Love di Luca Mannella ⥀ Passaggi

Prosegue l’appuntamento settimanale con la rubrica Passaggi, dedicata alle pratiche della prosa breve, che ospita oggi due testi di Luca Mannella. L’editoriale della rubrica si trova qui

Illustrazione in copertina di Noemi Tiofilo, Prove di danza, 2019.

 


 

1.

Dovessimo conoscere quel mistero (sì quel mistero) che il titolo di una canzone ci fa tornare alla mente dopo anni. Un’immagine di sogno percorre tutti i diaframmi, si inclina e devia sugli specchi, sulle lenti, rifulge nei vetri. La luce rimbalza nella scatola, scoppia, diventa incandescente, non si contiene, ha il dono della stella, della cometa: passa senza finalità e scopi, non ha una meta: osserviamo la sua caduta costante con lo sguardo sospeso sul cruscotto della macchina.

 

2.

Ricomincia il suo giro nel cielo, ha terrore della terra. Cosa invidiamo del suo volo? Noi – qui – seduti – esitiamo nel momento, nel secondo appena passato, irreprensibile. Non importano le parole, la loro struttura, la loro struttura che si disfa appena le pronunciamo: ma dovremmo pronunciarci contro noi che parliamo, dovremmo comprendere le intenzioni riposte nei gesti, le traiettorie degli sguardi. Le traiettorie degli sguardi imitano quelle delle stelle: magnetiche.

 

3.

Confondiamo una stella con un lampione, ma potrebbe darsi anche con il simbolo rosso della metro. «Comunque riflette tutto sui vetri». Distruggere il tempo è possibile: ci insegniamo questo conversando del nulla. Anche qui, ora, il tempo non conta. Ripetiamo quella frazione scomponendo la linea in frammenti, in particelle insostanziali. «Comunque non pensiamo a questo, ora». Qualcuno ci bussa scortese ai finestrini.

 

4.

Esiste il moto, e perdura. Forma un cerchio che una matita continuamente ricalca, fino a bucare il foglio, spezzare la punta.

 

 

 


 

 

 

1.

Si potrebbe salire tra tornanti e meli fino a Montevecchia – il bel paesaggio la vista gli amanti la gente che scende la gente che sale o s’inerpica. Trovarsi di fronte ad una gelateria costosa – per ricchi direbbe, per borghesi direbbe e non piccoli – passeggiare fino alle due panchine che danno sulla Brianza. La Brianza come industria, capitale, sogno – valle mostruosa, periferie, casermoni, stadi di provincia – la Brianza puttana, che lega incatena stride ride s’avvelena, che mangia sbuffa sbotta sballa e disincanta, la Brianza che tu hai conosciuto: i tuoi occhi sanno e non sanno.

 

2.

C’è un binocolo davanti alle due panchine. Sorveglia il capitale, che funzioni si muova reagisca. I Rolex, le scarpe Nike e Adidas, il capannone e i rifiuti. Guarda le poche stelle. Girati. Distogli lo sguardo. Siediti. Sedersi insieme davanti alle luci della valle e i fari delle auto che fari di mare imitano nella boscaglia tra le siepi sul cemento merdoso della campagna. Il ricordo s’ingarbuglia s’immerda: dalla strada di campagna, da Montevecchia, non esce che merda.

 

3.

Salire gli scalini mano nella mano che portano al Santuario – di cosa non interessa. Le coppie si scambiano baci, particolari secondari del loro amore. Al polso hanno Rolex usati, perle tagliate male: strisce d’oro presagiscono la ruggine. S’accalcano sui muretti, che stanno per sgretolarsi, cadere.

 

 

 

 


Chi volesse proporre prose brevi per la rubrica, può inviarle a questo indirizzo email: 

 

Luca Mannella
Noemi Tiofilo, Prove di danza, 2019.