Breve panoramica su letteratura e cinema degli immigrati in Italia
Il fenomeno delle migrazioni influenza non solo l’economia, la politica e la società ma anche la cultura e l’immaginario dei paesi in cui si stabiliscono i migranti, da sempre. Nelle arti visive, nel teatro, nella letteratura e nel cinema italiani vi sono artisti e opere condizionate dal fenomeno migratorio, sia perché affrontano questo tema, sia perché gli artisti possono essere essi stessi migranti.
A detta di Armando Gnisci, fra i primi e più attenti studiosi della letteratura migrante, essa va inquadrata in un processo di meticciato culturale, cioè di mescolanza che si può indicare come «via della decolonizzazione reciproca» o «via della creolizzazione», come sostiene nella Prefazione al saggio Nuovo Immaginario Italiano. Italiani e stranieri a confronto nella letteratura italiana contemporanea, a cura di M. Cristina Mauceri M. Grazia Negroi (Sinnos Editrice, Roma, 2009).
In questo mio intervento* offrirò una breve panoramica della letteratura e del cinema migranti, che in Italia nascono nel momento in cui il fenomeno migratorio diventa storicamente più significativo, cioè dal 1990 in avanti.
1. Date e dati dell’immigrazione in Italia
Partiamo quindi dalle date, dai numeri e dalle fonti, perché è necessario inquadrare storicamente il fenomeno per capire come esso abbia potuto influenzare l’immaginario. Inoltre, è solo con le cifre alla mano che si può sviluppare lo spirito critico, smontando allo stesso tempo stereotipi, pregiudizi o, come le chiamano i francesi, le idées reçues che circolano sugli immigrati.
Secondo lo studio Chiavi di lettura storica dell’immigrazione in Italia, a cura del Centro Studi e Ricerche Idos della Caritas, l’immigrazione più consistente è iniziata con la “legge Martelli” (39/1990), che regolava organicamente l’immigrazione, ridefiniva lo status di rifugiato, introduceva la programmazione dei flussi dall’estero, precisava le modalità di ingresso e respingimento alla frontiera e il soggiorno in Italia. L’immigrazione, secondo lo studio dell’Idos, iniziò «a ritmi piuttosto blandi nella prima metà degli anni ’90 e più significativi nel quinquennio successivo, quando il superamento della “cortina di ferro”», cioè la separazione fra blocco dei paesi capitalisti e blocco sovietico, e l’abolizione delle leggi rigide sulla mobilità, nei paesi dell’ex blocco sovietico, «hanno reso possibile la scelta di emigrare. Ma la grande crescita si è avuta solo all’inizio degli anni Duemila, quando sono stati aboliti i visti per brevi periodi e i candidati all’espatrio, specialmente romeni, ne hanno approfittato per trattenersi in Italia, inserendosi nel mercato del lavoro informale.»
Il fenomeno ha assunto proporzioni tali che l’Italia è passata da meno di mezzo milione di stranieri residenti nel 1990 a 5 milioni nel 2010, quindi è ormai da considerarsi una società multiculturale.
Le società multiculturali sono complesse, generano tensioni che sfociano spesso nella ricerca del capro espiatorio, quindi vanno interpretate con lucidità. Servono innanzitutto i dati. Ogni anno la Caritas li fornisce in un Dossier Migrazione, che dovrebbe essere consultato da chiunque voglia formarsi un’opinione fondata sul fenomeno migratorio. Il Dossier Migrazione 2016 permette di sapere che, a fronte di poco più di 5 milioni di stranieri residenti nel 2015, cioè l’8,29% della popolazione italiana, gli stranieri intercettati dalle forze dell’ordine in condizione irregolare sono stati 34.107 (dati del Ministero dell’Interno), cioè lo 0,05% della popolazione, mentre i richiedenti asilo in Italia sono all’incirca 84 mila, ovvero poco più dello 0,1% della popolazione (dati Eurostat, in Dossier Migrazione 2016). Quelli degli irregolari e dei rifugiati sono dunque numeri irrisori rispetto a come il fenomeno viene percepito dai cittadini comuni: non siamo infatti di fronte a nessuna “ondata” di immigrati di cui parlano i media e i partiti che invocano più sicurezza. Il solo Libano, che è grande poco più delle Marche e non arriva neanche a 5 milioni di abitanti, nel 2015 ospitava oltre un milione di rifugiati siriani (dati UNCHR, www.unhcr.it, 23 ottobre 2015).
