L’isola tra le selve di Umberto Piersanti ⥀ Anteprima La Punta della Lingua 2025
In occasione della presentazione del libro L’isola tra le selve di Umberto Piersanti, domenica 11 maggio alle 17.30, presso la Mole Vanvitelliana di Ancona, come anteprima del festival La punta della lingua, Argo pubblica una nota di lettura che Rossella Renzi dedica a questa importante raccolta poetica
Esce per Marcos y Marcos, nei primi mesi del 2025, L’isola tra le selve che raccoglie poesie scelte di Umberto Piersanti, pubblicate tra il 1967 e il 2024, con una sezione di otto «Poesie nuove» che chiude il corposo volume.
Piersanti è uno dei poeti più noti e rappresentativi del panorama italiano contemporaneo, che dagli anni Sessanta scrive con continuità i suoi versi, navigando in un tempo concreto che nella poesia si fa mitico: sfiora la storia, personale e universale, gli anni trafitti dalla guerra, il passato e il presente, con la sensibilità e la consapevolezza di un uomo che del suo percorso ha fatto un viaggio a ritroso, alla ricerca di un approdo.
Attraverso una selezione di testi tratti dalle dieci raccolte edite, è possibile capire come la scrittura di quest’autore, che nella poesia ha sempre riversato il suo attaccamento e il suo amore per la natura, i luoghi dell’anima, le radici, possa ad ogni passaggio mutare un poco la sua forma, proprio con il mutare della percezione del tempo che scorre; mentre il poeta tenta di volta in volta di cogliere, ad ogni sequenza del vissuto, la bellezza sensuale e insieme crudele che lo segna.
Piersanti celebra la meraviglia – quella sì, tutta pascoliana – che si accende negli occhi del fanciullo, del giovane uomo e amante, del padre protettivo: ad ogni sguardo le pupille tremano, per quella smania che si insinua ad ogni età della vita. Mescola eros e sacro, che sono parte della natura e dei rapporti umani, grazie a quel sentire di un ragazzo che lentamente si fa uomo, più cosciente della sua (della nostra) fragilità, al cospetto degli scogli e delle insidie che il viaggio terreno ci propone, ad ogni suo capitolo.
L’isola tra le selve traccia un percorso nella scrittura di questo importante autore, alla scoperta dei suoi temi (la natura, l’infanzia, l’amore carnale e familiare, la madre, il padre, il figlio Jacopo) innescando nel lettore il desiderio di leggere ogni opera pubblicata nella sua interezza, per introdursi completamente nella sua officina poetica, al fine di coglierne le diverse sfumature.
Si sviluppa così un canto che dura sessant’anni, modellato sul quel tono mitico, passionale e nostalgico che rende la voce di Piersanti limpida e riconoscibile, abitata dai luoghi concreti della memoria (l’Appennino, il Montefeltro, Urbino, le cesane…), a ricordarci che stiamo viaggiando nella storia di un uomo. Storia in cui si stagliano le figure rese sacre dalla poesia, che riemergono dall’incanto dell’infanzia, con indelebile stupore:
Allora tu parlavi dalle valli
che tempo è stato,
madre, così lontano e penso
che sogno non l’uguaglia,
certo fu prima, prima della Storia,
da ogni casa e memoria,
stavi sulla cima del greppo
e scende il grano verde
fino al fosso colmo di cespi
e cento,
eri
alta come una quercia,
snella come la canna
che sopra tutte s’alza
Nella sua infanzia il protagonista assume l’aspetto di un pastore bucolico che sfida la natura, il dovere, la paura – «Io ero quel pastore col pastrano»-, portando gli agnelli tra l’erba spagna, mentre cerca di sottrarsi al tempo, premendo ancora con la sua vivace energia nel cuore del poeta adulto. Pastore che con l’età matura diviene il più leggendario dei re, solcando il mare per molti anni, per approdare alla sua Itaca, come ci rivela il bellissimo testo nella parte finale del libro, tra le «Poesie nuove», mostrandoci il senso di questo libro e della sua personale ricerca poetica. In questo nostro tempo, così fluido e inconsistente, le radici rappresentano l’approdo più sicuro, reincarnate ad ogni verso, grazie al lavorio instancabile della memoria.
