«Barare» al poker del canone: un futuro d’azzardo per Lamberto Pignotti e per il Gruppo 70 ⥀ La Punta della Lingua 2022
In occasione dell’esposizione di alcune opere di Lamberto Pignotti, pioniere della Poesia visiva, domenica 19 giugno nella cornice de La punta della Lingua, una breve analisi storico-letteraria
Assimilata ormai la lezione di Propp, venute in uggia fiabe stantie e fate dozzinali,
non si tratta solo di cambiare gioco, si tratta di cambiare le regole del gioco,
ed è meglio anzi sedersi a un altro tavolo da gioco.
Scavalcando pregiudizi e barriere di interdizioni può essere proficuo barare al gioco1.
Facciamo finta, con un bluff storiografico, che il Gruppo 70 sia entrato nel canone scolastico nazionale. Lo studente di quinta superiore apre il manuale, con gli occhi dell’ideologia a cuoricino congeda il Gruppo 63 e s’imbatte poi nei resoconti di Arte e comunicazione (1963) e di Arte e tecnologia (1964) – i primi e fondativi convegni organizzati al Forte Belvedere. Sfogliando le pagine di questo manuale incantato (che, per proseguire nell’utopia onirica, è riccamente illustrato e colorato), incappa pericolosamente nelle tavole di Lamberto Pignotti, Eugenio Miccini, Lucia Marcucci e Ketty La Rocca. Tra i languori prandiali e gli sbadigli del precedente semestre (la lezione di storia dell’arte, si sa, cade sempre all’ultima ora), lo studente aveva già immagazzinato qualche nozione sui collage cubisti e dadaisti, e si sforza ora di squadernare analogie e differenze tra i ritagli di giornale incollati da Kurt Schwitters e le «poesie visive» del Gruppo fiorentino. Ma l’autentica sorpresa che il liceale (ideale) proverebbe di fronte a questo manuale (ideale) dipende, in realtà, da un senso più immediato di rispecchiamento e di scandalosa modernità che questi materiali trasmettono a un osservatore degli anni Zero.
Quali sono i motivi e le concause che possono provocare un simile ‘effetto di presentificazione’? Nonostante la rapidità auto-cannibalistica delle innovazioni tecnologiche che si stanno avvicendando negli ultimi decenni, la riflessione sui nuovi Media – e sulle immediate ricadute (comunicative e ideologiche) dei codici pubblicitari, matematici o di programmazione – sembra attestarsi ancora al mantra di Marshall McLuhan («il medium è il messaggio»). Peccato che «medium», «messaggio» e mondo non siano più quelli del 1964 – in particolare, con l’accelerazione digitale impressa dai protocolli pandemici.
Se un’impressione di rigattierato vintage accompagna le riletture di svariati manifesti e documenti generazionali su automi, post-umano, robot e fantascienza sociale, alcune dichiarazioni teoriche del Gruppo 70 – in particolare, quelle firmate da Lamberto Pignotti – sembrano avanzare fino a noi con una freschezza quasi inquietante, da botulino epistemologico. Prendiamo in considerazione, ad esempio, Il Supernulla, la raccolta di saggi di Pignotti uscita per l’editore Guaraldi nel 1974 (con il curioso sottotitolo para-sanguinetiano Ideologia e linguaggio della pubblicità). In questa miscellanea di socio-semiotica della letteratura si parla spesso di una «comunicazione in scatola», della «frase che ci troviamo già versata sulla lingua» dalle mani paternalistiche del potere2. La vivacità degli scritti di Pignotti è data, in particolare, dalla scelta di spostare la diagnosi dalla descrizione degli effetti (il mondo come distesa di simulacri e artificio-di-artifici) alla provocazione degli esiti (politici e, soprattutto, linguistici). Vengono evocati, sì, «i sogni miniaturizzati, le nozioni a pacchetti, la bellezza liofilizzata, il genio di serie, le idee surgelate3», ma il gesto di mostrare l’aberrazione delle merci si accompagna alla necessità di di-mostrarne le cause concrete. Ad esempio, sottolineando il fatto che «la gestione dei linguaggi di massa» non sia affatto una «gestione pubblica» ma appartenga a quella stessa «minoranza privilegiata» che detiene i mezzi di produzione4. In questo senso, il «passaggio dal “naturale” al “confezionato”» coinciderà simmetricamente con il «passaggio dal pubblico al privato»5. L’artificio della comunicazione (nel suo portare l’immagine a saturarsi per diventare réclame di vendita e di accumulazione) è inserito nello stesso circuito chiuso che interessa le altre merci (e i lavoratori-merci). Il linguaggio dell’intellettuale e il gesto creativo dell’artista non possono sognarsi ‘puri’ e incorrotti, a patto che gli operatori culturali non vogliano «comportarsi come gli elettricisti che operano sugli impianti di illuminazione senza sapere cos’è la luce»6.