Altro stereotipo che i dati aiutano a demolire: molti pensano che gli stranieri residenti in Italia provengano soprattutto dall’Africa, ma non è così. Stando al Dossier Migrazione 2016, dall’Africa proviene appena il 20,6% degli stranieri residenti, più o meno quanti ne provengono dall’Asia (19,7%), mentre la maggior parte (52,1%) sono Europei. Degli stranieri residenti il 22,9% provengono dalla Romania (prima comunità di stranieri residenti in Italia), dall’Albania il 9,3% (seconda), dall’Ucraina il 4,6% e il 2,8% dalla Moldavia. La terza comunità più numerosa in Italia è costituita dai Marocchini: sono l’8,7% degli stranieri residenti. Seguono al quarto posto i Cinesi (5,4%), al sesto i Filippini (3,3%), al settimo Indiani (3,8%), al nono i Bengalesi (2,4%) e il decimo gli Egiziani (2,2%). Fra le prime dieci comunità di stranieri residenti in Italia, dunque, solo i Marocchini e gli Egiziani provengono dall’Africa.
Infine, un altro dato che aiuta a riflettere, soprattutto chi dice che gli stranieri in Italia sono troppi: gli Italiani residenti all’estero, che sono 5 milioni 202 mila (dati IDOS), equivalgono, all’incirca, al numero di stranieri residenti in Italia. Gli stranieri residenti in Italia sono tanti quanti sono gli Italiani che risiedono da stranieri in altre nazioni.
Occorre quindi gettare uno sguardo al resto del mondo. L’aumento delle migrazioni a partire dal 1990 riguarda il mondo intero: i lavoratori migranti sono 232 milioni, il 50% in più rispetto al 1990 (dati ILO 2015). L’Italia è parte integrante di un fenomeno mondiale, quindi, sia per numero di immigrati, che di emigrati.
2. La letteratura migrante
Ed è proprio dal 1990 al 2010 che in Italia si è sviluppato quel fenomeno chiamato letteratura migrante, consacrata dal convegno internazionale “Leggere il testo e il mondo. Vent’anni di scritture della migrazione in Italia”, tenutosi nel 2010 a Bologna e coordinato da Fulvio Pezzarossa, docente di Sociologia della Letteratura all’Università di Bologna.
A cavallo di Novecento e Duemila si è quindi imposta in Italia una letteratura prodotta da autori stranieri residenti in Italia, che hanno scelto l’italiano come lingua letteraria. Il fenomeno ha originato corsi universitari, festival, premi, collane e rubriche dedicate nei maggiori media nazionali.
