L’acqua tende alle rive. Il primo libro di Rossella Or
Pubblichiamo di seguito una selezione di testi, a cura di Claudio Orlandi, estratti da L’acqua tende alle rive di Rossella Or e un estratto dalla postfazione di Carlo Bordini.
Vi ricordiamo che oggi giovedì 28 novembre, alle ore 18, si terrà a Roma presso la libreria Empiria (Via Baccina, 79) la prima presentazione del volume. Interverranno, con l’autrice, Cetta Petrollo, Carlo Bordini, Beppe Sebaste e Giorgio Patrizi.
Be in
Ho dormito in una spiaggia piena di sabbia
vuota, guardavo da vicino un porto vuoto, e un motivo
sonoro ricorrente, modulava nell’ordine le nuvole
nei volti, dei voli le parole, come la grafica
delle migrazioni stagionali, nell’aria folle
il sospetto di diverse volontà assassine,
nell’ordine del tempo, le distanze e nel ginocchio
dell’amore, la sua schiena sfidava la montagna
che le più bianche gambe ignare nel sentiero,
conduceva alla cima, lassù del vapore, della cenere
della sabbia rovente del primo mattino, e una larvale
confessione, catapulta fatale la fine dell’azzurrità
e una discesa fino alla fine della luce alle case piatte minori
raccoglievano le forze, le carezze della sabbia incontrate
nelle pause del sole, e di mandorle spezzettate alla fame
fame, alla fame di nuovo, altro azzurro a morire
nella carne stellare, un definirsi dei profili cerca
la misura più contratta del definirsi, una misura
del passaggio al presente, che può solo affondare nel desiderio
Le sponde marine assorbono un contrasto senza memoria,
lasciano alle stesse sponde, l’improbabilità del contorno
che segue come le rive, la presenza dell’amore che non si consuma
selvatica offerta di frutto reciso al buio, del fuoco improvvisato
della dimora brillava come stupito delle stelle l’infinito
cadente nella memoria delle stelle nell’acquaio di Bach
Che alla lettera vocale del suo fianco, annulla le distanze
modulari, accorre in tempo vocale a coniugare
il possibile be in
Per Saffo
Le onde roche s’infrangono sull’isola
sulle rocce, all’ombra dei millenni
compagna che percorre a piedi nudi
le distanze verdi, e guida i cori
delle grida delle giovani al profeta
della luna piena testimone,
nella sua finale stagione, alla sussurrata
fine dei canti, lambita dall’orlo
dell’acqua, per ora immobile delle caviglie
guarda al passato, un ramo di corallo nelle ciocche
dei capelli, trattenute nel seno dei ricordi
il profilo della notte deserta, la cetra
dei toni spenti, lungo il più lungo pomeriggio
dell’altro uomo, che voltato di schiena
non si volge al suo ultimo richiamo,
e inondata la sua tunica pesante
d’acqua di sale, la riporta al largo
la flessibile parola, la composizione parola
sui resti, scagliata all’alba
della sua morte, annegamento
Nel lago delle figlie
Nell’amarezza del lago, il dorso delle figlie
sposta l’asse dal centro del mirino,
il loro carico d’istanti di precisione,
e delle gare, la linea sulla frazione oltrepassata
del traguardo, tutte le cellule nella corrente
del chiaroscuro, al confronto parlato
che la notte nell’aria converte,
al confronto con le nebulose dei vinti
la notte non terrena, e senza un turno
cede le parole consentite.
Solo il tempo di spegnere il fuoco
sul disordine simbolico, le garze sulle cose
senza nome, del sangue senza nome nell’acqua piovana
la pozzanghera dell’unico giocattolo.
L’immaginazione finita nelle lanterne,
la povertà affluente al fiume, con la giacca
sull’erba, solo il tempo di slegare
un passo nella corrente, solo il tempo
Commiato
Per Simone
Nell’ora finita nel loro palazzo
di penitenza singolare, le bottiglie rotolano
vuote, nel centro lontano della notte
E nell’aria di resina, la sua solitudine
di profilo, con una metà in ombra e l’altra metà
in luce, così sono illuminati i pianeti
lento, lasciava che i suoi soli passi
lo allontanassero da questa notte oh del corpo
umano, sospesa su scale di corda, di foglie
sospesa sull’acqua azzurra del ponte dei sospiri
singolare vittima del cuore della penombra
Il lutto, è un cibo a base di sole, zucchero
e polvere, che annega nella scienza del mare
nell’acqua sporca, la moda muore giovane
poi si disorienta nella strada di ritorno,
e dal mare, tutte le onde e le lune respinte da Lesbo
l’amaro che raggiunse la sua stanza in fondo,
l’amaro del suo ricordo più pulito
questo momento non è morto, si nascose
solo, dentro la custodia del vetraio.