Il tentativo del Gruppo 70 è stato quello di incapsulare la ‘parola del padrone’ (o meglio, la sua effigie grafica e pubblicitaria) spostando la denuncia all’interno della superficie artistica e servendosi dell’iconografia mediale (tanto a livello di parole-slogan quanto di immagini-vetrina) come di un «neo-volgare» di massa7. Il rimosso e il residuato della comunicazione prêt-à-porter vengono risemantizzati e «dirottati» al mittente originario8, in un processo di riconversione estetica che presenta due vantaggi indubitabili: fare i conti con la catena di montaggio linguistico e, allo stesso tempo, sabotarne il nastro trasportatore sovraccaricandolo di messaggi stranianti, ossimorici, pervertiti. Un simile smascheramento per via di boicottaggi minimi ma sostanziali comporta una reazione inizialmente dissociativa nell’osservatore, stimolato a riconoscere (con snobistico fastidio) i messaggi patinati della pubblicità – con la sensazione sgradevole che siano collocati fuori posto, nello scaffale sbagliato della nobile letteratura e dell’elegante attività creativa. Il Gruppo 70 insisterà precisamente su questo effetto di reversibilità tra letteratura e propaganda, rivendicando per le poesie visive «un nuovo tipo di fruizione. Non contemplatele, posto che ciò vi salti in mente […]. Sfogliatele come fate con le notizie politiche del nostro giornale […]. Vi potrà capitare per esempio di imbattervi in poesie visive (o quasi) guardando un cartellone pubblicitario, o una copertina di un rotocalco, o la pagina di un fumetto»9. Attenzione, però, a non ricavare da questo assunto una sfiducia cinico-postmoderna nei confronti della poesia e della sua (im)possibilità d’azione: al contrario, Pignotti presenta ai lettori del futuro forse l’ultima sfida di riappropriazione umanistica di un codice (e di un immaginario) che sta sfuggendo al controllo degli uomini – e, soprattutto, di quegli anticipatori del pensiero che dovrebbero essere i poeti. «I poeti visivi si meravigliano della naturalezza della tecnologia», asserisce Pignotti, «e cercano di capirla, di darle un ordine, di interpretarla. Così nella poesia visiva trovate la frase fatta, lo slogan, la foto della diva, l’auto di serie, il volto dell’uomo politico, il fumetto. Copia, trapianto, citazione? No […]. I pezzi del mondo tecnologico vengono smontati, classificati, ricostruiti, rovesciati»10. Il poeta tecnologico si trova, per paradosso, a vestire i panni dell’archeologo futuribile, che deve portare in salvo il vaso della comunicazione rompendolo in mille pezzi – e ricostruendolo poi al contrario, sostituendo il manico con l’orlo, il guscio decorativo con l’interno funzionale.
Se la militanza interdisciplinare sembrerebbe l’aspetto più vistosamente attuale del Gruppo 70, in realtà è la prospettiva ideologica da cui si sceglie di guardare lo spettacolo verbo-visivo che può e deve intercettare i lettori di oggi. Una «dialettica interartistica e interdisciplinare consapevolmente ideologizzata»11, insomma, e non una giustapposizione vuotamente avanguardista di tasselli iconici e verbali: le immagini devono essere mitografie collettive, le scritte didascalie del presente. Come dichiarerà Pignotti in una delle interviste collezionate da Ferdinando Camon nel Mestiere di poeta, quando lo stile letterario «assume il metodo e le caratteristiche delle comunicazioni di massa, allora è possibile, al limite, che questo stile incida anche sui tempi brevi»12. Il Gruppo 70 è un movimento d’attualità, in fondo, perché non promette ai posteri ciò che non può promettere ai presenti.
Oltre al vitalismo della denuncia (e dei contravveleni empiricamente proposti) nella fase storica degli anni Sessanta e Settanta, Pignotti ha continuato – e continua – a portare avanti la sperimentazione, a interrogarsi sul presente ‘aggiornando’ progressivamente il proprio software poetico. Se le griglie della settimana enigmistica diventano il nuovo supporto grafico su cui ‘appoggiare’ – con la grazia di un ordinatissimo caso – le iconografie del contemporaneo, il poeta sceglie di recuperare la forma-rebus (ormai ‘tradizionale’ negli ambienti neo- e neo-neoavanguardisti) ma programmando degli indovinelli senza risposta e senza soluzione. A conclusione di un saggio risalente al 10 maggio del 2021, Pignotti affermerà che «nonostante il mio DNA sia quello di un dissacratore, da tempo rodato, mi compiaccio che il mito resti tale, che il mistero resti tale, che l’enigma resti tale. Anche se la Pizia o la Sibilla Cumana mi fornissero soluzione in proposito non ci crederei […]. Non vorrei mai e poi mai sapere, anche se Dante redivivo me lo venisse a svelare, cosa vuol dire “Papè Satan Aleppe”»13. Eppure, tra le lettere incomplete degli ultimi cruciverba di Pignotti, il critico-lettore intravede una soluzione quantomeno storiografica: alla definizione su quale sia il tempo del Gruppo 70 (19 lettere), possiamo segnare con la matita «ilpresentedelfuturo».
Note
1 Lamberto Pignotti, Parole da vedere, immagini da leggere, in Da un’altra galassia, Bertoni Editore, Perugia 2022, pp. 5-8: 5.
2 Lamberto Pignotti, Il Supernulla. Ideologia e linguaggio della pubblicità, con il contributo di Omar Calabrese, Guaraldi, Rimini-Firenze 1974, p. 8.
3 Ivi, p. 33.
4 Ivi, p. 8.
5 Ivi, p. 20.
6 Lamberto Pignotti, Nuovi segni. Catalogo di modelli culturali e artistici in trasformazione, con un contributo di Egidio Mucci, Marsilio, Padova 1973, p. 29.
7 Lamberto Pignotti, La poesia nella società di massa: il «neo-volgare», la «super-avanguardia» e la «poesia visiva», in «Arte e poesia: rivista di arte e poesia contemporanea», III, 11-14, 1971, pp. 128-137: 134.
8 Lamberto Pignotti, Il Supernulla, cit., p. 100.
9 Ivi, p. 103.
10 Ibidem.
11 Ivi, p. 121.
12 Ferdinando Camon, Il mestiere di poeta, Lerici, Milano 1965, p. 205.
13 Lamberto Pignotti, Parole da vedere, immagini da leggere, cit., pp. 7-8.