In un saggio del 2010, pubblicato nel numero 3 della rivista «Prisma. Economia società lavoro» dell’Ires Cgil Marche e reperibile online nel sito www.academia.edu, ricostruivo la storia della letteratura migrante e analizzavo quattro opere emblematiche, corrispondenti alle sue diverse fasi: Immigrato di Methnani e Fortunato, esemplare della fase aurorale; La straniera di Younis Tawfik, spartiacque; Scontro di civiltà per un ascensore a piazza Vittorio di Amara Lakhous, opera letteraria compiuta; Caduta libera di Nicolai Lilin, campione della fase industriale. I cosiddetti scrittori migranti, in realtà, sono molti di più e una bibliografia parziale, ma ricca di dati e link alle opere reperibili in biblioteca si può trovare nel sito della Biblioteca Salaborsa di Bologna: http://www.bibliotecasalaborsa.it/bibliografie/8012
Dal 2010 a oggi qualcosa è cambiato, però. Come spesso accade, in effetti, quando un fenomeno viene storicizzato, specie in ambito accademico, come avvenuto con il convegno “Leggere il testo e il mondo”, significa che ormai appartiene alla storia. Non è un caso che nel 2013 abbia interrotto le pubblicazioni il blog nuovitaliani.corriere.it di Alessandra Coppola, che al suo esordio, nel 2010, magnificava il fenomeno della letteratura della migrazione o del doppio sguardo. Nel 2014 è uscito l’ultimo numero della rivista «Sagarana», fondata nel 2000 dallo scrittore di origine brasiliana Julio Monteiro Martins. Resistono la rivista «Scritture migranti» (Mucchi Editore), nata nel 2008, diretta dal prof. Pezzarossa, giunta al n. 8, e la rivista online «El-Ghibli», fondata nel 2003 da un gruppo di autori stranieri e diretta da Pap Khouma. L’evaporazione della letteratura migrante è stata sancita dallo stesso Pezzarossa in vari interventi fra cui il saggio Al finire di esigue narrazioni. («Between», Università di Cagliari, 2015).
Del resto, fra gli stessi scrittori migranti, c’era già chi si opponeva all’etichetta di letteratura migrante. Nel 2010 Igiaba Scego, scrittrice di origine somala, cresciuta in Italia dall’asilo al dottorato, collaboratrice di varie testate, fra cui il settimanale «Internazionale», affermava, a proposito della letteratura migrante: «Anche nei dipartimenti di italianistica sta cadendo il muro che impediva di considerarla letteratura italiana e basta. È triste essere costretti a ribadire qualcosa di scontato: che facciamo parte di questo Paese».
Che l’integrazione in effetti stia avvenendo? Alcuni indizi lasciano pensare che gli scrittori migranti non siano più identificati come tali. La rubrica “Italieni”, tenuta nel settimanale «Internazionale» da Igiaba Scego, Tahar Lamri e altri scrittori migranti, è stata sospesa dopo il 2010 e oggi Italieni è il titolo della rubrica di recensioni di corrispondenti stranieri a libri e film di scrittori e registi italiani. E Igiaba Scego non è più confinata in una rubrica a parte, ma è una delle tante opinioniste che ha una propria rubrica di recensioni nel settimanale. Infine, per citare un altro caso emblematico, nel 2014 Adrian Bravi, scrittore di origine argentina residente a Recanati, ha vinto il Premio nazionale di narrativa Bergamo con il romanzo L’albero e la vacca (Feltrinelli / Nottetempo, 2013), battendo lo scrittore italiano Antonio Moresco.
3. Il cinema migrante
Per il cinema si potrebbe fare un discorso analogo, ma anticipando che in questa arte l’apporto di autori stranieri è ancora quantitativamente meno rilevante rispetto alla letteratura. Dall’osservatorio di Corto Dorico, film festival dedicato ai cortometraggi e ai “Salti in lungo”, cioè ai primi lungometraggi di autori che provengono dal mondo del corto, ho potuto osservare, da organizzatore, le opere di alcuni esponenti del cosiddetto cinema migrante: autori stranieri che girano i propri film in Italia o in coproduzione con l’Italia.