Il fiorista
Solo dei simboli fatti a mano,
nel ciclo di una stagione eventuale
la somma dei momenti, del suo difficile sì
per la sesta vita, che un talismano
dimorava avanti tutti gli aspetti abbandonati,
dei papaveri che il fiorista schiaccia tra i fogli
un’orazione per la pazienza civile, costante
nel pensiero costante, una natura del nervosismo
orale, terrestre, se non corale delle notti
che ha legato i minuti, alle fontane di vetro soffiato
nel recinto di questo giorno magnetico canto,
che lega le mani di corallo alla schiena,
nel suo tono senza fuoco, invernale,
Che assicurava l’ultimo resto del suo tulle,
all’afa che si disfa nell’acqua della primavera
nel dormiveglia replay, circondato dalle parche
nell’acqua piovana di una stagione al piano alto
delle biblioteche, un’ombra rincasata dai recinti
in seno muliebre, lontana, separata in questo
dal falso negativo, positivo del suo sosia
domanda sillabata per una pace nel deserto
l’incondizionato al parlarsi fa sue le veci.
Il surrealismo dolce di Rossella Or
Un estratto dalla postfazione di Carlo Bordini.
Rossella Orecchio, in arte Or, nasce come attrice. E’ stata protagonista dell’avanguardia teatrale romana degli anni ’70; ha lavorato con Memè Perlini, Simone Carella, Giuliano Vasilicò, Giorgio Barberi Corsetti, Leo De Berardinis, Mario Prosperi, ottenendo un immediato e notevole successo, e ha successivamente iniziato una serie di lavori in proprio di rara intensità, con recupero della parola, di cui ha curato, anche, testo e regia. Di lei ha scritto qualche anno fa il critico teatrale Nico Garrone, a proposito di un suo spettacolo: “Rossella, se venisse a patti con il galateo della rappresentazione, sarebbe una straordinaria Figliastra, o la delirante Contessa dei Giganti della Montagna. Ma ieri sera ci ha fatto pensare, o sognare, a qualcosa di più: ad un immaginario incontro nell’aldilà tra i fantasmi di Eleonora Duse e di Antonin Artaud.”
Non va dimenticatala sua attività come attrice cinematografica; tra l’altro è stata protagonista perfetta del film “Estate romana”, l’ultimo film underground di Matteo Garrone.
La rottura del mondo incantato dell’avanguardia teatrale degli anni ’70, che ha provocato molti drammi e detriti, l’ha portata successivamente a un isolamento punteggiato di spettacoli poveri ma sempre di grande intensità; quello che voglio sottolineare in questa sede è che da questo isolamento è nato un continuo lavoro di scrittura di cui questo libro rappresenta soltanto la punta di un iceberg.
Come nelle isole si trovano animali e piante che non si trovano altrove, Rossella, essendo rimasta isolata per tanto tempo, ha un linguaggio assolutamente originale che non ha nulla a che vedere col poetese di qualunque tipo. Nonostante il suo isolamento (o forse proprio per questo) è una voce originale e profonda della poesia femminile italiana contemporanea; femminile in senso descrittivo, non limitativo, giacché la poesia femminile ha, nel quadro della poesia contemporanea italiana, un livello spesso più elevato di quello della poesia maschile.
Rossella ha un linguaggio alto. E’ una pronipote del surrealismo che predilige però un tono classico. Questo intreccio paradossale è il suo fascino, che determina anche il tono malinconico-drammatico che caratterizza le sue poesie. Nulla in lei è realistico, o è psicologismo, tutto è sogno. Un sogno surreale ma pieno di coscienza. Bisogna marcare delle differenze. Non esiste mai in lei né il gioco, né la comicità, né la satira. Il sarcasmo feroce del movimento surrealista le è estraneo. La satira prende di mira una realtà che si vuole irridere; Rossella non irride, per lei non c’è una realtà da irridere, perché l’unica realtà è il suo mondo, il mondo che abita.