere scomparse dal sito, come se fossero dei parenti a lui prossimi, figli o fratelli dello stesso sangue, pagando con la pena della decapitazione e della esposizione del suo volto mozzato in pubblica piazza. In realtà, quest’uomo ci ha insegnato che non si tratta di sculture o pietre o simboli ma di archetipi valoriali per cui è necessaria la difesa fino a pagare con la propria vita. Khaled Assad è un padre fondatore di questa Umanità. A me, resta solo un ricordo lucido e unico di un viaggio in Siria, terra di “tracce” che hanno lasciato dentro il senso di una vita a cui nessuno sa e può dare risposte certe e definitive. In questa cosciente condizione che ci accomuna tutti, credo, nutro la speranza di un sussulto umanissimo contro l’olocausto moderno di questa nuova barbarie contro l’Arte e la nostra coscienza.

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