Tra grottesco e sobrietà ⥀ Le ossessioni della Vita adulta di Andrea Inglese
Il romanzo di Andrea Inglese, La vita adulta (Ponte delle Grazie, 2021), è un viaggio attraverso la nevrosi della nostra contemporaneità
È il ritratto, anzi forse la foto di gruppo, d’una generazione ossessionata dal successo. Ma da un’idea di successo un po’ tossica. Niente appagamento libidico o raggiungimento di mete sognate. No, quello agognato dal nuovo ceto medio è un successo funesto, perché coincide col riconoscimento sociale che dipende dalla carriera, dalla realizzazione professionale (o in campo artistico), dall’avercela fatta ed essere a pieno titolo nella società degli adulti. Invidia, cupezza, livore albergano nel cuore di chi si pensa un fallito, per colpa di qualcosa o di qualcuno, dello stronzo che si è messo di mezzo, del nemico, dei nemici. La ricerca del successo nella propria professione è forse uno dei protagonisti di La vita adulta, nuovo romanzo di Andrea Inglese, che alla scalata, o alle giravolte, dei suoi personaggi e delle loro identità professionali dedica pagine memorabili. Indimenticabili, poiché inghirlandate di comicità, di grottesco, di satira.
Ma non è solo un romanzo che ci parla di carriere raggiunte o mancate, di ambizioni o di frustrazioni. La vita adulta è un romanzo a tutti gli effetti, sfaccettato e multi direzionale. Si parla di lavoro, sì, ma in un settore molto particolare, quello della cultura e dell’arte contemporanea, e la storia diventa un viaggio nelle metropoli che cambiano, nei costumi che si trasformano, nelle ossessioni socio-identitarie di una generazione. Scenari che fanno da sfondo a una delle tracce del libro: la soddisfazione individuale è l’unica possibilità di cambiamento. Nella giungla popolata dalle creature della nuova metamorfosi, riuscire a imporsi e ad affermare sé stessi, il proprio status o simulacro sociale, la propria individualità professionale, è il solo atto rivoluzionario percorribile.
Copertina del romanzo La vita adulta di Andrea Inglese
La vita adulta (ci ha spiegato l’autore in un commento Facebook) si inserisce in un’ideale trilogia di romanzi scollegati ma affini per temi. Ne è la seconda puntata, dopo Parigi è un desiderio, che per Inglese, tra i più attenti sperimentatori di versi e prosa poetica italiani, è anche il romanzo d’esordio. Parigi è un desiderio (2016) racconta le peripezie scapigliate, bohémiennes, erotiche di Andy, un giovane uomo che si inabissa nel ventre peccaminoso di Parigi, un Perseo allucinato da sofferenze sentimentali, in preda agli choc percettivi della metropoli, all’entusiastico abuso alcolico, schifato dalle contraddizioni dell’accademia, assetato di poesia. In La vita adulta le atmosfere cambiano. Non drasticamente, ma cambiano. L’ospite ingombrante del romanzo ora non è il desiderio della vita come opera d’arte ma, come si è detto, la dimensione lavorativa, il lavoro come realizzazione del sé, la carriera o il fare carriera o le ambizioni del fare carriera. Su un fronte incandescente, poi, quello delle gallerie e del mercato dell’arte che coi suoi connotati performativi, provocatori, narcisisti e speculativi mostra in filigrana la fragilità della sovrastruttura sociale intorno. Il lavoro culturale in campo artistico apre il palcoscenico sui più eterogenei personaggi, figuri di ventura, artisti realizzati e artisti falliti, galleristi, speculatori, e via così, nell’Arca di Noè prima del diluvio. A guidarci nella foresta dove convivono ricchezze vertiginose e pezzaculismi assortiti sono i due protagonisti del libro, che per buona parte della storia camminano in parallelo, senza toccarsi mai. Da una parte c’è Tommaso Zappa, milanese, sulla soglia dei cinquanta, redattore di una rivista, bravo critico con ambizioni nel cassetto, supplente annuale per arrotondare. Tommaso è la versione leggermente acquietata dell’Andy di Parigi è un desiderio. È un Andy un po’ più attempato, forse, che ha messo su famiglia. Dall’atra parte di La vita adulta c’è invece Nina, artista autentica, cavalla pazza nel mezzo dei suoi trent’anni. Talentuosa, pestifera, che sta al gioco dell’apparato, ma fino a un certo punto perché poi butta tutto a gambe all’aria per scatenare la sua indole ribelle. Nina, a differenza dello stralunato e quieto Tommaso, è vulcanica e vive di continui strappi, «la cui somma è sempre zero». Di lei seguiamo le gesta a Berlino, New York, e poi Milano: le istallazioni, le militanze nei collettivi artistici, la ricerca randagia di libertà che si infrange contro la cattiveria maschile: «Nina si era alla fine stancata di fare la selvaggia in mezzo ai vigliacchi» (p. 181).