«Così com’è successo nel campo della letteratura, negli ultimi anni – sostiene Alessandro Jedlowski nel saggio L’emergenza di forme di cinema migrante in Italia – la cinematografia italiana ha visto emergere e consolidarsi il lavoro di una serie di registi di origine africana, la cui voce, le cui modalità espressive, le cui storie ed esperienze sono lo specchio di una nazione che, anche se stenta ad ammetterlo, sta cambiando a grande velocità» (in Camera Africa: Classici, noir, Nollywood e la nuova generazione del cinema delle Afriche, a cura di Vanessa Lanari, Fabrizio Colombo e Stefano Gaiga Cierre Edizioni, Verona 2011). Uno degli autori citati da Jedlowski, Hedi Krissane, ha vinto Corto Dorico 2009 con Ali di cera. In L’Africa in Italia. Per una controstoria postcoloniale del cinema italiano Leonardo De Franceschi e altri ricostruiscono la storia degli autori Tarek Ben Abdallah, Rachid Benhadj, Kim Bikila, Mohamed Challouf, Eriq Ebouaney, Fred Kuwornu, Dagmawi Yimer, del videoartista Theo Eshetu, dell’attrice Esther Elisha e dell’attore Ahmed Hafiene, tutti di origine africana e in qualche modo legati all’Italia. Nel 2010 Corto Dorico ha ospitato un Workshop di Fotografia di Tarek Ben Abdallah.
Da anni riceviamo opere di autori stranieri residenti in Italia o in transito, come i due iraniani Aliasghar Behboodi, laureatosi in cinema a Roma 3 e trasferitosi in Italia, autore del corto Yek Rob’ (un quarto), semifinalista a Corto Dorico 2014, e Ali Asgari, anch’egli studente a Roma 3 e ora residente a Parigi, autore dei corti More than two hours, vincitore di Corto Dorico 2013, La bambina, finalista a Corto Dorico 2014, e Il dolore, semifinalista nel 2015. Fra i vincitori di Corto Dorico 2014 troviamo anche, con il corto Hassan in wonderland, Ali Kareem, regista di origine irachena che vive in Germania e collabora con realtà italiane.
Tuttavia, non mi sembra che letteratura migrante e cinema migrante siano allo stesso livello, né per numero di autori né per livello di presenza di registi migranti nell’industria cinematografica, rispetto ai loro omologhi scrittori nell’industria editoriale.
Fra i registi di lungometraggi sono ancora rarissimi, infatti, i casi di autori stranieri, per cui il fenomeno del cinema migrante resta al momento relegato per lo più al mondo del cortometraggio e al circuito dei Festival, fra i quali alcuni, almeno una decina, si occupano di cinema dei migranti o includono sezioni dedicate al cinema migrante.
Un discorso a parte invece merita il cinema sui migranti. Partendo dal nostro piccolo, nelle edizioni 2015 e 2016 di Corto Dorico, per tacere delle precedenti, il fenomeno delle migrazioni è stato al centro di un appuntamento speciale, collegato al Premio Amnesty International Italia per i Diritti umani e da noi organizzato in collaborazione con il Liceo Galilei di Ancona e, il primo anno, con l’Ombudsman Marche.
Nel 2015, durante l’iniziativa Il cinema per i diritti umani. Dai Balcani all’Hotel House, abbiamo potuto ammirare degli estratti del documentario di Giorgio Cingolani e Claudio Gaetani Homeward bound. Sulla strada di casa, ispirato alla vita di alcuni giovani dell’Hotel House di Porto Recanati, dove vivono migliaia di migranti, e diversi cortometraggi in gara, a tema migrante, dal vincitore del Premio Amnesty, Prigionieri 2014. Fuga dall’Isis (Italia, 2014, 20 min.) di Giuseppe Ciulla e Cristina Scanu, reportage sul gruppo terroristico all’origine di una consistente parte delle migrazioni dal Vicino Oriente, al corto A new family (Italia, 2015, 16 min.) di Simone Manetti, menzione speciale Amnesty, che descrive una di quelle situazioni disperate in cui versano molte delle donne che decidono di emigrare dai propri paesi, passando per Monte Gourougou (Italia, 2015, 10 min.) di Bruno Rocchi (visibile su YouTube), su una delle zone chiave di transito dei migranti dall’Africa all’Europa, e Le frère que je n’ai jamais connu (Italia, 2015, 19 min.) di Silvia Ferretti e Yuki Bagnardi, sulle tragiche conseguenze familiari di una migrazione forzata all’interno dell’Africa. Si tratta di cortometraggi sui migranti realizzati da autori italiani. Così simili per la loro durata ai servizi telegiornalisti, essi consentono di entrare per alcuni minuti nella vita di alcuni di quei migranti che nei telegiornali vengono ripresi solo fugacemente.