Eppure in questa celebrazione della memoria c’è una storia che si sottrae alle leggi del tempo: è quella di Jacopo, creatura dolcissima che il padre chiama con la voce tremante e gli occhi attoniti e premurosi, travolto dallo sgomento che porta con sé il mistero dell’esistenza:
figlio, il tempo non ti riguarda
[…]
delle tronche parole
senza storia,
della corsa priva di compagni
solo ti ricompensa il tempo
fatto eterno
E se la vita di ogni creatura mortale procede sulla terra come una giostra, il poeta ci regala un tuffo al cuore descrivendo la giostra in cui sale soltanto Jacopo: lo osserviamo nel pieno della commozione, senza parole, perché solo il poeta, il padre con l’amore grande che lo attanaglia può osare raccontare un sentimento così profondo e tormentato:
ma nessuno che salga
sui cavalli, di legno
coi pennacchi e quella tromba
gialla, come nel libro
di letture, la musica
distante e incantata,
quella che rese altri le zucche e i rospi
[…]
Jacopo che tra gli altri
passa, senza guardare,
dondola il grande corpo
e li sovrasta,
abbracciò un cavallo
e poi pendeva
dopo riuscì ad alzarsi,
rise fortefiglio che giri solo
nella giostra,
quegli altri la rifiutano
così antica e lenta,
ma il padre t’aspetta,
sgomento ed appartato
dietro il tronco,
che il tuo sorriso mite
t’accompagni
nel cerchio della giostra,
nella zattera dove stai
senza compagni
Nonostante la mancanza che brucia ad ogni pagina, le piaghe dell’esistenza individuale e della Storia, come la guerra, le ferite e i trasalimenti, il poeta in quest’opera, come nel suo lungo viaggio nella poesia, esalta incessantemente la bellezza: nei ricordi più dolci, nelle inquiete fughe dell’adolescenza, nelle ore più buie della malattia, quando il giallo di una margherita è «segno di forza mite / della tiepida gioia / della vita».
E non ci lascia indifferenti davanti ad una viola pallida e stupita fuori stagione, di fronte ad ogni sguardo che si vivifica, ad ogni gesto che riproduce una ritualità antica, fatta di cura e di dovere. Ad ogni verso un respiro ci riconduce in quel tempo mitico, fatto di boschi, spini e rovi, carico di fierezza e dignità che solo la Poesia di un grande maestro può eternare.
Esplorando tra le selve ci ritroviamo così immersi in un paesaggio popolato di piante, fiori e animali, di volti che piano piano sono diventati familiari. Ci sentiamo un po’ diversi, cambiati e consolati per l’affetto, il dolore, la passione, per quella ebbrezza che sentiamo nell’approdo, sull’isola, dove finalmente la memoria si è incarnata nella terra.
ma quel fiore
azzurro più dell’aria
non lo scompiglia il vento
o lo dissolve,
il suo stelo confitto
lì tra l’erbe
è memoria incarnata
nella terra

Rossella Renzi
Rossella Renzi, insegnante, saggista, poetessa, ha pubblicato "I giorni dell’acqua" (L’arcolaio 2009), "Il seme del giorno" (L’arcolaio 2015), "Dare il nome alle cose" (Minerva 2018), "Disadorna" (peQuod 2022); il saggio "Dire fare sbocciare. Laboratori di poesia a scuola" (Pordenonelegge 2018). Da oltre vent’anni collabora con riviste, siti e blog di letteratura. È redattrice di «Argo» e di «Poesia del nostro tempo». Per la casa editrice Argolibri dirige la collana “Territori” per cui ha curato i volumi "Argo 2020 L'Europa dei poeti" (2020), "Immaginaria" (2023); con altri critici: "Sia manifesta la tua voce. Forme di resistenza nella poesia persiana" (2024 e 2025); "L'Italia a pezzi. Antologia dei poeti italiani in dialetto e in altre lingue minoritarie tra Novecento e Duemila" (2014) e numerosi Annuari di poesia. Ha condotto “Novissime, podcast mensile di poesia e letteratura” insieme a Lello Voce. Collabora con artisti di vario tipo, ricercando il dialogo tra la poesia e le diverse forme espressive. Ha tenuto corsi, seminari sulla poesia e laboratori di scrittura creativa. Con l’Associazione Independent Poetry organizza eventi letterari. Si è laureata nel 2003 all’Alma Mater di Bologna col Prof. Alberto Bertoni, scrivendo una tesi su Eugenio Montale e la poesia del secondo Novecento.