La vita adulta diventa così un giro d’ottovolante nel mondo dell’arte contemporanea, vissuto con gli occhi di questi due osservatori diversi ma complementari, ribelli ma parti dello stesso circuito. Capitolo dopo capitolo, seguendo i loro passi, entriamo nelle nevrosi della nostra contemporaneità. Famiglia, relazioni, gentrificazione, conflitto centro-periferia, raffinatissime bambole di silicone dello zio single che lascia un’importante eredità ai nipoti, questioni immobiliari, ufficio stampa fai-da-te dei social media, ecologismo radicale, collettivi artistici militanti, uso di droghe, femminismo, faccendieri dell’arte, turbo-finanza, mega agenzie di comunicazione, grandi eventi, figli, erotomania, esibizioni di writers dall’«aspetto sufficientemente mefistofelico e metropolitano» (p. 269) e via così: la costellazioni di miti e mitologie del ceto medio culturale viene messa un po’ alla berlina da Inglese, che in ogni capitolo appende per le mollette e trafigge un pezzettino del nostro mondo, cosicché La vita adulta è anche un almanacco del nuovissimo immaginario. Un prato (i prati di Inglese, come in Prosa in prosa, 2009 e 2020) dove convivono misteriosamente le più divergenti pulsioni, vecchi e nuovi relitti, fiabesche e notturne ombre.
Facciamo un esempio. Ogni tanto, come da antica consuetudine, Tommaso Zappa e i suoi storici amici si rifugiano nel «Cinema notturno», un rito di quelli per ritrovarsi tutti assieme. Ci si chiude in casa e nottetempo si guardano film anomali ed estremi, i più estremi.
Esso [il Cinema notturno] poteva includerle dal B movie strapaesano con ambizioni erotiche e horror, impregnato d’inconsapevole surrealismo, a lavori di video arte realizzati da amici, che non temevano né eccessi né esibizionismi patologici (p. 140).
L’appuntamento è uno dei simboli di come Tommaso intenda la vita, anelando ad attraversarla quasi da imboscato. Sostanzialmente, la sua remissività verso il sistema è dominante. Tommaso vorrebbe solo chiudersi in una grotta «come un san Gerolamo del Bellini a sgranocchiare locuste avvolto in un lenzuolo» (p. 171), e qui riuscire a scrivere il suo grande saggio sulla iconografia novecentesca. Lui, come i simili della sua generazione, osserva il mondo attraverso una delle tante feritoie e dispone di tutti gli strumenti intellettuali per decodificarlo. Ma anche Tommaso sa che cambiarlo non si può, perché la sfida è scontata, la sconfitta sarebbe certa. Ci si rifugia allora nel «Cinema notturno», in un angolo lontano, in cerimoniali culturali voyeuristici. A un certo punto del libro paradossalmente l’inettitudine rischia addirittura di premiarlo, proprio come avviene a Zeno Cosini, che, inetto degli inetti, nella vita fa successo. Dunque anche Zappa sfiora la promozione in serie A, la sua carriera prende quasi il volo. Ma poi tutto crolla di nuovo, gli anni 2013-2015 (quelli d’ambientazione de La vita adulta) sono troppo fumantini.
E poi c’è Nina, la ragazza pestifera, la performer, la danzatrice, lei che usa come campo di provocazione il proprio corpo, la propria fisicità anche erotica. Nina è un’artista che vive nell’«anti conformismo sbandierato». In qualche modo combatte e a suon di strappi va avanti. È vivissima, sebbene anche lei inerme di fronte a certi ingranaggi inarrestabili. Nina,
«piena di sbandamenti e vicoli ciechi, di vecchi fantasmi con cui regolare i conti, e di veri e proprio capitomboli, faccia a terra, e tutto questo andamento irregolare della sua vita le dà almeno l’illusione di un’individualità forte» (p. 76).
I due si incontreranno? Si risolveranno l’uno nell’altra? Non è un romanzo rosa La vita adulta, spero si sia capito. Il plot è ricco di peripezie, passaggi e prove e scenari a incastro mentre tutto il passaggio delle cose narrate affonda con vigore le proprie radici nella parola letteraria. La scrittura di Inglese è lucidissima, sostantivi e aggettivi se ne stanno accostati in strani ossimori cosicché l’andamento della pagina è strambo ma al contempo solido e si toccano vertiginose e fulminati definizioni che trafiggono anche i lati più ombrosi e ineffabili del reale. Si cammina su un crinale, ogni descrizione è insieme estremamente analitica e contemporaneamente allucinante. E non si capisce, riga dopo riga, da che parte il vento ci butti, se sul versante del grottesco o su quello della sobrietà. L’abbraccio fra i due emisferi è sopraffino. Gli esempi potrebbero essere infiniti. Cito dal capitolo Una performance riuscita è una performance che finisce male, quando Nina decide di distruggere la sua carriera newyorkese urinando allegramente insieme alle altre sue solidali sul tavolo dei commensali accorsi per una serata a lei dedicata:
Salirono tutte in piedi sulla tavola. Avevano delle zeppe spaventosamente alte e l’operazione di per sé provocò un naturale sconquasso di piatti e cristalleria. Nina balzò sopra per ultima e diede il segnale. Dieci carismatiche donne di spettacolo, strafottenti ed esaltate, si trasformarono in altrettante pisciatrici, tutte maschilmente in piedi e dirigendo il getto con maestria, perpendicolare o a parabola (p. 248).
Oppure spostiamoci sul finale del libro, mentre Nina e Tommaso sono vicinissimi. Come finirà? Ma potremmo andare avanti all’infinito:
Lui non è invadente né forza il corteggiamento, lei potrebbe persino prendere l’iniziativa; lui è sposato, ma lei è stata una rinomata libertina – vincoli altrui o propri non devono certo impressionarla – lui, se ne avesse la possibilità, le garantirebbe un trattamento di grande altruismo libidico, ossia si lancerebbe in ampi e variopinti preliminari per condurla a un orgasmo possente; lei è una tipa notoriamente disinibita e – anche se ciò comporta per lui un fattore ansiogeno – dovrebbe essere in grado di cogliere l’attimo di abbandono carnale senza bizantine ritrosie (p. 333).