Nel 2016 Corto Dorico e Amnesty International hanno una serata aperta al pubblico e un incontro riservato alle scuole dal titolo “A Corto di Diritti”. I cortometraggi selezionati per l’occasione sono stati il vincitore del Premio Amnesty Irregulars di Fabio Palmieri (Italia, 2015, 9 min.), che gioca su un parallelismo fra manichini trasportati in una fabbrica e i corpi dei migranti; Penalty di Aldo Iuliano (Italia, 2016, 14 min.), su una partita di calcio diversa dalle altre; My Friend Mamadou di Carlotta Miceli Bonacci (Italia, 2015, 7 min.), sui richiedenti asilo; Respiro di Andrea Brusa e Marco Scotuzzi (Italia, 2016, 8 min.), sulle morti in mare; Break The Siege di Giulia Giorgi (Italia, 2015, 20 min.), sulla resistenza artistica palestinese; Border di Paolo Zucca (Italia, 2016, 1 min.), una rilettura straniante della foto-simbolo del bambino curdo Aylan trovato morto nel 2016 sulla spiaggia Bodrum, in Turchia, e Lurna di Nani Matos (Spagna, 2016, 15 min.), sulla tratta delle donne migranti.
Dal piccolo al grande, infine. Se il cinema migrante, cioè quello realizzato da autori stranieri in Italia, non ha acquisito la dimensione della letteratura migrante, dagli anni Novanta si sono moltiplicati, però, i registi italiani che si sono dedicati al cinema sui migranti: Carlo Mazzacurati (Un’altra vita, 1992; Vesna va veloce, 1996), Silvio Soldini (Un’anima divisa in due, 1993), Gianni Amelio (Lamerica, 1994), Matteo Garrone (Terra di mezzo, 1996; Ospiti, 1998), Marco Tullio Giordana (Quando sei nato non puoi più nasconderti, 2005), Daniele Gaglianone (La mia classe, 2013) fino allo specialista del settore Andrea Segre (da Ka Drita? del 2001 a Mare chiuso del 2012, con Stefano Liberti) e in ultimo Gianfranco Rosi con Santo Gra (2013) e Fuocoammare (2015).
Ma il cinema sui migranti inizia a essere anche quello che ritrae i nuovi emigranti italiani, come ci ha ricordato, nel 2015, il film Banat, primo lungometraggio di Adriano Valerio, un autore che aveva vinto Corto Dorico 2013. Banat narra una storia di immigrazione al contrario, quella di un giovane laureato italiano, Ivo (Edoardo Gabbriellini), che per lavoro emigra in Romania. Oltre alla storia, emblematica di una nuova fase delle migrazioni in Italia, che vede gli italiani di nuovo nel ruolo di migranti, bisogna sottolineare che nel film il ruolo della protagonista, Clara, amante di Ivo, è svolto da Elena Radonicich, attrice italiana di padre slavo-tedesco e madre italiana, cresciuta nella provincia piemontese.
Per saperne di più su letteratura, cinema e altre arti che hanno come autori e/o tema le migrazioni consultare il sito governativo: www.integrazionemigranti.gov.it/area-cultura
Valerio Cuccaroni
* Il presente testo, aggiornato al 30 marzo 2017, è frutto di un intervento che ho tenuto durante la tavola rotonda “Migrazioni e migranti: dalle immagini alle esperienze di vita”, svoltasi nel Ridotto del Teatro Gentile di Fabriano, giovedì 17 marzo 2016, nell’ambito del progetto “La Costituzione in gioco. Gare di lettura della Carta Costituzionale italiana” del Liceo Stelluti di Fabriano.